
Tentazioni e minimalismo
So che parlare di tentazioni evoca Gesù nel deserto, accaldato e affamato, infastidito da Satana per ben 3 volte. Però noto che è una parola molto usata da chi si dichiara minimalista, e, sinceramente non ne ho trovata una migliore.
Solita premessa: io non sono una minimalista, l’ho già detto in più occasioni, anche se negli anni sono andata nella direzione di ridurre i miei consumi e lo spreco di denaro. Tuttavia seguo diversə minimalistə perché amo l’idea di sapere come potrebbe essere la mia vita se fossi un altro tipo di persona, se avessi altri valori, altre priorità. Tutto è iniziato a febbraio 2015, durante un’influenza che mi costrinse in casa un’intera settimana durante la quale potei dedicarmi a due attività antitetiche: guardare Sanremo e studiare Zenhabits, il blog di Leo Babauta.
Uno tema che ricorre tra chi pratica il minimalismo è il rapporto tra esposizione ai beni voluttuari e tasso di acquisto. Non c’è bisogno di scomodare un luminare per capire che esiste una correlazione tra consumi e vuoto: compriamo continuamente oggetti dei quali non abbiamo bisogno per procurarci una soddisfazione effimera (o anche una sensazione di pienezza).
Intuitivamente, tenersi lontano dalle tentazione è il primo step per rompere il circolo vizioso. Se evito di passare ogni sera per quella via piena di negozi, se non vado al mercatino vintage della domenica mattina, se cancello l’app di Vinted, -o se vado direttamente a vivere tra i bricchi, per i più estremisti- non mi espongo ai desideri e quindi eviterò di spendere.
Penso a quando mio figlio aveva due o tre anni e si assopiva solo nel passeggino. Il mio tipico sabato pomeriggio consisteva nel farmi 3 ore di vasche in centro per farlo dormire: compivo un pellegrinaggio tra Stradivarius, HM, And Other Stories, Cos, Mango, Zara. Saltavo solo Pull and Bear, la settima chiesa, perché non ha l’accesso dal piano strada e non mi volevo accollare 5 gradini col passeggino. Ovviamente, ogni settimana compravo qualcosina. Adesso Elia è grande, non ha bisogno di dormire e si annoia ad andare per negozi: non posso più portarmelo appresso nel giro delle sette chiese, et voilà il sabato pomeriggio di shopping è scampato.
Gran parte dei percorsi di detox (qualunque detox: dalle droghe alle ghirlande di Tiger, dall’alcol alle dipendenze affettive ) inizia con una fase no-contact: un evitamento totale, un deliberato tenersi lontano da situazioni o sostanze triggeranti. Ma una parte di me pensa che non possa essere una soluzione di lungo periodo: trovo che minimalista non sia chi si isola per sfuggire alle tentazioni, ma chi riesce a passarvi in mezzo col cuore leggero anche se è natə in Occidente in pieno Antropocene. Una volta ho sentito una creator minimalista affermare che non aveva nessun abbonamento streaming perché tutte le volte in cui ne attivava uno finiva col passare le notti davanti allo schermo. Seppure il risultato sia apprezzabile, in termini di risparmio economico e di gestione del tempo, mi sembra che il presupposto non lo sia: se tendi al bingeing, di qualsiasi tipo, non stai lavorando sul tuoi limiti. La vera conquista, dal mio punto di vista almeno, è avere accesso a un bene illimitato e decidere di fruirne con consapevolezza passando indenne tra le tentazioni.
Secondo questa mia visione, il padre di mio figlio è un vero minimalista, cioè non nutre alcun interesse per il superfluo, il carino, il ridondante. Non l’ho mai visto guardare più di 2 episodi consecutivi di una serie che gli piaceva o anche andare al cinema tanto per fare qualcosa, provare invidia per i beni altrui, avvertire pressione sociale, desiderare qualcosa di inarrivabile, fare qualcosa per status, o anche solo pronunciare la parola status. “Come dentro, così fuori” diceva Ermete Trismegisto, e nel suo caso è verissimo.
La settimana scorsa, nell’attesa che un tecnico riparasse il mio telefono, sono stata in un punto vendita Primark. L’ho trovato molto più “pettinato” rispetto agli omologhi che ho visitato in UK: moltissimo personale, nessun capo accatastato alla rinfusa, le grucce etichettate per taglia e le taglie posizionate in ordine crescente. Insomma, bravi store manager, ottimo lavoro.
Eppure di quell’esperienza ho detestato tutto; l’eccesso di colori, pattern e stimoli visivi, la musica, la temperatura che oscillava tra alcuni punti caldissimi e altri punti freddissimi, la superficie veramente troppo grande e dispersiva. Non mi piacevano i vestiti e non mi piaceva il modo in cui le persone approcciavano i vestiti, i bambini trascinati a forza, le adolescenti che litigavano con le madri. La PMS mi aveva forse resa più insofferente del solito, ma questo non cambia sostanzialmente la mia opinione.
La cosa che mi piaceva meno della situazione era l’idea di me che mi aggiravo là dentro alla ricerca del dont-know-what, pensarmi in cassa a strisciare la carta per pagare una cosa carina che è l’antitesi totale di ciò che amo. In sostanza, non il fatto che mi stessi concedendo del superfluo -di cui peraltro sono la regina indiscussa- ma che lo stessi facendo in modo così deliberatamente superficiale. Immaginavo un drone riprendermi mentre peregrinavo tra un reparto e l’altro; immaginavo di sedermi e guardare quel video, e chiedermi “ma chi è quella?”. Non riconoscermi.
Questo non significa che il consumismo mi repelle in toto: mi piacciono le vendite private, passo diverse ore alla settimana su Vinted, frequento luoghi spiccatamente e affollatamente consumistici, come i mercati del vintage e del second hand. Ma in quei casi mi sento a mio agio. Sono io, sono debole, cedo alle tentazioni, ma ho ancora la mia faccia.
Alla fine riconoscersi e piacersi è sempre la chiave.
Laura
Maggio 16, 2023 at 8:38 am
Illuminante direi. Grazie per i tuoi contributi, per me sempre preziosi!
MARTINA
Maggio 17, 2023 at 9:00 am
Farò anch’io così, immaginarmi mentre un drone mi osserva e chiedersi chi è quella persona che ha comprato l’ennesimo maglioncino misto acrilico color ceruleo (cit.).
Grazie Valeria!
Silvia
Maggio 20, 2023 at 3:17 pm
Io come tuo marito!
Elena
Luglio 17, 2023 at 12:27 pm
Una volta ho letto (credo su un martedì delle parole della Andreoli) che chi è felice/quando si è felici non ci si riempie con il cibo. Il macroargomento era il bingeating (cosa di cui ho cominciato a soffrire di recente).
Credo che questo valga anche per gli acquisti, od almeno valga per me. Quando sono insicura, triste, affranta, sola mi ritrovo magicamente di VestiereCollective a cercare di riempire certi vuoti con acquisti insostenibili la cui soddisfazione dura pochissimo.
Non so, ma a fronte di questo mio ragionamento, invidio molto tuo marito perchè mi dà l’idea di essere una persona molto felice di se stesso e della sua condizione.
gynepraio
Luglio 17, 2023 at 6:32 pm
Sicuramente ha altre valvole per sfogarsi e altri sistemi per riempire i suoi vuoti, bravo lui.