
Diete, Intuitive Eating e Grassofobia
Non l’ho scritto nel titolo, ma molte delle riflessioni contenute in questo post derivano dalla lettura di “The f*ck it diet” di Caroline Dooner. Non l’ho precisato perché ho paura che Google, o Facebook, o chissà chi, classifichino questo contenuto come offensivo e lo condannino per sempre a strisciare nei meandri del web, senza ricevere menzione o visita alcuna, tutto per colpa della F-word.
La Dooner è una giornalista, autrice e fondatrice di un movimento associato proprio al suo saggio “The f*ck it diet”; un tempo appassionata seppur fallimentare seguitrice di diete, si spende per predicare e diffondere un approccio meno ansioso all’alimentazione e al peso forma che possiamo inquadrare nella corrente dell’Health at every size. “The f*ck it diet” non è un thriller quindi mi sento libera di parlarne senza timore di rovinarvi la sorpresa: esso parte da una critica minuziosa dei regimi dimagranti chiamando in causa la biologia, la medicina, l’industria e la filosofia
BIOLOGIA
Ogni dieta è destinata a fallire perché entrare un regime di privazione (=ridurre l’apporto calorico) pone l’organismo in uno stato di allerta e timore di una carestia che lo riporta prima o poi a ripristinare le scorte nutritive che la dieta ha rimosso, e quindi a riprendere i kg perduti. Le abbuffate, in questo senso, non sono imperdonabili défaillance dovute all’assenza di volontà, ma la riprova del fatto che la nostra parte più autentica e animale funziona bene. In più, la privazione sistematica (=il controllo costante dell’introito calorico) provoca conseguenze psichiche ed emotive sull’individuo che possono durare anche tutta la vita e che compromettono gravemente il suo rapporto con i cibo, il benessere, la salute e in generale l’equilibrio. A questo proposito l’autrice cita il Minnesota Starvation Experiment (trovate qui la descrizione sommaria, nell’opera della Dooner è dettagliato molto meglio) e fa riferimento al fatto che nel 1950 una dieta a 1500 Kcal era considerata “affamante” (starvation= inedia, carestia) mentre oggi la maggior parte dei regimi prescritti dai medici si aggira attorno a quei numeri!
MEDICINA
Il sovrappeso e l’obesità sono concetti legati all’indice di Massa Corporea, un numero che da solo non è in grado di descrivere lo stato di benessere di un individuo, né di predirne il rischio cardiovascolare e l’aspettativa di vita. Spesso i benefici derivanti da una dieta non sono così rilevanti da giustificarne gli effetti collaterali in termini psicologici ed emotivi: un percorso volto all’accettazione di sé e alla ricerca di un benessere fisico generale -misurato quindi da parametri altri rispetto al peso e indipendente dalla taglia, da cui “health at every size”- è più positivo, inclusivo e sostenibile.
INDUSTRIA
Dal punto di vista economico, il controllo del peso è il principio su cui si basa un enorme e florido business che non ha alcun interesse a mollare il colpo o a favorire l’autoaccettazione e a interrompere la spirale del provo dieta A –> dimagrisco –> ingrasso nuovamente –> provo dieta B –> repeat. Molti dei fondamenti su cui si basa la dietologia moderna sono stati formulati nell’ultimo secolo e sono figli di una classe medica in qualche modo complice di questa industria (tutta americana).
FILOSOFIA
Molti dei cibi sani diffusi in Occidente nascono da intuizioni di pseudoimprenditori di estrazione protestante e puritana, tipo Graham e Kellogg, che si erano dati l’obiettivo di diffondere il consumo di alimenti senza zucchero e ricchi di fibre per ridurre il desiderio sessuale o indurci a una vita più parca. Ma in generale, la filosofia che sta dietro alle diete predica la demonizzazione del corpo e dei suoi bisogni, e la pretesa di controllarne le pulsioni con la mente e la forza di volontà.
La soluzione che propone la Dooner è basata su una presa di coscienza: raggiungere il peso che consideriamo esteticamente ideale per noi stessi non è impossibile ma implica uno sforzo di volontà che non può non ripercuotersi gravemente sul nostro equilibrio psicologico e che può condurre a conseguenze molto gravi come il disprezzo di sé, l’ansia cronica, la difficoltà a condurre una vita sociale soddisfacente e un generale intaccamento del proprio livello di felicità. Secondo la Dooner, infatti, esiste per ognuno di noi un range di peso entro il quale è ragionevole muoversi (in base alla fase della vita che si sta attraversando) e nel quale troveremo il nostro livello di benessere ottimale: è lì che saremmo se non fossimo continuamente sollecitati dai media a ispirarci a corpi femminili troppo magri, è li quindi che dovremmo puntare a stare ed è in quel range che i medici dovrebbero aiutarci a vivere con soddisfazione e salute (=Health at every size).
“The F*ck it diet” è proprio la non-dieta attraverso la quale tornare in quel range di peso, normalizzare il metabolismo, insegnargli ad autoregolarsi come un tempo, e rieducarci ad avere un atteggiamento neutro nei confronti del cibo. Questo percorso può durare mesi o anche di più, in base a quanto è radicata nell’individuo la diet culture e quanto velocemente siamo disposti ad abbandonarci al corpo, riconoscendone l’autorità e ascoltandone i bisogni senza razionalizzare: quasi sicuramente, ci saranno oscillazioni di peso ma il percorso terminerà in una stabilizzazione. La non-dieta è in apparenza una disintossicazione ma significa passare per un periodo totalmente deregolamentato, durante la quale non ci sono norme e prescrizioni e dove ogni messaggio del corpo va ascoltato e soddisfatto: la fame sregolata anche notturna, i richiamini di fame postprandiali, i pasti convenzionali saltati o sostituiti con pasti sbagliati o, per dirla à la De Andrè, le porcate mangiate in strada nelle ore sbagliate. Unitamente alla non-dieta, The F*ck it diet invita anche a riscoprire il riposo, inteso come restare inerti ma anche come rilassarsi e dedicarsi ad attività piacevoli: un altro modo per spiegare al corpo che no, non c’è nessuna carestia, va tutto bene e che il metabolismo può stare tranquillo.
La scommessa è che, quando il corpo avrà capito che non c’è nessuna carestia in arrivo, si calmerà e manderà segnali di fame meno sregolati e più mirati. Smetterà di volere “cibo” e vorrà “cibo dolce” o “cibo salato”, smetterà di richiedere “cibo dolce” ma chiederà “cioccolato”, “budino” o “torta”. Magari, a sorpresa, chiederà anche sedano e merluzzo al vapore, chi può dirlo. La Dooner cerca di esplorare e guidare questo periodo di disintossicazione e liberazione dalla diet culture da un punto di vista fisico, ma anche emotivo e mentale: descrive gli scogli più probabili, le obiezioni che ci si troverà a contrastare, le crisi e le ricadute da fronteggiare.
“THE F*CK IT DIET” È DA LEGGERE?
io dico di sì perché è piacevole, ricco di senso e provocatorio il giusto. Pecca, come tutti i manuali americani, di una certa reiterazione dei concetti ma vi ricordo che sono lo stesso popolo che dopo Obama ha votato Trump e che quindi hanno bisogno di spiegazioni chiare, cristalline e ripetute. Il limite del metodo proposto della Dooner -che ne ha fatto un movimento anzi una vera e propria scuola- è che nasce per persone istruite, o meglio fortemente abituate a leggere di dieta, alimentazione, cucina sana e naturale. Io sono davvero convinta che, dopo un periodo di euforia e anarchia alimentare, si riesca a sentire i segnali che il corpo manda, del tipo “mangia verdura che ti sta venendo lo scorbuto”. Credo però che l’indicazione “mangia tutto quello che vuoi finché vuoi” messa in mano a una donna iposcolarizzata della periferia di Chicago, che non ha mai consumato o cucinato un vegetale e ha un livello di accesso al cibo sano e una consapevolezza corporea molto limitata possa essere rischioso. Consapevoli di questo limite, secondo me ha senso leggerlo e in particolare affrontare l’ultimo capitolo con attenzione e soprattutto a cuore aperto. Lo potete ordinare in libreria e, se proprio non lo trovate lì, potete acquistarlo a questo link.
“THE F*CK IT DIET” E LA MIA STORIA PERSONALE
Nel leggere il passaggio che vi riporto, ho pensato molto alla me stessa di alcuni anni fa.
Non mi è mai stato diagnosticato ufficialmente nessun disturbo alimentare. Non sono mai stata magra al punto da allarmare gli altri, e a me stessa riuscivo a nasconderlo sostenendo di essere soltanto una “maniaca salutista”. Questo non significa che il mio modo di alimentarmi non fosse disturbato. Ma, stando ai nostri parametri culturali per i disordini alimentari, io non ci rientravo assolutamente. Qual è il termine medico per “tutto quello a cui riesco a pensare sono il cibo e la dieta e il peso e le tossine?”
Quella che sta seguendo è la mia personale esperienza, che non vuole essere rappresentativa di niente se non delle ragazze che, come me (e Caroline Dooner, ci tengo a precisarlo!), hanno sempre goduto del thin privilege eppure hanno passato gran parte della propria adolescenza a sognarsi magrissime e disprezzarsi.
Io non sono mai stata magra, sottile, efebica, esile: sono sempre stata una bambina di corporatura normale, molto forte, e, soprattutto, spropositatamente sana. Ma, forse perché ho avuto una mamma sovrappeso e preoccupata che io lo diventassi a mia volta, ho sviluppato una forte coscienza nei confronti del rischio di ingrassare: questo non significa che i miei genitori mi abbiano precocemente imposto un regime alimentare rigido, ma che nella mia famiglia era normale considerare la magrezza come qualcosa di desiderabile. Mia nonna, mia mamma e mia zia parlavano con nostalgia di quando erano giovani, belle e magre; c’era una sorta di tenera e preoccupata sollecitudine per i miei cugini inappetenti, contrapposti a me che invece ingollavo tutto senza fare storie. I miei compagni di classe delle elementari e delle medie prendevano in giro le ragazzine più in carne. Le modelle erano magre e tutte le acclamavano. Quando a 11 anni annunciai che volevo perdere peso nonostante fossi assolutamente nella norma, mia madre non ha detto “Vai bene così come sei, liberati dagli stereotipi occidentali e dal giogo del patriarcato” bensì: “Se pensi che staresti meglio, controllati un po’ e non farai fatica”.
Da allora, una parte di me è sempre e ripeto sempre, stata a dieta. Non ho mai smesso di guardare le persone magre pensando che anche io avrei voluto essere così, che non era giusto, chissà che cos’aveva il mio metabolismo per essere così lento. Mentre stavo a dieta e periodicamente trasgredivo, mandando tutto a rotoli, pensavo di avere un problema: com’era possibile che mi fossi alzata alle 05:45 per tutti gli anni del liceo senza mai gettare dalla finestra la sveglia, diplomandomi, laureandomi, trovando lavoro e non riuscissi a stare due cazzo di mesi consecutivi a dieta per perdere 5 o 6 kg?
Questa insoddisfazione di fondo, che mi ha sempre accompagnata, ha raggiunto in alcuni casi delle vette tremende: in Erasmus, per motivi che non ancora oggi non mi spiego, ho preso 6 kg in meno di un mese e non sono riuscita a liberarmene nonostante tutti gli sforzi. Non mi entravano più i pantaloni, non ne trovavo di decenti, non mi riconoscevo, non mi piacevo e avevo la sensazione di non piacere a nessuno. Forse non mi sarei così abbattuta se non avessi condiviso l’appartamento con due compagne di università entrambe magrissime e dotate di un metabolismo prodigioso, che mangiavano più di me senza conseguenza alcuna mentre io mi sentivo gonfia e infelice*. Quella fluttuazione di peso ha letteralmente rovinato il mio Erasmus, tanto che non ricordo di essermi divertita così tanto e ci ripenso sempre con un senso di cupa pesantezza. Lo sto provando anche adesso, solo scrivendone.
Questo accadeva nel 2003: i 6 kg dell’Erasmus li ho persi, per poi riprenderli durante un anno negli USA nel 2004), perderli nuovamente tutti nel 2005, restare abbastanza stabile e poi riguadagnarne una buona parte nel 2012 in seguito a un grande dispiacere amoroso. Ricordo che una volta, parlando con una mia ex collega che pesava 43 kg, le ho chiesto -mettendola in imbarazzo, credo- di spiegarmi cosa si prova a portare in giro un corpo così leggero.
Non so che cosa sia accaduto al mio metabolismo o al mio rapporto col cibo, ma tra il 2013 e il 2014 qualcosa è cambiato. A un certo punto, ho capito che la natura, la stessa che mi ha dato la resistenza e la salute di un cavallo, non mi ha dato anche l’ossatura e l’appetito di un colibrì. Mi ha regalato un fisico forte, una muscolatura iper reattiva a cui basta un po’ di palestra per aumentare di volume e tono, un sistema immunitario d’acciaio e un buon sistema endocrino. Io non sarò mai magra, nemmeno se lo vorrò tantissimo, nemmeno se mi affamerò a oltranza: anche se perderò 5 kg, resterò una ragazzona. Con le clavicole sporgenti e le costole a vista, ma pur sempre una ragazzona, e non farò tenerezza a nessuno, mai. Non sono più ingrassata, neanche quando ho smesso di fumare. Sono riuscita a non ingrassare nemmeno in gravidanza e nel post-parto (la mia paura più atavica, perché mia madre mi ha sempre detto che lei era ingrassata con l’allattamento), né quando ho semplicemente smesso di fare sport per mancanza di tempo voglia. Ho imparato a fidarmi del mio corpo e ho capito 4 cose:
- io ho molta fame, molta più della media delle persone che conosco. Una volta il mio fidanzato mi ha detto “Non ho mai conosciuto nessuna donna che mangiasse quanto te”. Ho chiesto alle mie amiche se nel loro giro di contatti ci fosse qualcuna che mangia quanto me, e solo una persona è riuscita a farmi un esempio, menzionandomi una ragazza alta 1 metro e 90 che pratica atletica a livelli agonistici.
- non sono capace di mangiare lentamente, educatamente, masticando mille volte, io amo addentare il cibo con entusiasmo, demolirlo come se fosse l’ultima cosa che devo fare. Non me ne frega di praticare nessuna cazzo di mindfulness a tavola, io voglio mangiare.
- mi piace avere la pancia piena, sentirmi come una neonata satolla di latte e quelli che dicono oddio sto scoppiando, sto male li guardo con aria di compatimento. La sazietà vera e rassicurante è la condizione grazie alla quale io riesco a essere produttiva. Io in guerra mi salverò, voi soccomberete.
- mi fa schifo l’attività fisica, non ne sento il bisogno (il mio collo sì, però), mi pare tempo sprecato e sono perennemente alla ricerca di uno sport che mi renda felice perché è il solo e unico modo per indurmi a farlo. Nessun’altra motivazione funziona su di me, così come non ha funzionato per la dieta
- ultimo, ma più importante: mi fido del mio corpo. Io so che è in grado di assorbire i miei stravizi, che, diciamolo, sono ormai abbastanza pochi. Perché il mio problema è la quantità, e non la qualità: preferisco mangiare moltissima vellutata di piselli, che un piccolo e gustoso cheeseburger. Assecondo anche l’assenza di fame, che è rara ma che interpreto come un desiderio del mio corpo di rilassarsi. So cosa mi piace e cosa no. Una volta, pur avendo gusti e preferenze, non lo sapevo e mangiavo quello che c’era preoccupandomi innanzitutto di quante calorie avesse.
il futuro
Ci tengo a specificare che la stabilizzazione del mio peso e la rinuncia alle diete restrittive non sono frutto di chissà quale percorso di consapevolezza riconducibile a un mio merito: è semplicemente accaduto. Mentre per alcuni aspetti della mia vita io continuo e forse continuerò a fluttuare nella casualità più totale (autostima, futuro professionale, genitorialità, per citarne alcuni), questo è andato a posto praticamente da solo. Per una volta, ci ho messo poco sforzo e tanto risultato.
Quella che non è andata a posto è la mia grassofobia. Che si manifesta molto più verso me stessa che nei confronti degli altri. Cioè sono molto più aperta, accogliente e disposta a comprendere il sovrappeso, di qualunque tipo, negli altri che in me stessa: che è un po’ lo stesso tipo di atteggiamento che ho per tutte le altre difficoltà, défaillance e debolezze in cui incorro. Cerco di non indulgere nel fat talk, specialmente in presenza di persone che potrebbero essere più sensibili di altre, ho smesso di preoccuparmi troppo del mio aspetto fisico, del make-up, della bellezza, della fotogenia, dei brufoli, dei capelli brutti. Ma quando si parla di aumentare di peso, mi tremano ancora i polsi. Se ingrassassi per “abbandono e accettazione” (=non per una malattia, ovvio), penso che mi vorrebbero ancora bene i miei amici, i miei parenti e mio figlio, ma non sono sicura che mi vorrei ancora bene io, né che riuscirei ancora a suscitare una passione di tipo erotico in un partner. E se lui mi rifiutasse, una parte di me lo capirebbe dicendo “beh, che vuoi, lui mica aveva firmato per una Valeria adiposa.”
Quindi temo che la strada per me in questo senso sia ancora molto, molto lunga.
*mi sono persuasa che si sia trattato di uno squilibrio tiroideo dovuto alla vicinanza al mare
Monica
Gennaio 23, 2020 at 12:42 pm
Penso di avere più o meno la stessa struttura fisica che hai tu, ossa importanti, mai sottile neanche quando in alcuni periodi di tristezza ho perso peso, non sarò mai secca né minuta come ho sempre desiderato. A mio vantaggio, dopo aver fatto tanto sport da ragazzina, ho sempre vissuto di rendita, mangiando tutto quello che desideravo e suscitando l’invidia delle amiche che si trattenevano ogni giorno a tavola. Vorrei poter dire di avere costruito negli anni un rapporto di amore con il mio corpo, che mi ha sempre sostenuta, che è sempre stato sano e forte, ma continua invece ad essere il segno visibile di ogni disagio, quello che prende la forma di tutte le mie piccole tempeste interiori. Ho sempre pensato che Il giorno che farò pace con il mio corpo, in cui smetterò di avvertirlo come ingombrante, sarà il giorno in cui avrò vinto. Grazie di aver condiviso i tuoi ricordi e i tuoi pensieri, ritrovo tanto di me in quello che scrivi, hai la capacità di usare le parole che io non so trovare ❤️
gynepraio
Gennaio 27, 2020 at 10:31 am
Il desiderio di farsi sottili è spesso volontà di farsi piccoli: il coraggio di “occupare” lo spazio che ci serve e ci spetta è un punto molto importante di “The f*ck it diet” e ci ho pensato molto.
Lolitaebarracuda
Gennaio 27, 2020 at 11:29 am
E’ cosi anche per molte anoressiche o persone che soffrono di DCA.
Esiste una sorta di dualismo: 1. mi faccio piccola e leggera per sparire, mondo infame e (molto spesso contemporaneamente) 2. mi faccio piccola e leggera, guarda come sono snella, mondo infame.
Grazie della recensione Valeria, l’ho messo nei miei prossimi acquisti 😉
Giulia
Gennaio 23, 2020 at 3:36 pm
Ho letto anche io il libro e condivido pienamente le tue riflessioni, ovvero che è un ottimo spunto per chi ha già una cultura alimentare solida. Razionalmente sento che questa Dooner ha ragione ma una vocina dentro di me mi ripete di continuo che insomma, se mangiassi meno e perdessi qualche chilo sarebbe meglio.
Anche io come te pur non essendo altissima ho una struttura stagna e massiccia, quando peso sessanta chili (sono alta 1.65) sono ai minimi storici di magrezza e porto la quarantadue. E anche per me il mangiare come un uccellino e ‘alzarsi da tavola con un po’ di fame’ mi fa sentire amabile quanto un pit bull Alla catena. Attualmente peso circa 69 chili, dopo due gravidanze e un aborto spontaneo e correlate cure ormonali per l’infertilità, il tutto in tre anni (la mia seconda bambina ha sette mesi). Il fatto che io di anni ne abbia quaranta sicuramente non aiuta ad alleggerirmi. Mi va bene così? Sinceramente, no. Non mi vedo bene, i pantaloni mi tirano sulla pancia, mi ritrovo due braccia da panettiere. Mi sono imposta due sedute a settimana di nuoto e cammino appena posso ma per ora non si smuove nulla. Il pensiero di restare così a vita non mi sorride affatto. D’altra parte sono restia a intraprendere una qualsivoglia dieta o restrizione alimentare proprio per evitare l’effetto carestia che l’autrice descrive nel suo libro, cosa già capitata diverse volte nella mia vita. Insomma un equilibrio tra la mia voglia di mangiare e quella di vedermi bene allo specchio non l’ho ancora trovato.
Grazie per averne parlato.
gynepraio
Gennaio 27, 2020 at 10:29 am
Grazie a te per aver condiviso la tua esperienza!
Sara
Gennaio 27, 2020 at 11:18 pm
Sono in una situazione simile. 40 anni due gravidanze e in questo momento peso quasi come in gravidanza.
Mi odio, vedo solo belle donne attorno a me. Io evito le amiche perché mi vergogno. Sono arrivata al punto di non ritorno. Devo fare qualcosa e non posso fallire ancora
Giulia
Gennaio 28, 2020 at 12:45 pm
Sara, scusa se mi permetto ma prima di fare qualcosa a livello fisico secondo me dovresti lavorare sulla vergogna e sull’evitamento. Hai avuto due figli e il tuo corpo è cambiato, non hai mica rubato o ammazzato qualcuno: non esiste che tu ti chiuda in casa per questo. Se sono le amiche a fartelo notare invece mi viene da dire che sia ora di cambiare giro e circondarti di persone che non vedono in te solo un corpo con difetti da correggere.
Coraggio. E sono certa che tutte le belle donne che vedi si sentano insicure della propria bellezza
come tutte noi.
Se posso, darei un altro consiglio di lettura: ‘Beyond Beautiful’ di Anuschka Rees. È un manuale pratico per prendere coscienza dell’ossessione della nostra cultura per l’aspetto esteriore, per capirne l’origine e per cercare di contrastarlo smettendo di evitare esperienze positive (come uscire con le amiche) solo perché non ci si sente presentabili fisicamente.
un abbraccio.
gynepraio
Febbraio 8, 2020 at 12:06 pm
Anche a me la lettura di Beyond Beautiful ha aiutato molto a capire quanto finiamo col pensare all’aspetto fisico come conseguenza delle pressione esterne.
Però ripeto quello che ho già detto prima: hai il diritto di piacerti e fare pace con te stessa, e questo percorso può anche essere fatto con l’aiuto di qualcuno.
Sabrina g.
Gennaio 24, 2020 at 10:02 pm
Io credo di essere come te, fisicamente. Sarei stata contenta di continuare a mangiare quello che volevo, ma circa 3 anni fa, le analisi del sangue hanno svelato un ipercolesterolemia. Da lì la vita alimentare è cambiata e sono dimagrita, ma è una lotta continua!
gynepraio
Gennaio 27, 2020 at 10:28 am
Mi spiace per la cattiva notizia, ma la salute è probabilmente l’unico motore del cambiamento che ancora funzionerebbe su di me.
Elena
Gennaio 27, 2020 at 12:34 pm
Ho vissuto tutta la vita in un limbo tra normopeso e leggero sovrappeso. Non ero grassa, non ero filiforme, ma quei 5-6 kg in più hanno reso i miei primi vent’anni veramente difficili, nei rapporti con l’altro sesso, nella fiducia in me stessa che si sbriciolava sempre di più a ogni abbuffata che seguiva i lunghi periodi di dieta ferrea, vivendo nella costante sensazione di non poter essere me stessa, perchè quell’aria “appesantita” mi impediva di mostrare la ragazza brillante, frizzante e carina che sentivo di essere. E paradossalmente con gli altri non ero così rigida e severa come lo ero con me stessa anzi, proprio l’esatto opposto. Ora, a trent’anni, posso dire di essere riuscita a darmi una tregua e nel mio caso è stato proprio l’attività fisica a fare la differenza: appassionarmi a diversi sport mi ha permesso di vedere il mio corpo non per come può apparire ma per quello che in grado di fare, di come può adattarsi e sostenere la mia voglia di raggiungere nuovi obiettivi.
gynepraio
Gennaio 27, 2020 at 4:41 pm
Mi piacerebbe trovare nello sport un fattore motivante (per un certo periodo lo è stato la corsa, moltissimo) ma al momento non ci sto provando seriamente. Se ci riesco, metto i manifesti!
Elisabetta
Gennaio 28, 2020 at 6:52 pm
Wow, quante cose su cui riflettere! Grazie Valeria per la tua recensione e grazie a chi ha commentato. Molti sono i commenti in cui mi ritrovo. Anche io mai stata magra, da sempre ho un fisico robusto, abbastanza muscoloso e che mi consente di riuscire bene in molti sport. Certo, la scelta di intraprendere un serio percorso di danza classica a partire dai miei undici anni non fu la scelta più azzeccata, perché mi sentivo perennemente inadatta, circondata com’ero da esili e aggraziate danzatrici. La cosa che da sempre mi ha disturbato solo le mie gambe estremamente muscolose; da calciatore per intenderci. E non c’è nulla di nulla che io possa fare per renderle più lunghe e più “femminili” . Ora ho 36 anni, due gravidanze e altrettanti allattamenti (piuttosto lunghi) sulle spalle e almeno 7-8 kg in più rispetto a prima delle gravidanze. Dallo scorso settembre mi sono messa a praticare sport con costanza e la cosa mi fa sentire bene. Mi vedo con un personal trainer una volta a settimana e mi sono fatta uno schema di allenamenti su 4 giorni a settimana di mezz’ora circa (alterno spin bike, corsetta con cane, pilates casalingo con piccoli attrezzi). Il mio corpo si è tonificato, ma non ho perso un grammo e i pantaloni tirano ancora dove tiravano prima. Sono soddisfatta del mio fisico? No. Dovrei esserlo? Decisamente sì. Mio marito dice che sto molto bene, ma è come se non gli credessi fino in fondo. Mi dice che mi sto un po’ troppo ossessionando. Forse è vero, ma lui è il primo che, quando anni fa rincontrammo un’amica che era diventata obesa, mi disse: “se diventi così ti lascio!”. Devo imparare ad accettarmi di più e a non temere il giudizio degli altri, ma soprattutto ad essere grata per un corpo perfetto, che funziona in modo impeccabile.
gynepraio
Febbraio 8, 2020 at 11:59 am
Comunque io penso che, così come è legittimo fregarsene del giudizio altrui se siamo a nostro agio e lanciare un sono vaffanculo, vale anche il contrario: se si è a disagio col proprio corpo, indipendentemente dal buon senso che dice “accettati” o dal messaggio confortante che possono restituirci gli altri (del tipo “vai bene così”), è giusto continuare a interrogarci e andare nella direzione che sentiamo nostra. Magari non da soli, se la situazione sembra richiederlo.