Movies 17
Le nostre anime di notte e l’amore maturo
Ho pensato un sacco all’amore, ultimamente. Sarà che la mia vita di coppia si è piacevolmente complicata per l’arrivo di Elia, e l’asse della nostra storia si è spostato verso gli aspetti pratici. Siamo diventati bravi e gestire, organizzare, conciliare. Non abbiamo smesso di amare -almeno io sicuramente no- ma è un amore di agenda, di whatsapp, di faccio il bonifico, di aiutami a portare su la spesa, di Cristo che sonno. Il nucleo dell’amore è passato un po’ in cavalleria, e chissà quando avremo tempo di riguardarlo.
Non me ne vogliamo Frömm, Alberoni e tutti coloro che hanno teorizzato sull’amore prima di me, ma oggi vorrei parlare dell’amore maturo. Che, secondo me, non è quello saggio e contenuto che provi quando smetti di essere un cazzone.
Io penso che l’amore maturo sia ciò che resta del sentimento quando lo hai spogliato degli orpelli che siamo soliti appiccicarci sopra per abitudine, bisogno, convenzione sociale. Mi piace immaginare l’amore come una cipolla fatta di strati sovrapposti. Inizi a tagliare via l’attrazione fisica, la fotta il desiderio sessuale, la gelosia, l’ansia di controllo, il bisogno di conferme, la paura di stare soli. Non sono solo strati negativi: ci sono anche la progettualità, impegno, fedeltà, mediazione. É solo dopo aver raschiato via questi accessori che ammantano l’amore che arrivi al nucleo, all’amore maturo.
Ci ho pensato molto dopo aver visto (altro…)
“Il libro della vita”: da morti non si sta poi malaccio
Domenica scorsa sono andata al secondo appuntamento di Cinema con Bebè, la rassegna domenicale per famiglie organizzata dalla rivista Giovani Genitori e dal Museo del Cinema di cui avevo parlato in questo mio precedente post. Elia si è rivelato oltremodo collaborativo, in quando ha russato nella fascia per tutti i 93 minuti di “Il libro della Vita”, film di animazione del 2014 diretto dal messicano Jorge R. Gutierrez, peraltro nominato ai Golden Globe nella categoria “Miglior film d’animazione”. Ha vinto? No. Ma a noi che ci importa, perché, amigos, es muy muy lindo.

Una locandina sobria, ma sobria, che più sobria non si può
A me è piaciuto follemente: non solo perché sono ancora in piena esogestazione e mi commuovo anche per le formiche che ingiustamente uccido camminando in un parco, ma anche perché parla del Messico, un Paese di cui sono innamorata ma con il quale ho fatto pace solo l’anno scorso. Ciao, latecomers e lettori nuovi! Per ripassare il mio amore-odio per il Messico, leggete la storia narrata qui, mentre per saperne di più della mia vacanza messicana, leggete qui, qui e qui.
Il film è stato proiettato a ridosso del 2 novembre, il giorno dei morti, e non è un caso. In Messico, il Dìa de Muertos è una festività importantissima. Anzi, per dirla tutta, (altro…)
La tristezza spiegata ai bambini: “La canzone del mare”
Succede che quando hai un bambino fai cose che non credevi possibili. E non mi riferisco solo a prodezze tipo leccare il ciuccio dopo che è caduto sul selciato per disinfettarlo. Ad esempio, puoi andare al cinema con bebè, una rassegna domenicale per famiglie organizzata dalla rivista Giovani Genitori e dal Museo del Cinema. La proiezione -parliamo di film d’animazione o comunque adatti a un baby pubblico- si effettua a volume ridotto e luci soffuse, onde non impressionare i bambini svegli e non destare quelli che dormono. L’organizzazione rende disponibili fasciatoi, scalda-biberon e alzatine per permettere ai bambini piccoli di vedere lo schermo senza essere fagocitati dal sedile a ribaltina.

Spoiler: l’Oscar non l’ha vinto
Potevo forse farmi sfuggire l’opportunità di tornare al cinema dopo oltre 4 mesi? Elia ha capito come buttava e ha dormito nella fascia tutto il tempo. Non ha urlato né pianto. E io? Io ovviamente sì.
Vorrei sapere com’è possibile vedere “La canzone del mare” senza commuoversi: è una storia dannatamente triste. E non parliamo di (altro…)
film da vedere: ragazze con problemi mica da ridere
Come avevo già raccontato, ultimamente non posso andare al cinema. Nel senso, potrei azzardare e andarci col bambino nella fascia (si può fare, conosco gente che l’ha fatto) ma niente mi assicura che dorma 2 ore di seguito. Potrei anche piegarmi alla legge della pirateria, scaricare illegalmente o tentare con lo streaming, ma sapete come la penso sull’argomento. Ma poi, siamo onesti, non riuscirei comunque a vedere un film tutto di seguito perché ho il sonno e la soglia di attenzione di un calabrone ubriaco. Quindi ho trovato questo interessante compromesso: film brevi, tendenzialmente non dei macigni intellettuali, reperibili su Netflix, suddivisi in lotti da 20 minuti, ovvero la durata di un pasto di Elia*. Vi pare un incubo? Vi assicuro che non lo è: sembra di guardare una serie TV. Trovate indecente che guardi un film mentre allatto? Vi garantisco che lui non vede lo schermo, il volume è bassissimo e non lo faccio mai di notte. E comunque, fatevi i cazzi vostri e ne riparliamo quando allatterete voi 7 volte al giorno. Ma basta polemiche, che vi ho selezionato 3 pellicole a tema “ragazze con problemi” che al confronto vi sentirete semplici e lineari come un paio di pantaloni di Cos.
ragazze con problemi mica da ridere: Love me!
Film tedesco, con tutto quello che ciò significa. La protagonista si chiama Sara (ma la sentirete sempre chiamare Zarah perché, appunto, è tedesca), ha una faccia tedesca che di più non si può, ed è un’attention craver con un complesso di Edipo grande quanto il Taj Mahal: vuole solo essere amata e cagata. Purtroppo però (altro…)
Donne complessate: film da vedere
Rieccoci qui con qualche suggerimento cinematografico non eccessivamente mainstream ma nemmeno troppo indie, non prettamente da multisala-con-popcorn ma neppure da cinema-indipendente-con-sedili-gualciti. Lo strapotere statunitense è qui rappresentato da una sola pellicola e viene controbilanciato da un paese emergente (Messico), uno del Commonwealth (Australia) e uno in declino (Italia). Tanto cosmopolitismo per dimostrare che le donne complessate ci sono ovunque, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, da Scilla al Tanai dall’uno all’altro mar.
DONNE COMPLESSATE: PARAISO
Il Messico non è solo narcotraffico e pittrici coi baffi ma è un Paese con una economia emergente di stampo occidentale: Paraìso, datato 2013, racconta infatti le vicende di una giovane coppia della middle-class messicana. Che, analogamente a una classica coppia della middle-class statunitense, indossa tute di triacetato per andare al centro commerciale dove si sfonda di gelato al burro d’arachidi e convive, felicemente e con discreto successo, con l’obesità. Quando si trasferiranno nella capitale e -spinti da alcune pressioni sociali- decideranno di seguire un programma dimagrante (velatissimo riferimento a Weight Watchers, a mio modesto parere) dovranno farsi domande sul proprio sovrappeso e a cosa sono disposti a rinunciare per adeguarsi a degli standard cui non si sentivano chiamati in precedenza. Entrambi, infatti, non avevano mai considerato il sovrappeso un limite o un ostacolo alla propria felicità.

Prima della dieta
Da vedere perché: la protagonista femminile, esordiente, è (altro…)
Film al cinema con attrici attempate
A me piace guardare i film a grappoli, diciamo. Dico “mi piace” ma è una cosa che tende a capitarmi, senza che io me la vada propriamente a cercare, come delle sincronicità jungiane. Mi era già accaduto in passato, in questo, questo e questo caso.
É un caso che abbia visto 3 film al cinema con attrici attempate? Sarà colpa del recente 34° compleanno, ma il mito della gioventù e della freschezza a tutti i costi mi ha stancato. Quando trovo dei modelli femminili più venerabili, rispettabili, completi, veramente aspirazionali mi viene da pensare: “magari fossi così”. Comunque, tranquilli, ancora non sono scema o peggio ancora ipocrita: se mi chiedono a chi vorrei somigliare vita natural durante risponderei Emily Ratajkowski con le tette ad alzabandiera, mica Charlotte Rampling con le rughe d’espressione. Sto solo familiarizzando col concetto, ecco.
FILM AL CINEMA con attrici attempate: LA CORTE
Questa produzione francese racconta di come durante un processo nasca una elegantissima storia d’amore tra il presidente della corte d’appello e una dei giurati, che si scoprirà essere un medico che in passato ha curato il presidente. (altro…)
Film per passa’ a nuttata
Nel tentativo di dare seguito ai miei buoni propositi, cioè di offrire suggestioni cinematografiche immediatamente spendibili (occhio: ho detto suggestioni e non recensioni), vi propongo oggi la categoria dei film per passa’ a nuttata. Le cui caratteristiche, lo intuirete, sono:
- brevità: 100 minuti massimo, che la sera in settimana siamo stanchi e non sempre ce la si fa fino a tardi
- semplicità contenuto: che possiamo sintetizzare in non stellarità del cast, trama semplice e dimessa
- irreperibilità: spesso film di nicchia, o sedicenti indie, che nelle sale cinematografiche italiane sono stati trasmessi il mercoledì delle ceneri degli anni dispari
- vecchiaia: titoli di qualche anno fa, che abbiamo perduto perché in quel periodo la mononucleosi ci impediva di frequentare i luoghi affollati
- vergogna: film magari atrocemente brutti, triti e banali, che però desideriamo vedere per partito preso (ad esempio io guardo tutti i film interpretati o diretti da con Sergio Castellitto, da quando mi innamorai di lui ne “Il Grande Cocomero” di Francesca Archibugi)
FILM PER PASSA’ A NUTTATA: 50/50
Questo film racchiude alcune dei tipici temi da serata non malaccio: la malattia, la morte, l’amicizia, la psicoterapia, il finale positivo-ma-non-troppo. É un cancer movie che racconta della paura di morire in un modo secondo me non cheesy, non moralista, non lacrimevole. La riprova?
Sono incinta, piango per tutto, ma qui non ho pianto.
In questo film c’è anche Anna Kendrick, che costituisce per me uno dei più grandi misteri del cinema americano (altro…)
Film recenti che valgono la pena
Questa volta parlo di film recenti che valgono la pena di alzare il culo, di mettersi addosso quattro stracci e raggiungere una sala cinematografica. Non sono un’esperta di cinema perché non ho solide basi teoriche di critica, storytelling, sceneggiatura, semiotica, recitazione e nessuna delle materie e discipline che uno dovrebbe conoscere per sputare sentenze. Non ho rimediato alle mie carenze accademiche con uno studio autonomo né con l’esperienza, perché non sono una vera divoratrice di film e serie TV. Ho il sospetto che non riuscirò a tenere una vera e propria rubrica, ma qualche breve spunto ogni tanto potrei a metterlo insieme.
So che la tentazione di ricorrere sempre e comunque allo streaming è forte, e che l’industria del cinema muove tantissimi denari e che continuerà comunque a farlo anche senza il vostro sostegno economico, tuttavia io sono forte sostenitrice della superiorità dell’esperienza cinematografica rispetto a quella domestica, spesso indipendentemente dal valore del film in sé. E’ un po’ come quelli che dicono che dormire nelle lenzuola spiegazzate è uguale a dormire in quelle appena stirate: certo, non vi verrà certo uno scompenso per quattro grinze, ma per favore non ditemi che è la stessa cosa. Parimenti, stare soli sul divano con un portatile surriscaldato sulle ginocchia non può essere equiparato a sedere in silenzio in una stanza buia insieme a sconosciuti con cui condividiamo un’aspettativa. Quanto meno a livello energetico una differenza esiste.
Se andate al cinema più di 5 volte l’anno e la questione economica ha per voi un peso (come di fatto lo ha per me), sappiate che, quantomeno in tutte le grandi città, esistono abbonamenti o tessere che riducono notevolmente il costo del biglietto. A Torino, ad esempio, ci sono la tessera Aiace o l’abbonamento 14.
FILM RECENTI CHE VALGONO LA PENA: ROOM
Questo film è proprio come me lo aspettavo, complice il fatto che avevo visto il suo lunghissimo trailer mille volte al cinema. A proposito di trailer vi segnalo (altro…)
Inside Out: è tutto normale
Perchè io sia uscita dal cinema scodinzolante come un maialino nel fango, dopo aver visto Inside Out, è abbastanza facile capirlo: è un viaggio immaginifico nel mondo della mente umana. Ci stanno dentro tutte le mie ossessioni: i ricordi, i sogni, la memoria (e la paura di dimenticare), l’infanzia, la famiglia, e soprattutto la convinzione che dentro la mia mente ci sia un team di persone che, obbedendo ciascuna alla propria inclinazione, m’aiutano a infilare le collane di cazzate che faccio quotidianamente. E adesso che la Pixar mi ha dato ragione, finalmente SO di essere nel giusto*.
Per minimizzare l’effetto spolier, diciamo che Inside Out racconta come per la prima volta Riley-la-bambina-sempre-allegra dovrà affrontare una situazione difficile che le farà provare emozioni forti e contrastanti. A raccontare la vicenda non è Riley, ma proprio le emozioni, antropomorfizzate e dotate di una loro personalità.
Gioia, Rabbia, Paura e Disgusto, osservano da una sorta cruscotto di comando quello che accade alla loro beniamina e la aiutano a reagire, consentendole, rispettivamente, di (altro…)
Still Alice, still Valeria
Pensare ai possibili scenari della mia morte, nuova frontiera dell’autolesionismo. Grande classico, Charlie di Lost che, mentre il livello dell’acqua si alza progressivamente in un ambiente sigillato, apprende che i suoi amici cadranno vittime di un grave complotto, ma non può dirglielo perché, appunto, sta annegando.
Segue a ruota l’incubo di svegliarmi nel cuore della notte mentre dei malviventi stanno girando per casa. Oltretutto, mica muoio battendomi contro i ladri che vogliono sottrarre le mie candele Ikea da 1,99€ e i miei stracci di Zara presi in saldo, bensì di crepacuore, attanagliata dall’idea della mia proprietà privata calpestata da sconosciuti (ciao Verga! ciao Mazzarò!).
Ma di tutte le paure, la più grande è avere una malattia mentale. Come molte altre splendide ventenni mie coetanee, dedico circa un’ora della mia giornata a bistrattare il mio povero corpo perchè brutto/ grasso/ pallido/ flaccido/ malfunzionante/ peloso, mentre considero la mente come un cane da guardia, un vigile urbano, una bidella, una portinaia. Una che sta lì, fa il suo dovere, senza infamia e senza lode, spesso sottopagata. In pratica, do per scontato il privilegio di essere me stessa. Quello che ti viene meno quando arriva una malattia mentale, che ti infligge giorno dopo giorno delle piccole umiliazioni, dei microtraumi -non ricordarsi una parola, non riuscire a legarsi le scarpe, non trovare il bagno-. E i traumi non sono constatazioni amichevoli, sono dolori. Credo che il malato mentale, nei suoi momenti di lucidità, provi nostalgia per il vecchio sé.
Sarà che, pur essendo bella come un angelo di Victoria’s Secret, ho erroneamente (altro…)