
“Il pessimo capo” di D. Ferrari
“Il pessimo capo” di D.Ferrari ed edito da Longanesi parla di un tema a me molto caro: la leadership, intesa come capacità di guidare, coordinare e possibilmente ispirare un gruppo di persone che devono lavorare insieme. Queste 192 pagine sono ricche di esperienze personali dell’autrice, che ha cambiato numerosi luoghi di lavoro e quindi altrettanti capi, e di contributi da lei raccolti e appartenenti ad altr* dipendent*.
Non è stata facile, credo, la vita dei capi: dopo due anni in cui le aziende hanno fronteggiato, spesso senza precedenti alcuni, l’esperienza del lavoro agile e quindi lo sgretolarsi improvviso delle occasioni fisiche di interazione e soprattutto delle consuetudini di controllo sull’operato del proprio team. Domitilla Ferrari lo spiega bene, anticipando quella che secondo lei sarà la sfida per i capi di domani: riuscire a ricoprire il proprio ruolo di guida anche in assenza degli strumenti classicamente preposti a questo scopo. Essere smart, un po’ come il work.
L’autrice passa in rassegna gli archetipi di pessimo capo che le è accaduto di incontrare, evidenziandone gli errori tipici e le dirette conseguenze sulla qualità della vita delle persone che essi coordinano. A mano a mano che procedevo nella lettura di questi identikit -talvolta estremizzati e stereotipati per ovvie ragioni didascaliche- cresceva dentro di me una consapevolezza presuntuosa eppur confortante: io non sono mai stata un pessimo capo.
Non ho avuto grandi occasioni per esercitare la mia leadership ad alti livelli in quanto ho lavorato in aziende dalla struttura piuttosto piatta dove i gradi gerarchici, andando dalla base alla sommità, erano pochi. Va anche detto che spesso le mie richieste di creare e coordinare un mio team -per ripartire la mole di lavoro che mi gravava addosso e smetterla di cantarmela e suonarmela da sola 24/7 che per chi lavora nel marketing è tipo la cosa peggiore che possa accadere- sono spesso cadute inascoltate. Forse perché creare un team significava spendere di più in risorse umane, o forse pormi in una condizione di potere (???) che evidentemente non mi si confaceva, o perché, come un certo coglione una certa persona ha avuto l’ardire di affermare non “me lo meritavo”.
Rincresce ammetterlo, ma anche nei pochi ruolo in cui ho avuto de* collaborator* dirett* non sono mai riuscita a staccarmi dall’operatività per tuffarmi nella strategia pura: in altre parole, sebbene l’organigramma dicesse il contrario, io facevo la capocollega. Una figura ibrida che seleziona, forma, fa assumere, gestisce il carico di lavoro di un’altra risorsa ma che spesso lavora al fianco di quella risorsa.
Io ho sempre percepito -forse si tratta di una visione parziale, edulcorata dalla prospettiva e dal trascorrere del tempo, può darsi- che queste persone comprendessero ciò che veniva loro chiesto e che si sentissero nelle condizioni di farlo bene. Ma anche che fossero felici di lavorare con me e per me, che credo sia il fine ultimo del lavoro del capo. Il mio più grande rimpianto è non essermi esercitata a sufficienza in questo campo dove è molto improbabile che riesca a misurarmi in futuro, a meno che non voglia rientrare in azienda o non decida di creare un’impresa. Prospettive che, al momento, sono piuttosto lontane.
In sostanza, un’opera interessante da regalare a una persona neoassunta, ma ideale anche per un* giovane manager desideros* di fare decentemente il proprio lavoro. Per acquistare “Il pessimo capo” di D.Ferrari, questo è il mio link affiliato Amazon.