
A quelli che amo, io regalo una bicicletta
Questo post fa pare di “Torino in bicicletta” una mini guida – non esaustiva, perché siamo piemontesi e dire che è completa è praticamente peccato mortale – per scegliere una bicicletta, assicurarla e acquistarla approfittando degli incentivi statali (della sempre chiarissima Michela Calculli,), attrezzarsi per il bike-to-work e il bike-to-school, trasportarci bambini e carichi, oltre a una rubrica di preziosi contatti ove comprarla e farla aggiustare a Torino.
Il post è una risorsa preziosa ANCHE per i non torinesi ed è stato scritto ad almeno 14 mani: molti degli autori sono fondatori o attivisti di Bike Pride, associazione facente parte di Fiab (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta) e ECF (European Cyclists’ Federation) la cui missione è promuovere la cultura della bicicletta e lo sviluppo della mobilità sostenibile (=mobilità attiva, trasporto pubblico, sostenibilità ambientale e sicurezza stradale), attraverso la sensibilizzazione di interlocutori istituzionali, imprese e cittadini.
Nata nel 2013, dal coordinamento di associazioni ambientaliste, ciclofficine e attivisti, l’associazione è anche responsabile dell’omonima parata di biciclette per le vie di Torino che è in alcuni casi ha contato anche 30mila partecipanti. Se volete sostenere l’impegno di Bike Pride per la mobilità ciclistica, potete diventarne soci: riceverete la rivista di Fiab e un’assicurazione conto terzi.
Bicycle commuting, o del piacere di andare al lavoro in bici
Alle persone che amo, prima o poi, io regalo una bicicletta: a mia madre, quando nel lontano 2002 andò in pensione e dichiarò di voler adottare uno stile di vita più sano e attivo, presi una bicicletta dalla fabbrica Silver Star e gliela nascosi in garage. Alcuni anni dopo, me la restituì quasi intonsa dicendo che era bella ma stava meglio sotto il mio sedere.
Nel 2013, per il compleanno di colui che sarebbe diventato il padre di mio figlio, trovai tramite un sito di annunci una bicicletta Bianchi vintage e gliela feci trovare legata in cortile -lucidata e rimessa a nuovo-. Pochi giorni dopo la rubarono in circostanze ancora da appurare.
A Natale 2019 ho regalato al mio bambino la sua prima bicicletta vera, con i pedali e rigorosamente senza rotelline. È andato sul balcone a controllare se le renne di Babbo Natale avessero mangiato i biscotti e lì l’ha trovata, infiocchettata e appoggiata alla ringhiera. Da sei mesi lo sto corrompendo con mille moine affinché impari ad andarci, ma mi ha detto che l’attuale campanello non è abbastanza forte.
Uno potrebbe pensare che io sia una ciclista appassionata, una pedalatrice folle, una vera evangelist delle ciclabili, e invece no, faccio forse 5 km al giorno. Però c’è stata un’epoca in cui ne facevo ben di più.
Era il luglio più triste della mia vita: ero stata lasciata miseramente e avevo appena distrutto un’auto che non avevo alcuna voglia o bisogno o possibilità di sostituire. Per coprire il tragitto Centro-Mirafiori Sud dovevo cambiare 2 mezzi oppure sobbarcarmi mezz’ora di strada con una collega logorroica, l’unica che viveva vicino a me e poteva darmi un passaggio. I servizi di car/moto/monopattino sharing non esistevano.
Mi sono ricordata che avevo una bicicletta. Sandali tedeschi e auricolari addosso, borsa del pranzo e scarpe formali nel cestino davanti, computer e maglietta legati nel nel cestino dietro.

Sì, nel 2013 mettevo su Instagram le foto con la cornicetta nera. Comunque anche lei mi è stata rubata nel 2015
Quando giungevo viva in ufficio, i colleghi mi guardavano come una miracolata. Alcuni si complimentavano, i più indiscreti indagavano: ma non sei tutta sudata? Altri, premurosi, mi chiedevano di fare uno squillo quando arrivavo a casa sana e salva. Credo che non mi considerassero il tipo di persona che fa 8 km in bici sotto il sole. E nemmeno io, in effetti.
Questa routine di sveglia-bici-lavoro-bici-casa è durata meno di due mesi, ma resterà per me la cifra di quell’estate tristissima: una pioggia torrenziale dalle parti di Piazza d’Armi, un litigio epico con un automobilista che non mi lasciò passare, ma anche decine di illuminazioni, comizi a mezza voce e canzoni praticamente latrate ai semafori.
Quindi il mio invito è di mettervi alla prova e andare al lavoro in bicicletta: procuratevi un mezzo e un cestino, studiate il percorso più piacevole, componete una playlist, fate qualche test. Diventerà uno dei momenti più soddisfacenti della vostra giornata, parola mia.
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“Non volevo uccidere solo i ciarlieri, ma anche quelli che gesticolavano e mi toccavano. Il che, ormai appiedata e costretta a prendere i mezzi pubblici, era oggettivamente diventato un problema: c’era sempre qualcuno che mi spingeva, mi sfiorava il braccio, mi annusava i capelli. Non avevo scelta: tirai fuori dalla cantina la mia vecchia bicicletta, preparai una playlist dall’evocativo titolo “Girardengo” e iniziai a percorrere ogni giorno 16 km sotto il sole estivo. Arrivata in ufficio, mi concedevo una doccia velocissima nello spogliatoio del magazzino per poi salire in ufficio scarmigliata e umidiccia. Annovero una caduta, tre acquazzoni estivi e, ovviamente, innumerevoli pianti controvento.”
Questo è un estratto del mio romanzo d’esordio (non “il primo” altrimenti mi chiedono se ne ho pubblicati altri e mi ritrovo a balbettare inutili spiegazioni). Posso affermare con una certa sicurezza che, senza quei due mesi di bici e lacrime, non avrebbe mai visto la luce.