
Cara Ijeawele, Cara Valeria, Care tutte
Questo weekend sono stata bene perché
- siamo usciti sabato sera per andare a sentire un reading di Baricco che vivaddio mi è piaciuto
- domenica ho ospitato a pranzo persone piacevoli che non vedevo da tempo
- sono andata all’Ikea senza perdermi nel parcheggio né comprare inutilità
- ho cenato (da sola!) con un etto di gorgonzola, 2 pacchetti di crackers Doria e 3 bicchieri di vino rosso
- ho letto un libro intero che mi ha esaltato e messo addosso una voglia di condivisione di cui non ricordo molti precedenti.
Il libro in questione è “Cara Ijeawele” della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie. Il sottotitolo è “15 consigli per crescere una bambina femminista” ed è scritto in forma di lettera ad un’amica in procinto di avere una figlia femmina. Il contesto socio-geografico è la Nigeria, un Paese dove le due morali più maschiliste della storia, quella cattolica e quella musulmana, si mischiano a quella Igbo, uno dei più numerosi gruppi etnici del Paese.
Cercherò di spiegare quella pervasiva sensazione di serenità, sensatezza e compiutezza che ho provato durante la purtroppo breve lettura di questo pamphlet. Quell’impressione cristallina di immediata, percepibile e sintetica correttezza che mi ha colto fin dalle prime righe e che non mi ha lasciata fino all’ultima parola. Leggere “Cara Ijeawele” è stato come finire un puzzle i cui pezzi erano già sul tavolo da anni, o come scoprire che esiste un nome per una malattia o un disagio che credevi indefinibile. Ho vissuto la sensazione di sollievo di quando il tuo interlocutore finisce una frase al tuo posto usando parole che tu non avresti avuto il coraggio di dire ma che sposi al 101%.
Ho infine avvertito il tipico senso di inferiorità culturale che provo quando sento qualcuno parlare francese. Perché i 15 suggerimenti di Chimamanda Ngozi Adichie sono come il francese: mi sarebbe bastato impararlo da piccola, oppure applicarmi un pochino, e l’avrei già fatto mio. Invece mi sono nascosta dietro scuse: l’inglese è più utile, in fin dei conti non ti serve, non ho tempo, ci sono tutti quegli accenti.
Same story col femminismo: non mi sono mai sentita in dovere di impararne la grammatica, o di obbligarmi a una disciplina personale o di essere d’esempio per gli altri, o di uscire da tunnel cognitivi e luoghi comuni. Forse la mia posizione di occidentale privilegiata mi ha messa al riparo dalle discriminazioni di genere? Oppure le ho subite ma me le hanno vendute molto bene? Chissà.
Non voglio privarvi del piacere di leggere autonomamente”Cara Ijeawele” ma vorrei solo evidenziare alcuni dei 15 suggerimenti che mi hanno maggiormente toccata:
Cara Ijeawele: mettere in discussione la lingua
L’invito in questo caso è esplorare le potenzialità del proprio idioma e rifuggire dall’utilizzo di espressioni verbali (e non) che rafforzino le differenza di posizione e dignità tra i generi. In questo caso l’autrice non parla solo di obbrobri come “sindachessa” ma anche di espressioni comuni, a volte usate in chiave ironica ma che portano in sé una vision irrimediabilmente maschilista. Ad esempio usare la parola “principessa” come vezzeggiativo per una bambina oppure dire che una ragazza è in “età da marito” per indicare che ormai è grande e deve mettere la testa a posto. A proposito di un luogo di lavoro in cui sono stata in passato, ho detto che c’erano troppe donne sottintendendo che il clima di competitività, maldicenza, obliquità che caratterizzava quell’organizzazione si era venuto a creare per un eccesso di progesterone. Alla luce dei fatti e a posteriori, sarebbe bastato dire che c’era un eccesso di brutta gente.
CARA IJEAWELE: il matrimonio non rappresenta un traguardo
Questo punto argomenta e motiva perché uomini e donne abbiano un atteggiamento diverso dinanzi a concetti quali “impegno”, “per sempre”, “relazione durature” e per esteso “fedeltà”, “monogamia”, “famiglia”. Le bambine sono abituate a considerare il matrimonio -o la stabilità amorosa- come qualcosa di desiderabile e auspicabile: i bambini, no. Queste priorità così diverse, inculcate fin dalla più tenera età, creano il divario tra le aspettative che uomini e donne ripongono nell’esperienza-matrimonio. Non c’è quindi da stupirsi che queste ultime siano molto più disposte a investire nel matrimonio e sacrificare tempo, energia o dignità rispetto ai loro partner.
CARA IJEAWELE: bandire l’ansia di compiacere
Liberare una bambina dal dovere di essere piacevole, carina e opportuna significa autorizzarla a essere se stessa anche se quando quel “se stessa” può non essere levigato, elegante, chic. Significa anche insegnarle a difendere ciò che le appartiene, a stabilire le distanze, a esprimere opinioni. Forse non tutte le bambine possono diventare leader di un Paese ma tutte devono sapersi proteggere da ogni forma di bullismo fisico e morale (quello che Hannah Baker -figlia della società più democratica al mondo- non riusciva a fare, ndr). Il primo passo è rifiutare la vulgata inventata dagli uomini secondo la quale l’indipendenza di pensiero e la rabbia siano inopportune, ma anche poco sexy se non respingenti.
Ma se il compito di educare una figlia femmina all’indipendenza di pensiero spetta primariamente alla madre, è fondamentale fornirle anche dei riferimenti esterni, delle femminilità-altre che possano ulteriormente ispirarla. Come dice l’autrice, “circondala di un villaggio intero di zie, donne in possesso delle qualità che vorresti che lei ammirasse“. Sono letteralmente innamorata dell’idea di una task force virtuale di role model provenienti da tutto il mondo che, come zie, vigilano sulla ragazzina e se necessario si sostituiscono a sua madre per insegnarle quei valori che essa -in quanto una- non incarna.
L’ultima cosa che ho fatto domenica sera, anziché raccogliere le briciole di crackers di cui al punto 4), è stato comporre il mio personale schieramento di zie: Joan Didion, Astrid Lindgren, Virginia Woolf, Miranda July, Natalia Ginzburg. E Chimamanda Ngozi Adichie, naturalmente.

Ciao zie
PS Uno potrebbe chiedersi perché mi preoccupo di come crescere una piccola femminista quando ho un figlio maschio. Mi piacerebbe dire lo faccio per lui, per dargli gli strumenti per essere veramente dalla parte delle bambine. Ma la verità è che la bambina che deve essere educata, per molti versi, sono ancora io.
Francesca
Maggio 23, 2017 at 12:11 pm
Bellissimo post e pieno di spunti di riflessione e finestre che si aprono su nuovi mondi. Grazie
gynepraio
Maggio 27, 2017 at 3:05 pm
Sono contenta che ti sia piaciuto! A presto
Claudia
Maggio 23, 2017 at 12:29 pm
Bellissimo! Sarà mio, sia per mia figlia che per me! E’ sempre un piacere leggerti, qualsiasi argomento tu tocchi, che siano argomenti di una certa profondità, che sia il fantomatico illuminante Ivano San Lorenzo, quando l’ho capito ho riso mezz’ora e anche adesso!
ps sono cla_ri_ di instagram
gynepraio
Maggio 27, 2017 at 3:06 pm
Ivano San Lorenzo, nell’olimpo degli stilisti insieme a Luigi Vittone. A presto!
Adele Meccariello
Maggio 23, 2017 at 2:50 pm
Elia è un bambino fortunato. Anche crescere un figlio maschio femminista è importante; è importante insegnargli il femminismo vero, inteso come difesa dei diritti ma anche delle innegabili differenze di genere che non devono diventare mai svantaggi per nessuno. E poi, non c’è cosa più affascinante di un uomo femminista.
Quanto a noialtre, il libro che hai raccontato è in effetti davvero un ottimo promemoria per noi bambine grandi che rischiamo di perdere la bussola spinte dal “Ma dai, ma che fa, che vuoi che sia” o dal rifiuto di certi (effettivamente assai dannosi) estremismi ciechi. Il femminismo vero non è “Io sono meglio di te perché sono donna”, e questo si rischia di dimenticarlo troppo spesso.
Insomma, grazie, cara Valeria.
gynepraio
Maggio 27, 2017 at 3:10 pm
Grazie a te. I maschi femministi hanno un grande successo con le donne, sono d’accordo con te
Giulia corradi
Maggio 23, 2017 at 9:48 pm
post molto interessante .cerco subito il libro .abbiamo ancora bisogno di essere educate hai ragione
gynepraio
Maggio 27, 2017 at 3:05 pm
Credo che possa anche essere un bellissimo regalo per mamme e gravide!
Chicchi
Maggio 23, 2017 at 9:55 pm
Carissima leggere quello che dici della scrittrice di uno dei miei libri preferiti di sempre è una grande emozione per me. Faccio parte di un gruppo di lettura e da sempre e per sempre propongo “metà di un sole giallo” prima o poi riuscirò a farlo leggere alle mie amiche del club (andiamo ad estrazione e purtroppo non esce mai). Grazie perché ogni tuo post è per me spunto per nuove conoscenze (mannaggia però non ho
Ancora ceduto a netflix)
gynepraio
Maggio 27, 2017 at 3:04 pm
L’idea che esistano davvero i club di lettura spontanei ha appena reso la mia giornata migliore.
AliceOFM
Maggio 25, 2017 at 9:47 am
Segnato, perchè giusto in questo periodo sono alla ricerca di letture femministe. Grazie!
gynepraio
Maggio 27, 2017 at 3:03 pm
Si legge in meno di 2 ore ma lascia il segno!
Chicchi
Giugno 1, 2017 at 10:10 pm
Ti assicuro che è molto molto bello. Ci vediamo una volta ogni due mesi e parliamo del libro uscito (ad estrazione) la volta precedente. L’incontro della settimana scorsa è stato su le otto montagne di Cognetti, a luglio parleremo di Benedizione di Kent Haruf (siamo una trentina di ragazze sulla quarantina).