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Matrice e consigli non richiesti sul content marketing

L’altra sera ho tenuto, insieme a Marianna di Zandegù, un webinar sul blogging. Si trattava di un’iniziativa riservata agli iscritti alla loro newsletter, una forma di freebie -e per esteso di email marketing- che stanno testando da qualche tempo. Marianna stessa mi ha confermato che il successo di questi webinar è maggiore rispetto a quello delle dirette Instagram aperte al pubblico, ed è decretato dal numero di partecipanti, dalla quantità e dalla qualità dell’interazione.

Durante questo incontro ho rispolverato la matrice del Boston Consulting Group per spiegare che il blog è una sorta di vacca da mungere, cioè uno strumento che non determina una crescita evidente seppur dotato di una larga quota di mercato: come ho già detto in altre occasioni, non esiste al momento un altro strumento in grado di diffondere contenuti utili e durevoli, di farci trovare dai consumatori e di renderci autorevoli agli occhi di Google. Solo un blog lo fa, e lo fa bene solo se è corposo, aggiornato, vivo e orientato al consumatore.

La matrice BCG applicata a qualsiasi cosa

Per chi era seduto nelle ultime file durante le ore di business strategy, ecco un rapido sommario. La matrice BCG era nata per aiutare le multinazionali a sviluppare un approccio differenziato alle business units o ai brand di cui erano composte: la valutazione era basata su due variabili (crescita del mercato e quota di mercato) e generava quattro quadranti, ognuno caratterizzato da un simbolo: star (investire), question mark (scommettere), cow (spremere) e dog (dismettere progressivamente).

L’analogia con la mucca, in questo caso, è doppiamente azzeccata in quanto l’approccio al blog -che propongo e predico come Giovanni Battista assetato e pulcioso che vaga nel deserto- prevede proprio la progettazione di articoli finalizzati a un riutilizzo sugli altri canali di comunicazione: insomma, ogni articoli va pensato in modo da essere spremuto o munto fino all’ultima goccia. Basandomi sugli stessi criteri, ho completato la matrice inserendo gli altri social o canali di comunicazione digitale nelle restanti 3 caselle. Intuitivamente, un business giovane e dotato di un piano di comunicazione multicanale, dovrebbe:

  • tenersi ben cari newsletter e Instagram
  • continuare a trattare con affettuoso rispetto il sito e il blog
  • scommettere un po’ su un social di nicchia (scegliendo quello più coerente col suo target)
  • mollare progressivamente Facebook e Twitter (posto che sia mai stato interessante)

matrice BCG sul content marketing

Questo mix di decisioni  è piuttosto mainstream: basato su considerazioni di buon senso generale, elaborato nell’ottica di massimizzare il budget e le risorse umane a disposizione. Per le idee pazze e disruptive, di solito mi faccio pagare!

La mia matrice

Dopo questo exploit di reminescenze universitarie, mi è venuta voglia di ficcare in matrice più o meno, diciamo, tutto. Il frigorifero, gli ex fidanzati, i modelli di scarpe, i romanzi di Franzen (in effetti alcuni anni fa l’avevo fatto!). Ma sono umilmente rimasta nel mio e ho pensato di analizzare gli investimenti in comunicazione più spesso affrontati dalle aziende, cercando di determinare per ognuno l’entità del costo e la sicurezza del ritorno sull’investimento. Poi, mi sono anche detta: questo ritorno è rapido o lento? Così ho affinato ulteriormente la matrice fino a determinare il segreto di Pulcinella: nessun investimento comporta bassa spesa e resa certa, né nel breve né nel lungo periodo. 

Ho categorizzato l’apertura di pop-up store e punti vendita fisici come uno strumento di comunicazione -oltre che di distribuzione, ovvio!- perché, per alcuni business, queste azioni hanno funzione di incremento della visibilità. A mio parere, le uniche scelte che, a fronte di un investimento corposo, comportano un ROI praticamente certo sono Adwords e alcune forme di advertising tradizionale.

A fronte di una spesa media, funzionano ancora -abbastanza- bene l’advertising su Facebook e Instagram specialmente bel caso di business locali, e l’influencer marketing (inteso come vera e autentica paid partnership, non come giftsi: quelli sono seeding e hanno un ritorno meno certo): questo è specialmente vero per i beni di consumo.matrice degli investimenti in content

Sottolineo però che queste manovre funzionano se condotte a livello professionale: oltre al costo dell’advertising (lo “spazio” media) va considerato il costo di creazione e follow up delle operazioni. In altre parole, non suggerirei a un imprenditore -per quanto abile e smart- di impostare da solo una campagna Adwords: lo inviterei a selezionare un’agenzia o un freelance, investire in una forma ibrida di consulenza+tutoring per diventare in grado di farlo autonomamente in diciamo, 6 mesi. Lo dico non da imprenditrice, ma da persona che ha visto CEO convinti di poter fare tutto da sé seguendo un tutorial pakistano trovato su Medium: una fase di delega è indispensabile per quasi tutte le attività.

IL BLOG AZIENDALE E LA MATRICE

Il questo senso, una eccezione è costituita dal blog aziendale: si tratta di uno strumento accessibile, che riguarda il core business dell’azienda e che quindi non richiede una preparazione tecnica “speciale”. Si tratta anche di uno strumento completamente o in parte delegabile a costi relativamente sostenuti: le competenze per produrre long copy sono diffuse, non sono patrimonio di un’elite iperspecializzata e si accompagnano a utili skills anche in altre aree della comunicazione.

Per questo sono convinta che frequentare il corso Blogging 101 proposto da Zandegù e tenuto da me sia autenticamente utile:

  • per comprendere come far fruttare un blog aziendale e metterlo al servizio di tutto il piano editoriale
  • per capire se inserirlo nel proprio flusso di attività interno e, in alternativa, se delegarlo con criterio
  • per proporlo ai propri clienti, qualora si lavori come copy o content manager e si voglia aggiungere un servizio

 

Il corso Blogging 101 si terrà sabato 23 ottobre dalle 10 alle 13, seguito da un’esercitazione (volontaria e individuale) e da un’ora di Q&A martedì 2 novembre. Il costo è di 60€ ma, con il codice GYNEPRAIO20 è possibile beneficiare di uno sconto del 20%.

Per imprenditori e professionisti: i costi di formazione sostenuti da titolari e dipendenti possono essere dedotti dalle tasse. In sostanza, non ci sono scuse. 

M’iscrivo a Blogging 101

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