
6 mesi da vegetariana
Tra un po’ compio 6 mesi da vegetariana: dal 1 gennaio 2023 ho sospeso il consumo di carne e pesce. Mangio ancora uova, miele e, ogni tanto, latticini: al momento, non mi sento pronta a lasciarli andare.
La motivazione che mi ha spinto è il terrore del cambiamento climatico e dell’estinzione. Da invidivuə e cittadinə, per ridurre il nostro impatto sul pianeta, la cosa più significativa che possiamo fare è sospendere il consumo di alimenti da allevamento e pesca. Sono d’accordo che si tratti di un atto individuale dalla portata piccola, anzi minuscola dinanzi a quelli -giganteschi e molto più significativi- che dovrebbero compiere governi, istituzioni e imprese, dopodiché non penso che in assenza di cambiamenti “macro” quelli “micro” perdano di utilità e significato.
Il più grande stimolo, da questo punto di vista, me l’ha offerto un saggio di Fred Vargas intitolato “L’umanità in pericolo”, edito da Einaudi e letto a inizio pandemia. Per recuperarlo, ecco un link affiliato.
“L’umanità in pericolo” di F.Vargas
In breve, è un invito a ripensare i propri pattern di consumo per individuare le strade attraverso le quali rendere il proprio stile di vita più virtuoso. Non è avanguardia pura, anzi: però ho trovato speciale il tono -concitato, idealista, giovane: insomma qualcosa che non mi aspettavo in una signora ultrasessantenne!- con cui Fred Vargas invita chi legge a non credere che siano (solo) le istituzioni a preoccuparsi di arginare la crisi climatica in quanto, evidentemente, non lo stanno facendo. L’idea di base della rivoluzione di Vargas non è iper-responsabilizzare la cittadinanza, ma smontare l’idea che l’apporto individuale non serva a nulla, specialmente per quanto riguarda l’impatto sulla domanda di mercato.
Io avevo già iniziato a ridurre la carne da anni (ad esempio questo articolo è del 2017), ma dal 2020 in poi su suggerimento della mia nutrizionista mangio ogni giorno legumi; col tempo ho provato provato alcune specialità vegetali pronte e ho capito che molte di esse sono davvero buone e non mi fanno rimpiangere la carne. Fa ridere, visto che per 5 anni sono stata product manager di un brand specializzato in specialità vegetali senza averle assaggiate quasi mai.
Sono una persona semplice e anche un po’ debole: quando un comportamento è molto virtuoso ma richiede grandi sforzi, è probabile che io non lo adotterò. Questo è il motivo per cui non ho una cargo bike, non faccio un’ora di yoga al giorno, non autoproduco i miei cosmetici. Un tempo credevo che il vegetarianesimo condannasse a una vita di stenti e privazioni. Tra l’altro questo articolo di Vice sulla condizione dei vegani negli anni ’80 comprova la mia idea: il latte di soia era cartone allo stato liquido, il tofu polistirolo bagnato, mentre le bistecche di soia dovevano essere bollite un paio d’ore prima di essere cucinate e non serviva molto strizzarle con lo schiacciapatate: avevano sempre una consistenza a metà fra la spugna da cucina e la gomma.
Ma oggi essere vegetarianə in Italia -veganə non so, perché non ci ho ancora provato- è oggettivamente facile: esistono molte preparazioni gastronomiche prima inesistenti, le etichette degli alimenti sono più trasparenti e aiutano nella scelta, abbiamo accesso tutto l’anno ad alimenti vegetali freschi e buoni, la tradizione alimentare nazionale è naturalmente ricca di ricette meat-free.
Tornando al modo in cui funziono io: quando un comportamento è molto virtuoso ed è anche facile, se non lo metto in atto inizio a non sentirmi a mio agio con me stessa, con una certa idea di me. È lì che ho intravisto una scissione: la fetta di salame mi piaceva, ma non mi piacevo io mentre la mangiavo. C’era un bisogno che sentivo mio, un valore condiviso che volevo sposare, uno sforzo alla mia portata, e dinanzi a questa tensione interiore io che facevo? Masticavo una fetta di salame. E niente, l’ho posata.
Poi certo, mi manca tutto il resto: l’antispecismo, l’attivismo, la componente filosofica del vegetarianesimo e ancor più del veganesimo. Mi sfuggono, non li padroneggio, non sono terreni in cui mi muovo a mio agio. Non so collocare le mie scelte di comportamento all’interno di un sistema di pensiero complesso, forse non ho neanche voglia di portare il ragionamento a un livello più alto.
Al momento mi sta bene restare bassa, attaccata alla terra: di questi 6 mesi da vegetariana mi tengo stretta questa sensazione semplice, questo confortante si-può-fare, lo stupore di aver azzerato -per una volta, una delle prime in vita mia- la differenza tra idea e azione.