
Libri in 3 parole: “divorare il cielo”
Ho comprato questo romanzo perché aveva un titolo interessante, e anche per via di un piccolo debito morale che ho nei confronti di Paolo Giordano: nell’anno del Signore 2010, in un solare mattino di primavera, l’ho quasi investito uscendo con baldanza dal portone della vecchia casa in cui vivevo all’epoca. In più, mi sono macchiata di voyeurismo entrando in casa sua durante le ultime fasi della ristrutturazione, con la complicità dell’impresario che stava seguendo i lavori e che, diciamolo, aveva un certo debole per me. L’evento è già stato raccontato qui, eh, non sto facendo chissà quale outing.
Comunque, la “Solitudine dei Numeri” primi non mi aveva fatto sognare, in compenso il suo secondo romanzo intitolato “Il corpo umano” è notevole: a una persona che non conosca l’autore io suggerirei di partire proprio da questo.
Chi mi segue su Instagram sa che a giugno mi sono recata a una presentazione di “Divorare il cielo”: ero prossima all’uscita del mio romanzo (si chiama “Se tu lo vuoi“: sicuri di averlo letto? Sicuri sicuri?) e volevo capire come strutturare gli incontri e capire come suscitare le domande del pubblico. Nonostante la cornice bellissima (il giardino di Binaria in una sera di mezza estate) ne sono uscita perplessa e sinceramente annoiata: forse non ho compreso la natura di alcune domande perché non avevo ancora letto il romanzo, ma questa mia sensazione si è intensificata quando l’ho poi finito. È un testo ricchissimo di spunti per generare quesiti provocatori e brillanti che però non sono emersi. Ha degli evidenti limiti, soprattutto a livello di trama e credibilità dell’intreccio, ma penso che il dovere di chi presenta un autore sia di rendere il romanzo appetibile per chi non l’ha acquistato e non far dubitare chi invece ce l’ha già. Insomma, autori esordienti, fate occhio a chi vi presenta e pretendete solo il meglio.
LA STORIA
Teresa, un’adolescente torinese, diviene amica di tre fratelli pugliesi e intrattiene con uno di essi, Bern, un amore che prosegue negli anni. Questa passione totalizzante la induce a lasciare la casa paterna, trasferirsi al Sud e dedicarsi all’agricoltura in una masseria tramutata in una piccola comune. Il loro matrimonio è inizialmente felice ma il mancato arrivo di un bambino riporta in superficie tensioni e antiche menzogne, decretando la loro separazione e inducendoli a prendere strade molto diverse.
Non voglio dire troppo, ma è proprio sulla trama che io ho individuato più sbavature e improbabilità: ci sono alcuni espedienti e aneddoti che, oltre a non essere indispensabili, sono così poco verosimili da togliere credibilità all’opera.
DIVORARE IL CIELO: FEDE
I tre fratelli, coprotagonisti del romanzo, non sono propriamente fratelli di sangue ma sono stati allevati da un uomo che è per alcuni zio, per altri padre. Costui, che sarebbe esagerato definire santone, è fondatore e leader di una piccola comunità parareligiosa: i ragazzi ricevono quindi una educazione peculiare, fondata sul disprezzo del capitale e dei beni terreni, su un rapporto ombelicale con la natura e con il ritmo delle stagioni, sul rispetto della libertà e degli spazi di spazi di riflessione individuali. Questa formazione sui generis porterà i tre ragazzi a sviluppare aspirazioni totalmente differenti: a una vita divina, a una vita borghese o a una vita normale. L’aspirazione a qualcosa di superiore, il desiderio di completezza e di pienezza è proprio quello che anima Bern e che affascinerà Teresa, portandola a seguirlo nei suoi progetti.
La comune si evolverà e farà una fine indegna, ma è innegabile che una infanzia tinta di misticismo abbia segnato pesantemente il futuro dei ragazzi.
DIVORARE IL CIELO: PUGLIA
La protagonista più bella del romanzo, eccola qui. Non so se Paolo Giordano abbia un legame particolare con questa regione, ma io lo scorso inverno ho vissuto un weekend pugliese affascinante -ancorché in un periodo tremendo- e mi è rimasta addosso una voglia indicibile di scoprire tutti gli anfratti di questa regione. “Divorare il Cielo” è in gran parte ambientato nella zona di Fasano e parla di campagna, stagni, sole, piante, mare, fari, spiagge. C’è una alternanza molto sapiente di stagioni, calore estivo e desolazione invernale.
Si usano parole del mondo rurale come “tratturo” e “làmia” (vocabolo questo che, per pigrizia, continuo a non voler cercare sul vocabolario ma che presumo sia una specie di porticato). Il legame con la terra si fa ancor più potente quando i nostri protagonisti si dedicano full time a una sorta di agricoltura biodinamica che rende il loro stile di vita ancora più semplice e austero.
Dall’amore per la terra nascono anche le battaglie e i gesti dimostrativi che Bern e i suoi amici faranno ai danni di multinazionali, istituzioni e lobbies.
DIVORARE IL CIELO: STERILITÀ
La ricerca di un figlio da parte di Bern e Teresa è lunga e difficoltosa: l’io narrante è quello di Teresa, aspirante madre. Mi sarei aspettata una trattazione del tema fortemente toccante, molto fisica: invece le vicende -incluso un rocambolesco tentativo di fecondazione assistita nell’ex Unione Sovietica, forse l’unico momento vagamente comico dell’intero romanzo: è una mia idea o Paolo Giordano non fa mai ricorso all’ironia?- vengono descritte con un rigore cronistico sorprendente, visto il tema. Anche il racconto di come sopravviene la crisi -figlia dello stress e del non detto, come sempre- e il matrimonio che si sbriciola è sempre chirurgico.
Ho ripensato a un altro romanzo italiano, “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini, che conteneva numerose pagine commoventi sull’infertilità di coppia: era una narrazione indubbiamente femminile, ricca di immagini e metafore cromatiche (il ventre caldo e rosso, il vuoto freddo e blu) scelte semantiche molto figurate e potenti. Si tratta di un tema che mi tocca nel profondo, e ho trovato entrambe le narrazioni molto forti e coinvolgenti.
elena
Ottobre 8, 2018 at 3:17 pm
E’ bello leggere qualcuno che scrive di libri con cognizione e non tanto per scriverne 🙂 Per quanto riguarda Giordano, boh, anch’io mi sono approcciata con La solitudine dei numeri primi e anche io sono rimasta un po’ così. Dici che è il caso di riprovare? 🙂