
ci vediamo domani all’una
Alcuni giorni fa mi sono detta “Non ho mai pianto così tanto in vita mia”. Da 2 mesi piango più o meno silenziosamente dinanzi a pubblici variegati: i genitori, gli amici, l’edicolante, il vigile urbano, l’erborista, l’osteopata, la psicologa, la sarta.
Subito dopo la tazza del cesso, amena sede delle mie più importanti riflessioni, il luogo in cui ho frignato di più è l’ufficio (collega, meno male che ti sei licenziato per andare a cercare te stesso in Africa lasciandomi 500 progetti inconclusi, sennò toccava pure a te), o meglio l’armadio dei dossier dove ho appositamente allestito una toilette per rifarmi la faccia dopo ogni lacrimata.
Mi sono subito corretta ricordando che c’è stato un periodo di pianto ancor più furibondo nell’autunno del 2000, quando avevo 18 anni e ho ricevuto la più grossa scaricata della mia vita. La storia era così volgare e così speciale che ci possiamo rileggere tutti gli amori del mondo.
Partiamo da una vacanza nel mio luogo di villeggiatura storico dove conosco un ragazzo di Varese di cui m’innamoro perché è bello, brillante e ricco. Fin qui tutto bene. Se poi lui deve rientrare nella sua città prima di te, e poi arrivato a Varese decide 2 giorni dopo di riprendere un treno e venire da te solo con uno zaino e la chitarra (Cristo, la chitarra) e tu devi andare a prenderlo alla stazione con TUA MADRE perché non hai ancora la patente, una quantomeno è autorizzata a pensare che sia amore.
Se poi, dopo che gli hai presentato la tua famiglia perché non hai un posto dove portarlo che non siano i 40mq della tua casa vacanze (“mica ci chiamiamo Onassis”, diceva mia madre), lui confessa candidamente di non avere un posto in cui stare, tua madre dice “Povero ragazzo, per ora puoi stare qui”, allora tu pensi “è fatta, lo scoglio più difficile l’abbiamo aggirato”. Se poi lui resta 2 settimane, si fa amare anche dal tuo difficilissimo padre, tu sei per la prima volta in vita tua autenticamente felice e decidi di sederti in questa felicità come fosse una poltrona. Fin qui sembra un film con Massimo Ciavarro.
Quando poi ognuno torna nella sua città, lui alla sua università snob e tu al tuo liceo di sinistra, non temi che le cose possano deteriorarsi. Esistono i treni, le auto, non ci manca la voglia di vivere, la distanza non è nulla. Tanto tra 9 mesi mi diplomo e vengo a fare l’università vicino a te. Certo non è facile, ci si sente relativamente poco, 25.000 lire di ricarica me le devo far bastare un mese (“mica ci chiamiamo Onassis” diceva mia madre). Se dopo 2 weekend di lontananza forzata mi dice “questo weekend è tutto per te, vengo nella tua città e stiamo insieme! Ti vengo a prendere sabato davanti al liceo alle 13”, tu come minimo ti compri le Dr martens verdi, mandi i genitori a farsi un viaggio e al suono della campanella ti fiondi dalle scale rischiando un volo che manco Gianni Sperti.
Diciamo che se lui davanti a scuola non c’è, pensi che a causa del maledetto traffico sarà un po’ in ritardo. E’ solo verso le 13:45 e dopo 1345 telefonate a vuoto che intuisci che lui forse non verrà. In quel momento pensi anche al peggio, del tipo “ha avuto un drammatico incidente, meglio volare a casa e controllare sul Televideo, che Internet non ce l’ho” (“mica ci chiamiamo Onassis” diceva mia madre).
Il resto è storia: da quel giorno non l’ho mai più visto. Solo alcuni mesi dopo, con l’aiuto di un cordiale sottratto alla vetrinetta paterna, ho avuto il coraggio di contattare un amico comune, il quale ha sbrodolato la verità in 3 sms: si è rimesso con la sua ex, lascia perdere, è uno stronzo.
Seguì un anno di dolore viscerale, pianti convulsi, disturbi alimentari, genitori sconsolati, esami di maturità e prove di immaturità. Ti manderei il conto della psicologa, ragazzo di Varese. Qui ci sarebbero gli estremi di una causa milionaria per furto di adolescenza, abbandono di innocente, lesione di autostima. Ma non posso permettermelo, che noi mica ci chiamiamo Onassis.
PS Ovviamente l’ho stalkato su Facebook e ho visto che si è sposato con lei. La maledetta ex.
Anonimo
Giugno 19, 2013 at 12:26 pm
Le due chicche “andare a prenderlo alla stazione con tua madre” e “Gianni Sperti” fanno sì che questo post superi tutti gli altri. Mi sono sbellicata dal ridere.
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Laura
Settembre 27, 2013 at 5:57 pm
Fantastica! 🙂
gynepraio
Settembre 27, 2013 at 7:17 pm
la riprova che d’amore non si muore!
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siboney2046
Novembre 15, 2013 at 4:41 pm
Argomento di cocente attualità. Più o meno come te è da giugno che piango ma oggi ho avuto una notizia sconvolgente e ho deciso che nessuno fottuto stronzo merita le mie lacrime, tanto più quelli che mi lasciano!
gynepraio
Novembre 15, 2013 at 4:50 pm
Gli auguro una che fa errori grammaticali, tanto basta.
Silvia Nanetti
Febbraio 28, 2019 at 6:04 am
Su di lui anatema!
gynepraio
Aprile 8, 2019 at 10:17 am
Fatwa direttamente, direi.
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virginiamanda
Gennaio 11, 2017 at 5:54 pm
Wow.
Mi sa che non avevo mai letto questo post.
Che patetico imbecille.
Nel caso analogo (ma io purtroppo non avevo 18 anni, ne avevo 23, in teoria avrei già dovuto essere matura e consapevole…) la cosa più brutta da superare per me non è stata “lui non mi vuole, ha preferito un’altra” ma il fatto che l’altra è brutta, brutta, brutta ma non solo, è pure antipatica (tutti gli amici comuni appena la nostra storia aveva iniziato a consolidarsi erano venuti in fila indiana a complimentarsi [!?] con me per come fossi affabile [!?] ed educata [!?], ognuno con un racconto più deprimente dell’altro sulla scarsa empatia della precedente fidanzata), viziata, e poi brutta, l’ho già detto brutta? Ecco brutta.
Io non sono Miss Italia né una comica affermata, ma sapere di essere stata rimpiazzata con una brutta, viziata, maleducata e antipatica, ecco, è stato per la mia autostima una zappata da cui ho fatto fatica a riprendermi.
Ma poi penso sempre: ma per fortuna che questo imbecille è finito con una brutta, viziata, maleducata e antipatica! Si capisce che era proprio un imbecille.
😉