
car* ragazz* che ti domandi se lavorare gratis
Ho seguito la polemica innescata da una frase di Jovanotti, pronunciata davanti ad pubblico di studenti universitari fiorentini, nella quale alcuni hanno letto una giustificazione del lavoro non retribuito. Io ho riascoltato ll suo intervento e non vi ho colto questo significato: il povero Lorenzo non è una cima di ironia e articolazione mentale, quindi direi che l’ascia di guerra poteva essere seppellita ancor prima di essere estratta. Purtuttavia, ho riflettuto e ho concluso che…
Ma sei scema? Sei almeno 30 giorni in ritardo rispetto a quando è scoppiata la polemica! Ma non lo sai che il ferro si batte finchè è caldo?
Lo so, ma il motivo per cui non ho potuto esprimermi con un minimo di tempismo è che sto lavorando tantissimo -fortunatamente non gratis-, sono stanca morta e radunare le idee mi costa grande fatica. Nelle ultme sere sono riuscita a scrivere intimamente solo un post dal titolo: I motivi per cui è eticamente giusto che stasera sia Michele a caricare la lavastoviglie e non Valeria.
Dicevo. Io penso si possa lavorare gratis se l’organizzazione cui si presta opera non ha fini di lucro. Ad esempio, chi milita nelle sezioni giovanili di un partito, negli scout o altre associazioni religiose, è motivato dal desiderio di fare parte di una collettività orientata a un risultato. Esistono poi altri fini, solo apparentemente secondari. Non è raro che i giovani politicanti più assidui diventino consiglieri comunali o siedano nel CDA di qualche municipalizzata. Per non parlare delle giovani scout, che spesso ai campi estivi trovano marito (fateci caso, i capi scout si sposano sempre tra di loro).
Se invece si lavora in una organizzazione nata con l’obiettivo di produrre della ricchezza, cioè un’azienda, è giusto che ognuno sia pagato per lavorare. In linea teorica, un* neoassunt* dovrebbe percepire una retribuzione minima destinata a subire frequenti e piccoli incrementi proporzionali a età e merito. Questo era ciò che accadeva agli apprendisti e ai garzoni di bottega dal Medioevo fino a 50/60 anni fa. Ora non accade più.
A difesa delle aziende, devo dire una cosa purtroppo vera: qualsiasi lavoratore “di concetto” neoassunt*, anche se molto sveglio e recettivo, per 6 mesi almeno non si ripaga lo stipendio. In un mondo ideale, un’azienda potrebbe permettersi di assorbire i tempi/costi della sua formazione e della sua bassa redditività iniziale. Ma se l’improduttività del neoassunto è parziale, quella del neolaureato è totale: non solo bisogna istruirlo, ma il suo operato deve essere anche controllato. Il costo dell’inesperienza è doppio, e non è l’unico a gravare sul conto economico delle aziende italiane.
Fortunatamente, la velocità di apprendimento di un neolaureato -che ha appena finito di studiare e ha quindi il cervello più oliato di una persona, che so, di 33 anni- è molto elevata, quindi può rendersi molto utile in tempi brevi: ci sono sono numerosi casi virtuosi in cui l’azienda nel giro di 6 mesi si ritrova in casa un dipendente già formato, fidelizzato, in età di apprendistato, pronto per essere assunto. Grazie allo stage, le aziende si accollano un po’ di costi di formazione ma abbattono i costi di selezione del personale: lavorare gratis con la prospettiva -non troppo “volatile”- di un’assunzione secondo me è ammissibile.
Ci sono altri casi in cui, alla fine dello stage, l’azienda non vuole o non può assumere il tirocinante: ma quest’ultimo (grazie all’azienda e alla propria intelligenza) ha appreso così tanto da questa esperienza da poterla rivendere a peso d’oro, di solito ai concorrenti. Anche lavorare gratis con l’obiettivo di formarsi una vera professionalità seppur con prospettive di assunzione remote, dal mio punto di vista è accettabile.
Del resto, a molte aziende va il merito di supplire alle carenze del sistema universitario. Quali? Ecco alcune delle lacune più comuni dei neolaureati: fare analisi complesse in excel, usare un CMS, scrivere in ottica SEO, usare piattaforme comuni come WordPress, editare testi e immagini con i più comuni programmi opensource, preparare presentazioni che non facciano sanguinare gli occhi, parlare in pubblico, scrivere un documento di progetto, tradurre semplici testi in un business english privo di errori, usare le più comuni risorse della rete, verificare le fonti. Queste cose io non le ho apprese all’università (che pagavo), ma durante gli stage (dove, anche se poco, mi pagavano) o da sola (pagando di tasca mia).
A fianco ai casi positivi, esiste una pletora di aziende che vivono sulle spalle di stagisti, praticanti e tirocinanti, perchè su di essi vengono scaricati i compiti ripetitivi che risucchiano tempo e non producono ricchezza: fare liste, controllare elenchi, archiviare documenti, correggere testi, mandare newsletter. A queste aziende va tutto il mio schifo, anche perchè molte di esse hanno le spalle larghe e le risorse economiche per far sì che ciò non accada. Cosa suggerirei ad un neolavoratore che si trovi in questa situazione? Prima di tutto, non sottovalutare l’importanza dei lavori routinari, perchè sono a loro modo educativi. Ma poi, comprendere qual è la loro utilità all’interno del sistema-azienda. Come? Chiedendo. Per un tirocinante, stare al proprio posto è il male. Non deve autorelegarsi al ruolo che gli viene affidato, sperando che se starà buono buonino poi lo assumeranno: deve fare domande, contribuire proattivamente alla propria formazione assorbendo da tutti i colleghi tutto il possibile. Non temete che la vostra curiosità vi porti un cattivo nome: “tecnicamente” non possono licenziarvi. State sereni, perchè nelle aziende italiane c’è tanto nonnismo, ma altrettanto ciceronismo: approfittatene, e fatevi anche scrivere una lettera di referenze.
Voi dite: parli bene tu, che il lavoro ce l’hai. Invece lo stagista lo sta cercando, e ne ha bisogno! Qui c’è il secondo grande punto. In Italia il tirocinio formativo è un “cuscinetto” tra la laurea e l’adultitudine: la maggior parte degli stagisti ha 24-25 anni, ne ha fin sopra i capelli di studiare, vuole andarsene di casa, rendersi economicamente indipendente, oppure semplicemente la sua famiglia non può permettersi di mantenerlo ancora. Per questo motivo carica lo stage di forti aspettative, diventa un impiegatuccio modello -esecutivo e remissivo al massimo- e non coglie le opportunità di formazione che quel periodo gli offre.
Per minimizzare questo cuscinetto, sarebbe meglio cominciare a fare esperienza e networking prima, durante gli anni dell’università. Quando ero in Erasmus in Spagna, condividevo l’appartamento con una ragazza gallega (di gran lunga una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato) che studiava Comunicazione. Lei, complice lo stop didattico estivo decisamente più lungo, aveva fatto uno stage ogni estate: in una Onlus, in una webradio, in un quotidiano locale. Quell’estate avrebbe fatto uno stage nell’ufficio relazioni con pubblico di un’ospedale. Volete sapere io che feci quell’estate? Girai tutte-ma-proprio-tutte-nessuna-esclusa le feste di paese dei Paesi Baschi, sfiorai il coma etilico durante le corse dei tori di Pamplona, poi tornai in Italia e me ne stetti al mare per un mese.
Quando vivevo negli Stati Uniti, il 5 maggio gli esami erano finiti e le lezioni ricominciavano intorno al 20 agosto: a marzo, tutti i miei compagni di corso cercavano una summer internship. Gli studenti di Hospitality Management a Disneyworld, quelli di Finance in banca. quelli di Marketing nelle agenzie pubblicitarie. Io che feci quell’estate? Andai in Canada a trovare la mia amica G., poi tornai in Italia e me ne stetti al mare per un mese.
Ora che mi trovo in una fase di grandi domande e sto facendo un’analisi impietosa delle mie aspirazioni, competenze e lacune -DURISSIMA- rifletto sulle volte in cui avrei dovuto lavorare gratis, sulle opportunità di apprendimento “spensierato” che non ho colto, sul senso di smarrimento e l’ansia da prestazione che ho provato alla mia prima esperienza, e penso che sono stata un po’ cretina. Non siatelo anche voi.
Girina
Luglio 13, 2015 at 9:51 am
Sono d’accordo su tutto… L’unica cosa è riuscire a fare uno stage quando si studia Ingegneria chimica e si ha l’ultimo esame il 26 luglio e il primo il 2 settembre!! Al Poli le uniche possibilità di fare stage sono durante il tirocinio per la tesi, ma spesso non sono molto “formanti” neanche quelli…
PS: ti leggo sempre, ma ho sempre e solo lurkato..
gynepraio
Luglio 13, 2015 at 10:34 am
Sono contenta tu sia uscita allo scoperto!
Anche io ho sempre avuto un calendario accademico un po’ tirato che mi avrebbe reso difficile fare degli stage estivi. Avrei dovuto rivedere le priorità e saltare delle sessioni, ma avevo anche l’obiettivo di finire gli studi in tempo e prima possibile. E’ stato un trade-off obbligato, ma non so se lo rifarei tal quale, ecco.
Barbs LeCupcake
Luglio 13, 2015 at 11:39 am
Neo laureata in una materia che non è nemmeno pratica- check
Estati passate metà a studiare per settembre e metà a viaggiare- check
Stage malamente e scarsamente retribuito presso azienda dalla dubbia etica lavorativa- check
Senso di pessimismo terrore debolezza e inettitudine- check
Prendere tempo sperando in qualcosa di magico e andare in Australia come tutti- check
Barbs
la funambola
Luglio 13, 2015 at 6:44 pm
tanto love!!
gynepraio
Luglio 14, 2015 at 10:09 am
Ma sei felice di andare in Australia o è un ripiego? Io se non avessi una sottospecie di famiglia da avviare ci penserei serissimamente.
la funambola
Luglio 13, 2015 at 6:59 pm
mi ha fatto ridere il tuo inizio di post, perchè io di questa ”polemica” non sapevo niente quindi.. grazie di averne parlato. Questo tema mi interessa sempre molto, mi fa piacere leggere che qualcuno è come me e non condanna a priori gli stage non o sotto pagati. Secondo me dipende molto anche per quanto tempo lo fai. Il mio ragazzo è un po’ scontento per lo stage di un mese che sta facendo in un consolato. Non pagato. Io continuo a ripetergli che è solo un mese, ovvio, un rimborso spese o il buono pasto sarebbe carino.. ma tieni conto se nella tua vita hai mai fatto un lavoro ( nel suo caso, no). Negli stage che ho fatto io ho potuto vedere e sentire che in realtà ero un peso per l’azienda, perchè appunto mica mi tiravo indietro nel fare domande e nel voler sapere di più quindi oltre ad essere lenta io rispetto a loro facevo perdere tempo. Ma era anche quello che veniva apprezzato, dimostrava la voglia di crescere.
Per concludere, comunque, al di là di quanti stage, esperienze etc si fanno conta tanto tanto tanto la fortuna, nessuno mi convincerà del contrario.
gynepraio
Luglio 14, 2015 at 10:17 am
Ti do ragione perchè devo dire che io, anche da stagista, sono sempre stata un pochino retribuita (anche se non assunta alla fine dell’esperienza) e comunque istruita. Diciamo che non mi sono mai imbattuta in un’azienda veramente disonesta, e in questo sono stata fortunata.
Va però detto che se ci fossi capitata, in un lasso di tempo ragionevole me ne sarei andata.
giulia
Luglio 13, 2015 at 7:45 pm
concordo in pieno! Anche io mi sono pentita di non avere fatto più esperienze quando davvero avevo tempo, invece che stare a casa a grattarmi
Gi
Luglio 14, 2015 at 9:43 am
Massima stima per l’ammissione di cazzeggio brado.
Spesso non ci si rende conto che se altre università in altri Stati lasciano più tempo libero non è perché hanno capito tutto della vita, ma perché impiegare utilmente il tempo quando sei abbondantemente maggiorenne sono cazzi tuoi, e non deve esserci sempre Mamma Sistema che ti imbocca.
Sono assolutamente d’accordo con l’idea di fare stage durante la tesi, in particolare per chi ha lauree deboli (Scienze della Comunicazione e Lettere tutte, parlo con voi). Ci sono corsi di studio in cui non puoi neanche laurearti senza aver sbattuto la faccia contro qualche progetto impegnativo (yes, Ingegneria) o mesi di tirocini sfiancanti (Medicina, anyone?), tutto ovviamente gratis. Lavorare per qualche mese gratis ha anche un altro vantaggio: te ne vai non appena le cose si mettono male. Non gli devi nulla tranne il comunissimo rispetto fra esseri umani. E se sai il fatto tuo e gli servi davvero a un certo punto i soldi li trovano. Anche perché non è che gli stage pagati garantiscano di più: se sei in una multinazionale in cui ti danno settecento euro per tredici ore di lavoro al giorno e i manager cambiano assistenti ogni sei mesi meglio non farsi illusioni, sei carne da cannone comunque. Se sei in una microimpresa in cui non riescono a pagare i fornitori per tempo, ci siamo di nuovo: non ti assumeranno mai e poi mai. Se sei in uno studio professionale, again: se sei davvero bravo e hanno ragionevolmente paura che tu possa scippargli il lavoro una volta fuori c’è qualche possibilità, ma nella maggior parte dei casi sanno perfettamente che fuori di lì prima che tu diventi oggettivamente un pericolo per il loro budget vacanze passeranno anni. Quello che serve sul finire degli studi non è semplicemente un rimborso, è un mentore, un capo vero che ti insegni a muoverti e ti mostri il mondo in modo che tu ti faccia le ossa e che poi esca da lì che non sei più un puledrino pronto a trottare per il primo che ti da due lire. E se lo trovi gratis (e non si tratta di non mangiare per dieci anni) tienitelo stretto.
gynepraio
Luglio 14, 2015 at 10:24 am
Non potrei essere più d’accordo con te. La storia della multinazionale è verissima: io ho fatto uno stage credo nella 3 multinazionale al mondo (molto proficuo dal punto di vista dell’apprendimento e sinceramente nemmeno tanto brutto sul fronte della mia performance) ma alla fine non mi hanno tenuto adducendo motivazioni un po’ traballanti. Sta di fatto che, con quello che avevo imparato e con la nomea dell’organizzazione in sè ho trovato lavoro dopo 4 giorni.
virginiamanda
Luglio 19, 2015 at 11:09 am
Questo è un argomento che mi sta molto a cuore.
Ci sono tanti fattori da considerare nel discorso stage sì/stage no/pagato sì/pagato no.
Io sono stata molto integralista durante l’università: io non volevo perdere tempo, volevo essere spendibile subito e non volevo lavorare gratis.
Questo mi ha portato a fare un tirocinio retribuito per la tesi della triennale in Francia (invece dell’Erasmus che tutti gli altri facevano, perché per la me talebana di quel tempo “era una perdita di tempo e denaro”) e a fare la specialistica a distanza, lavorando in un altro Paese (Spagna) e tornando solo per fare gli esami.
Mentre gli altri gigioneggiavano nel cortile dell’Università, io a 24 mi aprivo la mia prima partita iva (sempre in Spagna), e quando ho visto che ci stavo mettendo più tempo del previsto a laurearmi (perché la me integralista non voleva laurearsi tardi, ma voleva anche lavorare, nel suo settore – Italianistica, eh, non ingegneria- ) sono tornata in Italia ma anche una volta lì, studiare e basta mi sembrava uno spreco e allora ho fatto un altro tirocinio pre-tesi retribuito di un anno in Turchia.
Morale della favola: sì, sono stata da subito mooolto spendibile sul lavoro, e a differenza di altri compagni di università ho a 30 anni 9 anni di esperienza lavorativa e contributi etc etc.
Seconda morale della favola: ora ho 30 anni ed ho praticamente sempre corso, in una fase della vita in cui avrei magari tratto parecchio beneficio dallo stare mesi e mesi al mare senza pensare al futuro, che tanto sarebbe arrivato comunque…
gynepraio
Luglio 20, 2015 at 4:22 pm
Virginia, adesso puoi rilassarti. Anzi, promettimi che ti rilasserai di tua iniziativa, altrimenti vengo lì col Tavor e t’incateno alla poltrona.
virginiamanda
Luglio 24, 2015 at 9:47 pm
Sto già pianificando un anno di puro ca**eggio mascherato da Master… 😉
marghe ✿
Luglio 20, 2015 at 11:26 am
i post dove parli di lavoro sono tra i miei preferiti!
io son stata abbastanza pigra rispetto ai miei ammirevoli compagni di liceo che passavano le estati a lavorare (e avevano passato l’anno a studiare, robe da non crederci) ma mi son data una regolata all’università e ho trovato abbastanza rapidamente un ottimo lavoro in cui dopo più di 5 anni ho ancora moltissimo da imparare… solo che siamo così pochi che non mi è mai stata data una vera formazione e adesso che sono mamma e non sono più abituata a studiare faccio più fatica a formarmi e aggiornarmi.
Me lo fai un corso sulle lacune più comuni che hai evidenziato? Forse le so e forse no, ma di sicuro ho da imparare visto che lavoriamo in settori diversi!
(sul serio, pensaci, potresti organizzare delle piccole lezioni sugli argomenti in cui ti senti più forte, frontali/skype/e-book, sarei disposta a pagare!)
gynepraio
Luglio 20, 2015 at 4:30 pm
Ma che bella cosa che hai detto! Diciamo che per l’anno scolastico 2015-2016 proverò a scrivere un po’ di più di lavoro (anche se ultimamente mi è costato caro: sono stata ripresa dal mio datore per contenuti secondo lui denigratori nei confronti dell’azienda, segnalati da qualche collega malfidente—-> la vita va avanti).
Quanto a erogare lezioni, temo di non avere niente di veramente nuovo da raccontare. Me la cavo meglio con le testimonianze aziendali, l’anno scorso ne ho fatte alcune davanti a studenti di vari Master sul tema R&D e generazione di idee. Magari provo a trasformarlo in un post, dai. Un abbraccio
marghe ✿
Luglio 22, 2015 at 4:29 pm
poi rassicurare il tuo datore che sentirti parlare dei vostri prodotti mi ha fatto venire voglia di comprarne almeno un paio. Non che non conoscessi la marca, ma adesso se mi serve un prodotto di quel genere mi viene in mente che anche voi ce l’avete, e magari compro proprio quello.
secondo me hai avuto coraggio a parlare dell’azienda per cui lavori nel tuo spazio privato, mi dà l’idea che ti trovi sinceramente bene coi loro prodotti.
gynepraio
Luglio 23, 2015 at 10:50 am
Sono contenta che il messaggio sia passato!