
Divertirsi con e per i bambini
È stato un anno che ha messo a dura prova la mia lucidità di giudizio. Un anno in cui la fatica dello stare insieme, del riempire il tempo, dello starsi addosso in poco spazio mi ha indotto a pensare di non avere spirito di abnegazione, di essere sbagliata e inadatta all’essere genitore. in altre parole, di difettare spirito di sacrificio: è una cosa che mi è stata rimproverata più volte, e su più fronti, quella di non riuscire a mettere da parte me stessa e, semplicemente, sopportare. La malattia di mio padre, la fase “no” di un compagno, le ristrettezze economiche, il confinamento da Covid.
Sono genitore da 5 anni ma continuo a prediligere i momenti in cui nessuno (ivi compreso il frutto dei miei lombi) mi disturba e posso dedicarmi a piaceri individuali. In alternativa, amo anche i momenti in cui -con poche persone scelte- godo della conversazione intelligente e del buon cibo scolando calici di vino millesimato.
Un po’ di tempo fa, tuttavia, ho scritto in una caption di Instagram che una delle mie più grandi soddisfazioni è divertirmi con mio figlio. Dal benessere condiviso con Elia si crea uno speciale tipo di felicità che non trovo da nessun’altra parte e di cui ho provato a distillare le componenti:
- la benedizione. La felicità con i bambini è un po’ culo e un po’ chimica, non è facilmente replicabile: è soggetta a forte variabilità dovuta alla giovane età della controparte. In altre parole, ciò che oggi adorano potrebbe lasciarli tiepidi tra 10 giorni;
- la soddisfazione. Egoisticamente, mi sento di dire che, se l’accrocchio funziona, è merito dell’adulto che ha azzeccato il mix, che ha avuto un’intuizione e si è fidato.
Uno potrebbe semplificare e dire: ai bambini piace fare alcune cose, quasi sempre le stesse, per cui tieniti in quel territorio “safe” e non calpesterai merde. Ma la domanda è: ed io? Mi piaccio, sono fiera di me stessa mentre faccio cose che non apprezzo e che, tendenzialmente, mi annoiano? Giocare per ore seduti a terra e guardare brutti cartoni animati, ad esempio? La risposta è che non mi sento me stessa, non mi pare di avere contribuito alla mia crescita, non credo di beneficiare del mio tempo (che è un semplice pseudonimo della vita stessa, come diceva Gramsci). Pur trattandosi di un tipo di frustrazione “sopportabile” io non credo che ingoiare in silenzio mi renda un genitore migliore. Io ho bisogno, alla lunga, che si tratti di un rapporto win-win.
Sono invidiosa di chi ha un IO bambino sviluppatissimo, che ama visceralmente le montagne russe, i giardinetti, i lavoretti, i biscotti, datemi un bambino e vi solleverò il mondo. Ammiro chi ha un IO bambino limitato ma grande capacità di sacrificio (e finzione): resistente, ottimo attore, capace di sopportare noia, fatica e frustrazione in nome di un bene superiore. Poi c’è la sottoscritta, che mentre distribuivano l’IO bambino stava fuori a fare pipì, e che quindi deve farsi in quattro con inventiva, capacità di scovare soluzioni, che per motivarsi ha bisogno di stupore e reciprocità. Speriamo che lo capisca, che io voglio divertirmi con lui e per lui, e non si ricordi solo le volte che non avevo affatto voglia di spingere l’altalena.