
Bookshelf. Le opinioni di un clown
Hans Schnier è figlio di industriali di Bonn che al Terzo Reich devono la loro ricchezza, tanto da avergli sacrificato una figlia, arruolatasi contro la sua volontà nella FLAK per “scendere in campo contro gli yankee ebrei”. A 21 anni rinnega scuola e famiglia, fugge con Maria (la cattolicissima figlia del cartolaio) senza ovviamente sposarla e diventa un clown, “attore comico, non iscritto nei registri di nessuna Chiesa”.
Ossessionata dal peccato e incapace di capire “la diagonale tra la legge e la misericordia”, Maria lascia Hans per sposare l’affidabile Hupfner, gettando il clown in una crisi artistica (“quando sono ubriaco…cado nell’errore più penoso che un clown possa fare: rido delle mie stesse trovate”) al culmine della quale si ritrova sbronzo, senza lavoro, soldi e né amici.
In un solo pomeriggio, telefona a 10 persone per chiedere denaro: amici e nemici d’infanzia, fratelli, governanti, persino l’amante di suo padre. Ogni tentativo fallisce, ma l’occasione gli è gradita per togliersi sassolini dalla scarpe, rievocare aneddoti e parlare delle sue -bellissime!- ossessioni. La radicale svolta che dà alla propria carriera ve la leggete nell’intimità della vostra stanzetta, mica voglio spoilerarvi tutto.
Il più terribile dei miei mali è la predisposizione alla monogamia. Hans Schnier non riesce a pronunciare la parola sesso, al massimo dice “fare la cosa“: in 27 anni ha avuto ed amato solo una donna e non riesce a desiderarne altre, anche se “di questo la maggior parte di loro restano un po’ mortificate”. Questa monogamia invalidante, che è un bisogno e non una scelta morale, si accompagna ad un rispetto nei confronti della donna che profuma di Stilnovo, ma che è molto altro. E’ un tributo, in tempi non sospetti e perciò ancor più commovente: “stringere, picchiare, sparare, firmare assegni barrati: questo è tutto quello che le mani maschili sanno fare…le mani femminili non sono già quasi più mani, sia che spalmino il burro sul pane sia che liscino i capelli sulla fronte. Nessun teologo ha mai avuto l’idea di fare una predica a proposito delle mani femminili nel Vangelo: Veronica, Maddalena, Maria e Marta – una quantità di donne si muovono nel Vangelo, mani piene di tenerezza per il Cristo”. Dopo di lui, solo De Andrè, e poi nessuno più.
Maria era così pulita e tutto quello che faceva così naturale. Sono di nuovo le mani protagoniste del gesto d’amore che Hans compie per la sua donna nella loro prima e fredda notte d’amore: “l’attirai a me, la coprii e mi misi le sue mani gelate nel cavo delle mie ascelle e Maria disse che era meraviglioso, vi riposavano come uccelli nel nido”. Ai nostri giorni, la Maria che ci racconta Hans non se la filerebbe nessuno: senza quasi far cenni al suo aspetto fisico, afferma che “in certe cose era davvero ingenua e molto intelligente non lo è mai stata”, è irritato dal suo terrore di finire nel girone infernale delle concubine e detesta la clique di cattolici di cui si circonda. Però ama la loro vita quotidiana “terribile e meravigliosa” fatta di notti in albergo, partite interminabili a Mensch-argere-dich-nicht, colazioni “con moltissima marmellata o senza”, e s’indigna all’idea che il suo nuovo marito la veda “avvitare il tappo del tubetto di dentrifricio”. Ecco, quando qualcuno vi chiederà perché amate una persona nonostante vi abbia lasciato e non sia neppure un granché, rispondete che è per via di gioco di società e di una marmellata, chissà mai che capiscano e vi lascino in pace con il vostro spleen.
Le auguro buona sera, a lei e alla sua coscienza. E’ così che si conclude il testa a testa telefonico più intenso: una summa theologiae secondo la quale i cattolici rendono “nervoso, perché sono sleali”, i protestanti fanno “star male con quel loro pasticciare intorno alla coscienza” e gli atei “annoiano, perché parlano sempre di Dio“. Prendere le distanze da tutte le religioni non fa di Hans un nichilista: anzi, le sue telefonate sono opportunità di redenzione offerte agli interlocutori, come se sotto sotto mormorasse “vi prego, non dite la banalità che già prevedo, siate diversi, siate veri”. Persino nel momento di massimo sconforto, ci rassicura dicendo: “io voglio bene alla specie cui io stesso appartengo: agli esseri umani”.
L’unico che mi faceva pena era mio padre. Hans non ha dubbi su sua madre, una piccoloborghese arida, taccagna e ipocrita. Lei è dannata. Ma suo padre no, lui si può salvare, anche se è un ricco industriale arricchitosi con il Nazismo. Perché è a suo agio in pubblico, perché ha un’amante dolce che lo accoglie dopo i consigli di amministrazione, perché detesta i cattolici. Perché, nonostante i miliardi che li dividono, si somigliano: ma fatica ad ammetterlo e ci riesce solo quando, guardandosi allo specchio truccato da clown, scopre di avere il suo stesso volto.
La capacità di farsi una ragione delle cose. Secondo il padre di Hans, è questo ciò che fa “di un individuo un vero uomo”. Siccome “prima o poi te ne farai una ragione” è una anatema frase che mi è stata detta spesso recentemente (seconda solo a “mangia meno”), quando l’ho riletta mi sono subito immaginata seduta nella sala d’aspetto delle non-ancora-vere-donne fino a data da destinarsi. Comunque sto cercando di dominare l’ansia: mi hanno detto che c’è buona compagnia, ho portato dei libri e al massimo prendo un caffè dal distributore automatico.
PS Amo questo libro. Con molte persone che ho amato ne ho discusso con lo stesso tono animato con cui si parlerebbe di un figlio sbandato. C’è un po’ di Hans in Herzog, in Barney, in tutti gli uomini di carta e di carne che ho amato. Leggetelo, che poi magari amo anche voi. Buone vacanze.
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Irham
Agosto 7, 2015 at 7:41 pm
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