Quando sono nata, i miei genitori hanno comprato una casetta al mare. Non so se l’hanno comprata per me, o per sé. Più probabilmente mio padre si è infiammato all’idea -come si infiamma per qualsiasi idea- di avere un buen retiro per le vacanze. Adesso che ho un bambino anche io, lo capisco: un nuovo nato significa appendere lo zaino Decathlon al chiodo e studiare un soggiorno a misura di famiglia.
Noi piemontesi, tipicamente, acquistiamo seconde case in Val di Susa (se amiamo la montagna) o nella riviera Ligure (se amiamo il mare). I più fortunati dispongono di entrambe le opzioni: con un bilocale a Ulzio e uno a Finale sei a posto tutto l’anno. Scuola sci natalizia, settimana bianca a fine febbraio, grigliata di Pasquetta, ponte dal 25 aprile al 1 maggio, un po’ di weekend abbronzanti tra giugno e luglio, agosto al mare con i genitori, settembre in montagna coi nonni -giusto in tempo per finire i compiti delle vacanze, che in città fa ancora caldo-.
Questi ragionamenti, ovvi ma sensatissimi, dovettero apparire terribilmente borghesi a mio padre. Perché percorrere un sentiero già battuto, quando la nostra penisola riserva sorprese a ogni piè sospinto? Sarà per quello che acquistò una casa in Calabria. Riviera Ionica, esattamente a metà strada tra Crotone e Catanzaro. 1400 km da Torino, circa 12 ore di viaggio di cui, per chi è fan dell’A14, almeno 4 di statale 106, una strada che passa attraverso centomila paesini dai nomi pittoreschi come Nova Siri, Sentinella, Roseto Capo Spulico, Trebisacce, Fiumarella, Cariati, Torre Melissa, per dirne alcuni. Per chi invece è sostenitore dell’A1, la grande prova è rappresentata dalla Salerno-Reggio Calabria (ma non quella di ora, oh no! Quella degli anni ’80 e ’90).
Tutto questo avrebbe avuto un senso se ci fosse stato tra mio padre e la Calabria un legame di tipo affettivo: quanti figli di emigranti, trasferitisi nel gelico Nord, mantengono saldo il filo che li unisce alla terra d’origine? Moltissimi. Peccato che mio padre non sia uno di essi, non scorrendo nelle sue vene neppure una goccia di sangue calabrese.
Signori, è solo un colpo di testa quello che portò mio padre, nella primavera del 1982, a comprare (sulla carta, sottolineo) un appartamento di 30 metri quadrati con terrazzo e giardino. Per poi partire da Torino, nell’agosto del medesimo anno -a bordo di una Simca senza aria condizionata insieme a moglie allattante e figlia in fasce- e passarvi le prime vacanze.
Dal 1982 ho imparato a nuotare con e senza braccioli, ad andare in bicicletta senza rotelle e in motorino, a guidare in autostrada, a spennellare il pesce col rametto di rosmarino prima di fare la grigliata, ad allestire il falò, ad addentare il peperoncino, a capire i dialetti del sud. A scambiarmi gli indirizzi con gli altri bambini e scriverci durante l’inverno sulla carta da lettere di Lupo Alberto. Alcune delle storie più magiche o imbarazzanti della mia vita hanno avuto come teatro quel luogo. E ci sono sempre stata, ogni anno, con desiderio, portandoci amici e fidanzati. Ho smesso di riservare qualche giorno delle mie vacanze alla Calabria solo quando ho iniziato a fare viaggi troppo lunghi e complessi per poterci incastrare anche quello -complice una logistica, quella del Sud Italia, non esattamente friendly-.
Ma, anche quando ho snobbato la Calabria in nome di luoghi più esotici, ho sempre pensato che quel mio luogo del cuore potesse diventare importante anche per i miei figli, se un giorno ne avessi mai avuti. Tutto questo per dire che quest’anno ci torno, con Michele ed Elia. Non vi nascondo che in molti hanno sgranato gli occhi quando ho detto che ci saremmo messi in auto in pieno agosto per andare in Calabria con un neonato di 2 mesi, che nell’ovetto ci deve stare al massimo 1 ora, occhio all’aria condizionata e sappi che quando sul sedile posteriore hai messo la navicella non ti sta più niente. Lo so che la Liguria o la Romagna sarebbero state più comode. Lo so che laggiù farà caldo e passerò il tempo a maledire il termometro. Lo so che il viaggio è lungo e arriveremo a destinazione con 10 anni di vita in meno.
Per farmi forza, sto ripetendo il loop i motivi per cui la Calabria è una buona idea. Gli oleandri, le bouganville, gli ulivi, i gechi e i ramarri. Il Caffè Guglielmo, la Brasilena gelata, il tonno Callipo, la soppressata, la ‘nduja, la sardella, le merendelle, le pesche bianche, il cirò. Guidare lungo la 106 ascoltando Rino Gaetano, il paesaggio lunare della Sila, l’odore di pineta, il rumore delle infradito sui vialetti insabbiati, la sabbia fine, il mare, correre al tramonto, la colazione sul terrazzo, la doccia in giardino tornata dal mare, i dossi, le biciclette legate ai pini, le tende a righe bianche e blu, le cicale, i ventilatori a soffitto, gli irrigatori giganti, la cisterna dell’acqua, le consonanti pesanthi, le telline, la barchetta a remi del bagnino dove c’è scritto salvamento.
Che è giusto, ma secondo me salvataggio suona meglio.

E se non sapete cosa sono le merendelle, ma che infanzia avete avuto?