Rieccoci qui con qualche suggerimento cinematografico non eccessivamente mainstream ma nemmeno troppo indie, non prettamente da multisala-con-popcorn ma neppure da cinema-indipendente-con-sedili-gualciti. Lo strapotere statunitense è qui rappresentato da una sola pellicola e viene controbilanciato da un paese emergente (Messico), uno del Commonwealth (Australia) e uno in declino (Italia). Tanto cosmopolitismo per dimostrare che le donne complessate ci sono ovunque, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, da Scilla al Tanai dall’uno all’altro mar.
DONNE COMPLESSATE: PARAISO
Il Messico non è solo narcotraffico e pittrici coi baffi ma è un Paese con una economia emergente di stampo occidentale: Paraìso, datato 2013, racconta infatti le vicende di una giovane coppia della middle-class messicana. Che, analogamente a una classica coppia della middle-class statunitense, indossa tute di triacetato per andare al centro commerciale dove si sfonda di gelato al burro d’arachidi e convive, felicemente e con discreto successo, con l’obesità. Quando si trasferiranno nella capitale e -spinti da alcune pressioni sociali- decideranno di seguire un programma dimagrante (velatissimo riferimento a Weight Watchers, a mio modesto parere) dovranno farsi domande sul proprio sovrappeso e a cosa sono disposti a rinunciare per adeguarsi a degli standard cui non si sentivano chiamati in precedenza. Entrambi, infatti, non avevano mai considerato il sovrappeso un limite o un ostacolo alla propria felicità.

Prima della dieta
Da vedere perché: la protagonista femminile, esordiente, è straordinariamente brava: per sua stessa ammissione, l’essere a sua volta sovrappeso e reduce da una serie di diete fallimentari l’ha favorita nella selezione e nel lavoro di immedesimazione. Il film dura poco e si trova su Netflix: non esiste la versione doppiata, ma solo sottotitolata.
Patologia/complesso: sovrappeso e senso di inadeguatezza
DONNE CINE-COMPLESSATE: LA PAZZA GIOIA

Lo stesso abbraccio, a Borghetto Santo Spirito, non sarebbe stato altrettanto triste
Chi mi segue su Snapchat avrà già sentito i miei commenti in merito. Diciamo subito che io privilegio la visione d’insieme, quindi potrei dire cose scomode, tristi, brutte, crudeli su regista, produttori, montatori, attori -protagonisti e non- per poi concludere democristianamente che sono comunque contenta di averlo visto. Il film contiene alcuni elementi che mi hanno atto pisciare addosso di felicità: tanto per cominciare è una storia d’amicizia (tra donne complessate!), e io preferisco le storie d’amicizia su tutte le altre. Poi, c’è la mia omonima Valeria Bruni Tedeschi che è superbrava. Qui è in più svagata, svanita, smagata e scema come le pietre. Le location sono perfette, sia la prestigiosa villa di campagna convertita in comunità per pazzerelli, sia la Versilia con quella sua capacità di trasmettere il declino e il disfacimento (molto più di altre coste, che so, quella ligure per esempio). Come mai mi sono innamorata delle location? Beh, mi sembrava di essere lì. Nelle scene in cui gli ospiti della comunità lavoravano in giardino sotto il sole, io sudavo con loro: se non è una prova questa. Elementi di debolezza: un po’ troppa inverosimiglianza, un po’ troppe fughe rocambolesche, un po’ troppe spiegazioni non necessarie e soprattutto una Micaela Ramazzotti che è bella come il sole, identica a Hilary Swank, piatta e magra come un chiodo -quindi chapeau per l’impegno profuso- ma purtroppo non era all’altezza del ruolo.
Da vedere perché: oltre ai succitati motivi, è un film nazionale leggermente diverso dal consueto. Tradotto in italiano, non ci sono solo trentenni complessati. Lo danno ancora al cinema.
Patologia/complesso: depressione cronica per una, megalomania e logorrea per l’altra
DONNE COMPLESSATE: THE DRESSMAKER
“The dressmaker” racconta il trionfale, sfortunato e rocambolesco ritorno in patria di una stilosissima sarta che si prende la sua vendetta sui concittadini stronzi. Anche qui, location spettacolare e azzeccatissima: un torrido entroterra australiano. Ovviamente è estate, fa caldo e io che ho fatto? Ho sudato come un porco in un solarium, chiaro. Kate è bellissima, affranta, orgogliosa, impettita, invidiatissima, sola come un cane.

Vai da quelle paesanotte e falle nere, Kate
Da vedere perché: ci sono i costumi eccezionali cuciti sul culo di Kate*, la bellezza del coprotagonista Liam Hemsworth e soprattutto il ritmo molto serrato. Un quarto d’ora in meno ci stava, ma non polemizzerei troppo. Lo danno ancora in pochi cinema.
Patologia/complesso: complesso edipico, bisogno di rivalsa
DONNE COMPLESSATE: LABOR DAY
Ho visto Labor Day perché è di Jason Reitman, che secondo me -oltre a essere un gran bel tipo- ha girato Thank You for Smoking, Juno, Up in the Air e Men, Women and Children. Le premesse per un bel film c’erano, no? Anche la storia di per sé è originale: un ragazzino viene “sequestrato in casa propria” insieme alla madre depressa&agorafobica da un fuggitivo che in quattro e quattr’otto diventerà 1) l’amante della genitrice 2) il mentore del ragazzino nonché 3) un Manny Tuttofare che finalmente sistema le assi del pavimento, stura lavandini, inforna torte, olia serrature e invasa erbe aromatiche.
Ti credo, Kate, che ti sei innamorata di lui: io sto con uno che per cambiare una lampadina chiama l’elettricista! Purtuttavia, invito te e Reitman a riflettere sul fatto che la nascita di questo folle amore forse andava narrata in modo più complesso e sofferto. E che questa fuga d’amore alla volta del Canada non andava pianificata alla carlona ma si meritava un pelino di attenzione in più visto che il tuo bello è un cazzo di evaso, fresconi che non siete altro. Bastava un excel, una partenza intelligente, un po’ di sale in zucca. Reitman, mi spiace anche che ti abbiano rovinato un bel titolo con una orribile versione italiana che non ho alcuna intenzione di riportarvi.

Sudata come un prosciutto di Parma, con le bracciotte e i capelli di Lory del Santo, eppure fighissima
Da vedere perché: per capire come, nonostante delle premesse eccezionali, sia assai facile combinare un casino e rovinare tutto. Un po’ come certe storie d’amore, che si pensa abbiano tutti i numeri per decollare e invece restano al palo. E poi, certo, per Kate, sudata, struccata, scarmigliata, fighissima. Su Netflix, anche doppiato.
Patologia/complesso: agorafobia, depressione
*Prima di usare a sproposito la parola curvy, tutti dovremmo guardare una foto di Kate Winslet. Lei è curvy. Le altre sono solo delle finte magre oppure sono grasse e basta.
6 Comments
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Siboney2046
Giugno 20, 2016 at 10:11 am
Visto Labor day proprio ieri sera e mi è piaciuto assai!
gynepraio
Giugno 20, 2016 at 12:43 pm
Secondo me aveva in nuce tutti i numeri per diventare un capolavoro. ma alla fine non regge granchè. Tranne Kate, ovvio.
giulia
Giugno 20, 2016 at 10:20 am
hahahahaha bellissimo (concordo con la tua definizione di curvy)
gynepraio
Giugno 20, 2016 at 12:44 pm
Che la piantino di prenderci per il culo.
La Strega
Giugno 20, 2016 at 12:21 pm
Ho visto solo The Dressmaker e l’ho trovato spettacolare, molto divertente e nel contempo “impegnato”. Devo vedere anche La pazza gioia , allora, perché le storie di amicizia piacciono moltissimo anche a me! Anche il film messicano mi ispira particolarmente: Grazie per i consigli!
P.S. E hai più che ragione ruguardo al commento sulla Winslet e le curvy.
gynepraio
Giugno 20, 2016 at 12:44 pm
Se poi recuperi anche gli altri fammi sapere se ti sono piaciuti!