
like a bird on a wire
L’ossessione per gli volatili ha iniziato a rappresentare seriamente un handicap sociale circa un anno fa (in realtà prima, ma ci ho messo un po’ di tempo a unire i puntini – mai detto di essere un fulmine di guerra, comunque).
Verso Natale ho improvvisamente visto e bramato una gabbietta bianca. Momento di finta esitazione, giusto per darsi un tono, apertura portafoglio, sfoderamento banconota, acquisto riposto al sicuro in auto. Tempo necessario: 2 minuti.
Poi è stata la volta dei regali: il papà di una mia amica mi ha regalato questo libro per il mio compleanno. Poi mi ha madre mi ha donato una borsa con 2 portamonete coordinati. Poi una mia amica mi ha comprato una stampa.
Verso giugno, vado da H&M e cedo a due euro di collana. Nel giardino dell’azienda trovo un passerotto appena nato che intenerita accolgo tra mani, in cui lui puntualmente si libera le viscere.
La climax è stata però raggiunta ad agosto, in una bottega artigiana di Udaipur, dove ho comprato 6 dipinti rappresentanti altrettanti uccelli, che adesso vigilano sul mio letto.
Quando me ne sono accorta, ho sperato ardentemente che nessuno facesse 2+2. Lo ha fatto per primo il fidanzato di un’amica (guarda a caso, la stessa il cui padre mi ha regalato il libro di Murakami), il quale vagando per casa mia (date le dimensioni, gli è bastato girarsi su se stesso) ha osservato: “Questa casa è piena di uccelli”.
Poiché l’amica in questione è una giovane brava psicologa, l’abbiamo immediatamente mandato a comprare le sigarette o forse segregato in bagno non ricordo, e ci siamo dedicate alla disamina della mia passione-ossessione per gli uccelli. Diciamolo, diamine, mi piace circondarmi di uccelli.
Voglio pensare che non mi stiate guardando cosi, ma lo so che state gettandovi sulla prima interpretazione che vi sovviene. Tutti incredibilmente noiosi e superficiali, ecco cosa siete.
Io so cosa mia piace tanto degli uccelli. L’uccello risiede in due universi, due immaginari, due aree semantiche completamente opposte. La migrazione, il viaggio, la fuga, l’assenza. Vi ricordo che si dice “essere uccel di bosco”, mica “faina di brughiera” o “marmotta di montagna”. Lo stesso uccello chiama nido, casa, famiglia. Di grazia, chi non si squaglia dinanzi a mamma uccello che nutre figlio uccello passandogli un verme col becco, vada a leggere Dagospia, Televideo o il bugiardino del Tavor.
L’uccello non sa decidersi. L’uccello si cambia in fretta il vestito. L’uccello è bipolare. L’uccello è come me.
PS. Nel mio blog i piccioni non sono considerati uccelli quindi io e chiunque altro siamo autorizzati a detestarli. L’amica psicologa ha scaricato l’intuitivo fidanzato e continua il suo percorso professionale, cui io contribuisco con sempre nuovi spunti di riflessione.
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