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By gynepraio8 Maggio 2017In MoviesPersonale

Thirteen reasons why e relative riflessioni

Con il consueto ritardo che caratterizza il mio rapporto con le serie TV, sabato ho finito Thirteen Reasons Why, la serie prodotta da Selena Gomez e distribuita da Netflix che è recentemente stata oggetto di discussione e riflessione da parte di tutti-tranne-me-finora.

Per chi non l’avesse vista, Thirteen Reasons Why è un lungo e tardivo j’accuse da parte della diciassettenne statunitense Hannah Baker nei confronti di coloro che, attraverso atti di ostilità-bullismo-violenza-sopraffazione-omissione hanno contribuito al suo suicidio. Tardivo in quanto queste audiospiegazioni sono incise su una serie di audiocassette che vengono ascoltate e divulgate solo quando la protagonista è già morta.

thirteen reasons why

La locandina della serie

Inizio subito col dire che a me non è piaciuta molto. In primis, ho trovato gli episodi spropositatamente e inutilmente lunghi rispetto al necessario. Per dirla à la Hitchock, non c’è sorpresa perché Hannah muore al minuto 0, ma è evidente l’obiettivo di creare suspance perché il quadro psicologico di Hannah vittima e delle sue relazioni si comprende solo alla fine: l’intento è corretto, ma io avrei semplicemente ristretto il brodo. Almeno per i primi 8 episodi, la tensione era così bassa che ho continuato fino alla fine solo grazie all’insistenza da parte di alcune persone (grazie Paola!). Non penso che seguirò la seconda serie ma Thirteen Reasons Why mi ha comunque fatto pensare a un sacco di cose

La calunnia è un venticello, e il bullismo è il suo figlio primogenito. Tutti i problemi di Hannah cominciano con il diffondersi di voci false sul suo conto, che corrono di bocca in bocca e che, in apparenza, non sono così negative: è nominata nella classifica delle ragazze più appetitose del suo anno, ha una rapida e sfortunata liaison con uno dei ragazzi più carini della scuola. La colpa di Hannah, fondamentalmente, è di essere ingenua prima, e  inerme dopo.

thirteen reasons why

Una vittima di bullismo molto carina e poco sfigata

Il bullismo è subdolo e si annida ovunque. Come dicevo già qui, sono finiti i tempi di De Amicis: il bullo non è Franti, ma Derossi. Sempre più spesso, è popolare, ricco, bello e con una reputazione da difendere: per questo motivo, intimidazioni e minacce sono sottili e basate sul meccanismo perverso del ricatto e della vergogna, più che sul semplice automatismo della violenza.

La scuola ne esce male. Nel liceo americano descritto in Thirteen Reasons Why c’è un counselor a servizio degli studenti che soffrono e ogni ragazzo ha un advisor che ne segue i progressi: siamo lontanissimi dall’italica Buona Scuola in cui i ragazzi vengono mandati in corridoio a farsi un giro se si comportano male. Il limite del modello statunitense sta nelle priorità: è il gesto estremo (=il suicidio) a destare preoccupazione, e non la sua causa (=il bullismo)*. Questa cosa, tristemente, viene fuori anche ascoltando lo speciale “Beyond the reasons” che segue l’ultimo episodio, in cui autori e produttori raccontano lo spirito che ha animato tutta l’opera: si insiste molto sul fatto che bisogna parlare, aprirsi, non tenere dentro il proprio dolore, perché il suicidio non è una soluzione percorribile. Sulle possibili genesi della mentalità bulla, sulla violenza sessuale sottile, a mio parere si dice molto poco.

I genitori americani vogliono stare senz’ penzieri. I peggiori se ne vanno in vacanza e lasciano i figli adolescenti a casa soli per intere settimane. Alcuni, negazionisti fino al midollo, si rifiutano di pensare che i loro figli siano sostanzialmente dei bulli. Altri, hanno solo delle grosse fette di prosciutto sugli occhi. Hannah non ha nemmeno un’amica, già da prima di subire del bullismo; esibisce un umore quasi sempre nero, i suoi voti peggiorano, trascorre una intera estate senza vedere nessuno. I suoi genitori non sono una coppia sfasciata che vive nel degrado, anzi è evidente che amano oltremodo loro figlia: eppure scoprono la trama di esclusione, solitudine e rifiuto che circonda la figlia solo dopo che essa è morta.

Che ci tocchi rivalutare le madri apprensive e invadenti? Se a 17 anni io non avessi mai menzionato nessuna ragazza, se non mi avessero mai fisicamente vista uscire con qualcuna o studiarci insieme, beh, mia madre due domande sul mio sviluppo emotivo-relazionale se le sarebbe fatte prima. Mia madre mi pesava con gli occhi e alla prima oscillazione di peso percepibile si insospettiva. Mia madre sapeva che sarei stata lasciata dal mio ragazzo prima ancora che lo sapessi io, e probabilmente prima che lo decidesse lui: e non perché abbia un dottorato in psicologia adolescenziale problematica ma perché era una buona osservatrice.

L’angosciante concetto di corresponsabilità. La morale che adolescenti e adulti possono trarre dalla serie è che dei gesti spesso involontari, frutto di superficialità e quasi innocui se presi individualmente, accumulandosi l’uno sull’altro possono irrimediabilmente ferire chi li subisce. Il monito è pensarci ben bene prima di escludere qualcuna, farci un catfight e darle uno schiaffo, fregarle il ragazzino, incoronarla “culo più bello del secondo anno”: sono alcune delle angherie che subisce Hannah ma che -non penso di dire nulla di falso o impopolare- sono cose che accadono continuamente nei rapporti tra ragazzi. Dalla vicenda di Thirteen Reasons Why, sembra che siamo tutti dei potenziali elefanti nel negozio di porcellana dei sentimenti altrui: non conosciamo le storie che stanno dietro a ognuno e possiamo con pensieri, parole, opere e omissioni (semicit.) concorrere ad allargare la macchia dell’altrui dolore. Non potete immaginare quanto mi affligge questo onere di corresponsabilità, l’idea che pur non incorrendo nel penale vero e proprio tutti possiamo renderci complici della sofferenza d’altri.

Sarà che sono una persona che spessissimo commette passi falsi, perché ho le tendenza a parlare troppo presto, a ironizzare molto e subito anche in presenza e sul conto di persone che non conosco sufficientemente bene, perché sono campionessa mondiale di gaffes. Sbaglio a nutrire la speranza che lo spirito di autoconservazione porti chi si sente turbato dal mio modo di fare a mandarmi bellamente a cagare (cosa che peraltro mi accade piuttosto spesso) anziché chiudersi in una stanza con pensieri autolesionisti? C’è un modo di insegnare ai figli a ironizzare, accettare l’altrui ironia fino al giusto punto oltre il quale è giusto difendersi?

Qualcuno me lo dica, grazie.

*un po’ come temere gli atti terroristici, e dimenticarsi di fare una politica estera da schiacciasassi imperialista, diciamo

 

 

 

 

svgInstamonth aprile 2017
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svgAnne of Green Gables ci insegna a gestire gli haters

7 Comments

  • BARBANERD

    Maggio 9, 2017 at 11:46 am

    https://www.facebook.com/barbanerdTV/videos/459214391077799/

    VIDEO RECENSIONE DELLA PRIMA STAGIONE DI 13!

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  • Giulia

    Maggio 9, 2017 at 5:01 pm

    Complimenti, questa è la prima analisi di 13 che condivido pienamente!
    Di sicuro ha i suoi difetti (sotto moltissimi punti di vista) ma il pregio maggiore della serie, secondo me, è quello di essere un prodotto per le masse. Come tale ha spinto moltissime persone anche totalmente ignare (o volutamente tali) del fenomeno del bullismo a rifletterci su e soprattutto a chiedersi “sarà mica il caso di PENSARE prima di parlare?”.
    Molto stimolante il quesito che poni alla fine su come insegnare ai figli a ironizzare (e, io aggiungerei, anche a sapersi difendere CON la propria ironia). Secondo me in questo i genitori ricoprono un ruolo importantissimo tramite l’esempio, ovvero mostrando loro stessi, nella LORO vita di tutti i giorni, che il giudizio degli altri ha un’importanza veramente molto relativa, che ci sono occasioni in cui “speaking up for yourself” è necessario e catartico. E, soprattutto, che prendere alla leggera la vita e farsi rispettare è possibile senza diventare a propria volta bulli, violenti e antipatici. I miei genitori mi hanno educato, attraverso il loro comportamento con il prossimo, alla gentilezza e alla sensibilità, ma purtroppo non al prestare poca attenzione al giudizio altrui e al non battere in ritirata nel corso di un conflitto. La vera sfida sarà impararlo io stessa e cercare di trasmetterlo ai miei figli se ne avrò, coniugando sensibilità e forza di carattere (sarà mai possibile? Lo spero, un paio di persone così le conosco).
    Ti leggo sempre e sei di grande esempio per me, grazie.

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    • gynepraio

      Maggio 13, 2017 at 8:29 am

      Grazie a te Giulia. Anche io non sono molto capace di ignorare i giudizi non richiesti e di difendermi, ma spero con mio figlio di fare meglio

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  • Chiara

    Maggio 10, 2017 at 10:11 am

    Sono molto d’accordo con il tuo commento, ma oltre a convenire sul fatto che le puntate sono tediosamente lunghe e pressochè identiche dal punto di vista narrativo ( ascolto cassetta dedicata a Tizio = tizio fa cose spregevoli = Hanna Backer subisce), non sono nemmeno troppo convinta del modo in cui i temi (bullismo, suicidio, sofferenza adolescenziale, depressione) sono trattati.
    O meglio diciamo che sono trattati al classico modo all’americana, piatto e con poche sfumature. Io trovo che sia piuttosto inverosimile come storia e molto stereotipata (ricchi= stronzi e stupratori – nerd = sensibili e timidi – cheerleader = sceme e sempre ubriache adulti= distanti e incapaci di aiutare gli adolescenti), poi mi rendo conto che è un prodotto mainstream e quindi ci si deve poter identificare facilmente, ma sicuramente non griderei al capolavoro. Anche perchè il presupposto di base su cui si fonda la serie tv, suicidio= vi spiego perchè l’ho fatto, è una favola, le persone che si suicidano sono così disperate che raramente lasciano biglietti con dei je accuse, quindi dal punto di vista della sceneggiatura, è un po’ traballante. Interessante invece lo spaccato della famiglia americana, davvero impietoso.

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    • gynepraio

      Maggio 13, 2017 at 8:31 am

      Condivido quello che dici, ma riconosco alla serie il merito di aver portato all’attenzione del grande pubblico un tema caldo come il bullismo. Ecco, forse non educherà nessuno ma spero spingerà molti a farsi delle domande e questo è già qualcosa.

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  • Manuela

    Maggio 10, 2017 at 3:49 pm

    Sono d’accordo con l’articolo, e vorrei aggiungere le mie considerazioni. Trovo la serie in sé scarsa come scrittura, perché vuole creare un hype continuo con il trucco dell’anticipazione che viene gestito molto male: lo stupro finale diventa nel complesso della storia un particolare quasi secondario. L’approfondimento psicologico è di basso livello, così come l’aspetto sul rapporto con i genitori, che vengono rappresentati esclusivamente come spettatori esterni ed imbelli. Io, inoltre, trovo inaccettabile il promuovere l’idea di poter scaricare su tutti gli altri le ragioni delle proprie azioni, seminando indiscriminatamente un mostruoso senso di colpa per problematiche in certi casi irrilevanti: non si può sostenere l’idea che uno che fa un apprezzamento (peraltro POSITIVO!) sul culo di una ragazza sia responsabile del suicidio della stessa ragazza allo stesso modo di come possa esserlo uno stupratore. L’unico vero problema nella storia di Hanna è lo stupro (subìto e visto subire). E la serie ha avuto l’abilità di riuscire a minimizzare questo aspetto, mettendolo sullo stesso e medesimo piano rispetto a tutto il resto.

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    • gynepraio

      Maggio 13, 2017 at 8:35 am

      La serie promuove l’idea che gutta cavat lapidem, e che molti micro-avvenimenti apparentemente innocui si stratifichino e contribuiscano alla scelta finale della protagonista. Non tutti hanno lo stesso peso, certamente. Io credo che la scelta di collocare lo stupro alla fine della stagione servisse solo a creare un crescendo, anche se, concordo con te, è la ragione principale della sua decisione di suicidarsi.

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