
ritorno al lavoro, ovvero che ne sarà di me?
Sono a casa dal 1 marzo 2016, il che fa quasi 7 mesi. La settimana scorsa ho inoltrato all’INPS la pratica per la maternità facoltativa che si concluderà lunedì 9 gennaio, data in cui -confidando in un agevole inserimento di Elia al nido- ci sarà il mio trionfale ritorno al lavoro. Non mi aspetto di trovare la situazione uguale a come l’ho lasciata, non solo perché saranno passati 10 mesi da allora ma anche perché il mio ufficio ha subito una riorganizzazione gerarchica nonché un vero e proprio trasloco. La mia scrivania guarderà in un’altra direzione, dovrò interagire con un nuovo capo e le mie mansioni saranno rimesse in discussione.
E anche se in linea di massima non temo i cambiamenti (e non vedo motivo di farlo se non ci sono evidenze del fatto che si tratti di un peggioramento), dinanzi a una situazione nuova di solito mi sale una sorta di ansietta premonitrice. Non è sempre un male, perché per quelle come me l’ansia è il motore che genera idee brillanti, che sprona all’autodisciplina, che trasforma i pensieri in progetti. C’è chi agisce sull’onda della rabbia, o del sogno. Io, invece, funziono ad ansia.
Che però, in questo caso, manca del tutto. Voi direte, ci credo -scema che non sei altro- il tuo ritorno al lavoro avverrà fra 3 mesi. Vi risponderò che per quelle come me l’ansia arriva con grande preavviso e che a quest’ora si sarebbe ampiamente manifestata.
Sarà che al lavoro, in questi mesi, ci ho pensato molto poco. Molte delle mie -peraltro contingentate, vista la scarsezza e la pessima qualità del mio sonno- energie mentali sono dedicate a Elia. Il poco che resta, lo sto investendo in un progetto personale che, invece, di preoccupazione me ne desta davvero parecchia e che, insieme ad alcuni problemi di salute che hanno toccato mio padre, è diretto responsabile del mio repentino ritorno al peso pre-gravidanza. Da qui si vede il mio senso pratico: se angoscia dev’essere, che almeno serva a qualcosa.
Non ci ho pensato, non mi è mancato. Non sono mai stata una workaholic, e credo non lo sarò mai. Mi piace troppo diversificare gli investimenti emotivi, per cui il lavoro è una delle cose che contribuiscono a definirmi come persona, e non è la più importante. Eppure, ci sono persone così dedite al loro lavoro ne sentono la mancanza, quando non c’è. Tolti quei pochi davvero mossi dalla passione (certi insegnanti, alcuni artigiani), credo che alla maggioranza dei workaholic manchi sentirsi utile, o addirittura indispensabile. Ci sono persone così responsabilizzate, anche a livelli molto bassi, da pensare di contribuire in maniera così cruciale al meccanismo dell’organizzazione che, in loro assenza, tutto va a rotoli, esplode, implode, si polverizza, regna il caos e imperversa l’anarchia. Un po’ le compatisco, queste persone, ma di nascosto. Ci sono invece altre persone che, pur non essendo dei veri e propri workaholic, hanno bisogno del lavoro per occupare il tempo che non saprebbero come destinare altrimenti. Queste persone, invece, le derido un po’ più apertamente.
Io penso che il meccanismo aziendale vada avanti benissimo anche senza di me, e mi sento già piuttosto utile e indispensabile su parecchi altri fronti. Mi piacciono troppe cose e ogni mattina, arrivata al lavoro, potrei tranquillamente stilare una lista di 10 attività che preferirei fare piuttosto che stare alla scrivania. Se pensate che queste attività siano solo: “dormire”, “fare la piega”, sbagliate. Farei cose, anche faticose. Quello che mi salva, alla fine, è che ho senso del dovere e che sono una maniaca del controllo, per cui finisco col fare il mio lavoro in un modo decente. Non dico eccellente -altrimenti sarei un top manager con uno stipendio a 5 cifre- ma neppure deprecabile.
Ma io mi chiedo, è giusto così? Davvero non sono abbastanza intelligente -dove con intelligente intendo ragionevole- da fare pace con la questione e trovare il mio motore, il mio personale motivo di attaccamento al lavoro? O se non ragionevole, perché non sono socialmente funzionante e non me ne faccio una ragione? Mi sono fatta una ragione di tantissimi fatti e persone, di alcuni miei limiti, è possibile che non riesca a farlo sul lavoro?
Io credo che si possa ragionare per compartimenti stagni e che la scissione “metto il pilota automatico sul lavoro, la mia vita vera è fuori” si possa sopportare: conosco persone che ce la fanno e vi assicuro che vivono la loro esistenza lavorativa molto bene, certamente meglio di me. Apparentemente si tolgono il cappello della persona, si infilano quello del lavoratore ed entrano in una modalità a basso consumo. Il che, ci tengo a dirlo, non è necessariamente negativo: spesso fanno in maniera dignitosissima -ancorché poco partecipata- il loro lavoro.
Ci ho pensato spesso, ma credo non sia la soluzione mentale che non fa per me. Ho un problema di coerenza. Io ho bisogno di essere tutta intera, e non riesco ad adottare modelli di comportamento diversi a seconda delle situazioni. Ad esempio, sono affabile e mi piace interessarmi alle vicende personali di chi mi circonda: non riesco a mettere in modalità OFF questa forma mentis e adottare un profilo più british sul lavoro. Ci ho provato spesso, a cercare la giusta misura tra “fredda e calcolatrice” e “amicona del mondo intero”, ma non ci sono mai riuscita. Tuttalpiù sembro una povera dissociata che sta tutta antipatica e contegnosa per un paio d’ore, per poi sbragare maldestramente e diventare un avanzo di osteria poco dopo. Vorrei essere composta come Pirlo, ma poi divento come Toto Schillaci, ecco.

L’aplomb che vorrei possedere
Mi piace entrare nel merito di ciò che faccio, capire i meccanismi, padroneggiare gli argomenti: analogamente, sul lavoro, non desidero essere una che coltiva il suo giardinetto e si ferma lì. Io sono votata alla condivisione, mi piace motivare le altre persone a muoversi verso un obiettivo comune: è per questo che metto a servizio di tutta l’organizzazione quello che ho appreso. Detto così, sembro il soggetto ideale per dedicarsi al lavoro con passione, e invece non ci riesco.
Forse sono più brava a trasmettere entusiasmo ad altri, che non a infonderlo a me stessa. Non per nulla mi piace spiegare, semplificare concetti, incoraggiare le altre persone a farli propri e tradurli in azioni. Spesso riscopro l’utilità del mio compito, e ne capisco la bellezza intrinseca, quando lo spiego ad altri e mi immedesimo in chi non lo conosce. Forse sono più portata a far diventare bravi gli altri, che non a sfruttare le mie competenze per ottenere visibilità o riconoscimenti -e il famoso stipendio a 5 cifre di poc’anzi-.
Per ritrovare motivazione, per individuare la mia collocazione, devo ripartire da questa capacità di dare. Forse la chiave del mio ritorno al lavoro, sta nella parola generosità. Forse.
giulia torelli
Settembre 19, 2016 at 10:02 am
Come ti capisco! Sono esattamente uguale a te. Magari il tuo progetto personale potrà rimpiazzare il tuo lavoro? Te lo auguro (mi dispiace per tuo padre, spero si sistemi tutto).
gynepraio
Settembre 19, 2016 at 1:06 pm
Mio papà, a calci in culo o con le carezze, tornerà in forma. Al mio progetto personale ho intenzione di dare una chance vera, anche se temo resterà solo una bellissima soddisfazione…
Paola
Settembre 19, 2016 at 11:31 am
Prima di tutto un grande in bocca al lupo per tuo padre:). Mi aggancio al discorso dei workaholic che a me fanno un po’ pena e non sono indulgente con loro perché la verità è che oltre al lavoro non hanno stimoli ed interessi mentre fuori c’è un mondo che offre mille opportunità. Io non mi sforzo di trovare un motivo per farmi piacere quello che faccio anzi me ne distacco a tal punto da progettualizzare il restante tempo fuori continuamente. Tre anni fa stanca di un full time che mi lasciava poco tempo per altro oltre ad essere sfinita dal traffico di Roma ho chiesto il part time per potermi dedicare finalmente ad un mio hobby che è poi diventato un secondo lavoro. Per cui ora le mie giornate hanno un senso e mi fanno sentire una persona migliore. Se il tuo progetto è fine a migliorare la qualità della vita vai dritta al traguardo che la vita è troppo breve per trascorrerla dietro ad una scrivania e le teste brillanti non possono rinchiudersi così.
gynepraio
Settembre 19, 2016 at 1:09 pm
Hai avuto un grande coraggio. Io potrei fare altrettanto, ma ancora non ho un progetto vero sul quale dirottare le mie energie. Appena sarà chiaro, non escludo di fare una scelta simile alla tua. Poi se ti va raccontami quali sono i tuoi 2 lavori!
Marghe ✿
Settembre 19, 2016 at 11:58 am
madonna hai toccato un tasto dolentissimo, meglio che sto zitta!
auguri per il babbo, spero si rimetta presto…
gynepraio
Settembre 19, 2016 at 1:10 pm
Lo spero anche io, ma le prospettive per ora non sono così brutte.
Fran
Settembre 19, 2016 at 2:04 pm
Guarda ti capisco benissimo. A me piace molto il mio lavoro ma non sono una workaholic. Diciamo che ho altre ottomila cose che farei molto volentieri oltre al lavoro. E mio marito si incazza perchè dice che non mi impegno abbastanza e non sono ambiziosa. No, non sono ambiziosa. Che c’è di male in questo? Io sono contenta così! E siccome non mi piace scendere a compromessi e non ho la faccia come il sedere carriera non la farò mai e chi se ne frega. In bocca al lupo per il tuo papà! :-*
gynepraio
Settembre 20, 2016 at 12:56 pm
Riferirò al papà. E comunque -a parte dispiacermi per l’eventuale spreco di talento tuo- anche io credo che l’ambizione sia sopravvalutata.
virginiamanda
Settembre 25, 2016 at 6:07 am
Brave tutte e due, avete detto una sacrosanta verità: l’ambizione è sopravvalutata.
A me piace molto il mio lavoro, mi impegno per farlo al meglio ma… poi basta. Non mi interessa essere competitiva, non mi interessa scalare una eventuale piramide gerarchica, non mi interessa neanche (sono sincera) guadagnare di più, se a questo si collega direttamente un aumento di ansia, responsabilità e notti insonni.
Adoro il mio lavoro e ho studiato a lungo per averlo, ma quando sono finita ad avere più responsabilità, e dopo un annetto non me la sono più sentita, ho mollato tutto e non mi sono sentita in colpa un solo secondo.
Insomma il lavoro è importante, una voglia di migliorarsi positiva (nel senso che spinga a non scavarsi la fossa da soli per meccanicità di azioni quotidiane) è sana, ma la salute è molto più importante!
Avere un figlio, crescerlo, cercare di esserci per un genitore che attraversa un momento critico, essere disponibili all’ascolto e alla comprensione del compagno, costruendo ogni giorno una famiglia, gestire un progetto personale sono altrettanto fondamentali nella definizione del sè, ~ secondo me, naturalmente~ che non quello che volentieri o meno si è costretti a fare sotto un capo per portare a casa uno stipendio che permetta le cose belle di cui sopra (figlio, cure, famiglia…).
My two cents.
gynepraio
Settembre 25, 2016 at 12:46 pm
Diciamo che mi piacerebbe, anche solo a titolo di esperienza, interpretare un lavoro come una missione, o un piacere addirittura, e non solo come un dovere necessario a procurarmi altri beni o piaceri. Ma forse chiedo troppo.
Serena
Settembre 19, 2016 at 10:45 pm
Vivo esattamente la tua situazione…con la differenza che sono già tornata da qualche mese a lavoro dopo la maternità. Nemmeno io sono mai stata una workaholic, ma adesso tutto quello che faccio mi sembra inutile e privo di qualsiasi valore. In compenso questo stato di malessere mi ha fatto davvero venire voglia di cambiare, e mi sto impegnando con tutte le mie forze per riuscirci. Un in bocca per tutti i tuoi progetti futuri e per il rientro a lavoro!
gynepraio
Settembre 20, 2016 at 12:55 pm
Crepi! In bocca al lupo anche te, e tienimi aggiornata
Manuela
Settembre 20, 2016 at 2:27 pm
Ti capisco tanto, anche io non mi sento per niente una workaholic perché però il mio lavoro non mi piace affatto, però avendo passato un lungo periodo di disoccupazione cerco di non farmi prendere troppo dallo sconforto ricordando i periodi peggiori.
Ultimamente ho trovato la mia valvola di sfogo nel tornare a studiare, spero che il tuo progetto possa portarti serenità.
Un in bocca al lupo al tuo papà!
gynepraio
Settembre 21, 2016 at 10:45 am
Manuela, chi ha voglia e coraggio di rimettersi a studiare ha di default tutta la mia ammirazione. Hai toccato un aspetto molto importante che io non avevo menzionato, cioè l’immenso privilegio di avere un lavoro rispetto alla prospettiva desolante di essere disoccupati. Questo pensiero da un lato mi riporta a più miti consigli e rende ancora più difficile pensare a scelte radicali. Uffa.
Marta
Settembre 21, 2016 at 9:54 am
Ti capito benissimo! Mi rivedo in ogni parola. Chissà che per il tuo progetto personale ci sia una svolta, incrocio le dita!
Tanti tanti tanti auguri al tuo papà
gynepraio
Settembre 21, 2016 at 10:42 am
Grazie Marta, ci sono premesse per cui mio papà stia meglio in tempi brevi. E per il mio progetto, sto incrociando anche le dita dei piedi
Claudia
Settembre 21, 2016 at 10:12 am
Hai espresso perfettamente i miei pensieri, io sono tornata al lavoro quando Vittoria aveva 5 e mezzo, complice il papà temporaneamente a casa, l’inizio dello svezzamento e un capo che andando in pensione mi ha dato le consegne (ma non il suo stipendio), altrimenti tutto il lavoro fatto sarebbe andato a ramengo e rischiavo di fare qualcos’altro che non mi piacesse o che mi piacesse meno, meglio dirla così. Sono piena di energie ma non riesco a farle convogliare in qualcosa di concreto. Le uniche soddisfazioni con la mia piccola, ma penso che per trasmetterle tranquillità, fiducia e sicurezza, devo essere io la prima a credere in me stessa ed essere contenta delle cose che faccio, sopratutto crederci e portarle a compimento.
Mi rendo conto che sul lavoro ho messo il pilota automatico, diciamo così, penso che non potrà durare a lungo, sarà la stanchezza, il poco sonno, ma forse me la sto solo raccontando, devo decidermi a ‘svoltare’.
Ciao, e in bocca al lupo per tutto.
PS: I tuoi post su Instagram sono riusciti qualche volta a farmi sorridere se non ridere, sei dotata di tanta ironia positiva che riesci a trasmettere benissimo (io sono quella a cui hai parlato del correttore occhiaie qualche settimana fà)
gynepraio
Settembre 21, 2016 at 10:42 am
Grazie Claudia, in effetti scrivere didascalie su Instagram mi piace molto. Potrei farne un lavoro, ecco…
Mi auguro e ti auguro di riuscire a visualizzare esattamente cosa desideri fare. Quando sai cosa vuoi, metterlo in atto è relativamente semplice.