Post Image
By gynepraio21 Gennaio 2022In Personale

Contenuti complessi contro i rischi dell’ipersemplificazione

Ieri Barbara Damiano ha spiegato, con la misurata pacatezza che la contraddistingue, per quale motivo non trova corretto che i reel -e gli instant video in senso ampio- siano utilizzati per fare divulgazione su contenuti complessi (area medico-sanitaria o politico-sociale, ad esempio) e andrebbero più correttamente utilizzati per incuriosire, incanalare la creatività o l’ironia. Le sue motivazioni sono solide e vanno molto al di là di alcune intuitive considerazioni di natura estetica e deontologica (che pure di per sé costituirebbero motivo sufficiente per ricredersi sull’utilizzo che una crescente parte del personale sanitario fa di questi strumenti: in altre parole, da un chirurgo che fa i balletti io non mi farei incidere). In ogni caso, vi rimando alle sue parole.

Barbara Damiano su Reel e Instant Video

Nell’ascoltarla, mi sono ricordata che avevo scritto nella prefazione e anche nella conclusione del mio manuale sul blogging alcune righe per difendere il mio strumento di comunicazione -aziendale, professionale o anche personale- preferito. Le rimetto qui, sperando di illustrare al meglio il mio punto di vista, e magari invogliarvi a leggere il resto del manuale che potrete acquistare qui.

Acquista il manuale From the Blog

La parola «complesso» ci allarma sempre un po’: ci sentiamo spontaneamente attratti da ciò che è immediato, lineare, semplice e, ammettiamolo, poco faticoso. È una sorta di bellissima assuefazione, quella che abbiamo sviluppato nei confronti della brevità: i payoff pubblicitari, le battute lapidarie di Spinoza, i meme, sono tutte forme espressive che privilegiano la sintesi.

Tuttavia, per quanto io stessa li apprezzi, continuo a pensare che non tutti gli argomenti si prestino a essere esauriti in poche parole. Allo stesso modo, non tutti gli intelletti sono predisposti ad accogliere e memorizzare nozioni semplici. Molti preferiscono una trattazione progressiva, nella quale i concetti sono introdotti in modo graduale, esplorati e, se necessario, anche reiterati.

Il corporate blog è dunque, all’interno di una strategia di comunicazione multicanale, il luogo deputato ai contenuti complessi; ma quali caratteristiche devono possedere degli articoli di blog per essere definiti «contenuti complessi»?

Lunghezza

Per ovvie ragioni, un contenuto complesso non potrà consistere in una frase lapidaria, una boutade ironica, o una semplice call to action. Si tratta, invece, di approfondire un tema attraverso una trattazione strutturata. Il concetto di «lungo» è stato notevolmente rivisto negli ultimi anni: ormai abituati a contenuti molto sintetici o prevalentemente visuali, possiamo pensare che un articolo di 800 parole risulti incredibilmente lungo. Ma lo è davvero?

Non è facile stimare il tempo di lettura medio, perché la velocità dipende da molti fattori: il livello culturale dell’utente, la sua capacità di concentrazione e, non ultimo, la sua motivazione. Ho confrontato diverse fonti e posso ipotizzare che questa velocità media si aggiri intorno alle 150 parole/minuto. Un articolo di 800 parole richiederebbe, dunque, circa sei minuti di lettura. Se è ben scritto e risponde a un bisogno reale, è una fatica tutto sommato affrontabile, non credi?

Ma la diatriba contenuti lunghi vs contenuti corti è viva anche su altri canali: Later, l’azienda creatrice di un celebre tool per creare e pianificare contenuti destinati ai social network, nonché proprietaria di un blog piuttosto autorevole, in un report di fine 2019 affermava che la lunghezza media delle caption di Instagram sia duplicata dal 2016 e che, nel 2020, essa si sia assestata sulle 70 parole (Instagram consente attualmente di scrivere caption di 2.200 caratteri, che equivalgono a poco più di 300 parole, una mezza pagina scritta in Arial corpo 12).

Sebbene i manuali di digital copywriting e content management suggeriscano di tenersi su caption più brevi, non sono pochi i creator che scelgono di utilizzare la quasi totalità di questi caratteri, o di eccedere addirittura, specificando poi che il testo della didascalia «continua nei commenti». Io sono dell’idea che il luogo nel quale si consumino i ragionamenti articolati non sia Instagram, tuttavia questo allungamento delle caption testimonia come il desiderio di approfondimento e complessità esista e resista.

La lunghezza degli articoli è uno dei fattori determinanti del successo di un blog aziendale. Lo dice Neil Patel, uno dei più quotati esperti mondiali in web marketing e padre di Ubersuggest, uno strumento per generare e selezionare le parole chiave, nonché uno dei tool più citati in questo manuale. In un mondo di articoli da 500 parole, tu sii quello che ne scrive 1.500, anzi 2.000 o perché no 3.000! Neil Patel predica bene e razzola benissimo: tutti i post che pubblica sul suo blog sono di almeno 4.000 parole. In questa direzione, cioè quella dei contenuti complessi, si spostano anche altri blog di successo simili al suo, come QuickSprout o CoSchedule.

Organizzazione

Proprio per sua natura, un contenuto complesso va organizzato in modo da agevolare la lettura, la comprensione e la memorizzazione. A questo scopo, vengono utilizzati espedienti di natura grafica (font e formattazione testo), titoli/sottotitoli, suddivisione in paragrafi, elenchi puntati e, nei casi più virtuosi, addirittura un indice. Un contenuto complesso acquista leggibilità e scorrevolezza, se corredato di immagini e altri elementi visivi che agevolano la comprensione.

Durevolezza

Un contenuto complesso, nella maggior parte dei casi, è pensato per durare e mantenersi utile nel tempo, non solo in fase di prima scrittura e pubblicazione. Grazie alle revisioni che possono essere aggiunte, il blog è uno strumento di marketing virtualmente eterno.

La mia storia

Quando ho aperto il mio blog personale, nel 2013, ero tristissima e volevo solo un angoletto dove riversare la mia incontenibile voglia di piangere. I personal blog erano già démodé (non sono mai stata una pioniera, in effetti), la concorrenza era limitata e quasi tutti si arrangiavano. Quanto ai social, non parliamone: nel 2013 Instagram esisteva da relativamente poco tempo e su Facebook ancora bazzicava qualcuno sotto i 30 anni.

Complice la pressione limitata e i fini puramente dilettanteschi, ho avuto la possibilità di divertirmi, produrre contenuti di dubbio valore e gusto, non monitorare i risultati, insomma di improvvisare. A mia discolpa, devo dire che ero in buona compagnia: un gran numero di colleghi e colleghe stavano come e peggio di me. Ma il mio blog -personale e dilettantesco- mi ha sempre costretto a chiedermi se quello che sapevo poteva interessare o essere utile, e come potevo rendere i miei pensieri accessibili anche ad altre perone.

È questo il grandissimo, positivo e troppo spesso sottovalutato risvolto di una comunicazione che dà la precedenza ai contenuti complessi: privilegiare il pensiero articolato e gerarchizzato significa sottrarci e metterci al riparo dal rischio dell’ipersemplificazione. Approfondire, sviluppare e rielaborare (il caro vecchio olio di gomito intellettuale!) ci porta a riscoprire, amare e padroneggiare ancora di più la nostra materia: diventare abili divulgatori ci rende certamente autorevoli agli occhi di chi ci legge, ma è anche uno straordinario toccasana per la nostra autostima professionale.

E se un blog ha funzionato per me, che volevo solo un angoletto per lamentarmi in santa pace, sono certa che con te farà miracoli.

svgThe Ferragnez: la mia recensione
svg
svgConsapevolezza finanziaria: nonni, figli e welfare

Leave a reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.