Movies 19
Inside Out: è tutto normale
Perchè io sia uscita dal cinema scodinzolante come un maialino nel fango, dopo aver visto Inside Out, è abbastanza facile capirlo: è un viaggio immaginifico nel mondo della mente umana. Ci stanno dentro tutte le mie ossessioni: i ricordi, i sogni, la memoria (e la paura di dimenticare), l’infanzia, la famiglia, e soprattutto la convinzione che dentro la mia mente ci sia un team di persone che, obbedendo ciascuna alla propria inclinazione, m’aiutano a infilare le collane di cazzate che faccio quotidianamente. E adesso che la Pixar mi ha dato ragione, finalmente SO di essere nel giusto*.
Per minimizzare l’effetto spolier, diciamo che Inside Out racconta come per la prima volta Riley-la-bambina-sempre-allegra dovrà affrontare una situazione difficile che le farà provare emozioni forti e contrastanti. A raccontare la vicenda non è Riley, ma proprio le emozioni, antropomorfizzate e dotate di una loro personalità.
Gioia, Rabbia, Paura e Disgusto, osservano da una sorta cruscotto di comando quello che accade alla loro beniamina e la aiutano a reagire, consentendole, rispettivamente, di (altro…)
Still Alice, still Valeria
Pensare ai possibili scenari della mia morte, nuova frontiera dell’autolesionismo. Grande classico, Charlie di Lost che, mentre il livello dell’acqua si alza progressivamente in un ambiente sigillato, apprende che i suoi amici cadranno vittime di un grave complotto, ma non può dirglielo perché, appunto, sta annegando.
Segue a ruota l’incubo di svegliarmi nel cuore della notte mentre dei malviventi stanno girando per casa. Oltretutto, mica muoio battendomi contro i ladri che vogliono sottrarre le mie candele Ikea da 1,99€ e i miei stracci di Zara presi in saldo, bensì di crepacuore, attanagliata dall’idea della mia proprietà privata calpestata da sconosciuti (ciao Verga! ciao Mazzarò!).
Ma di tutte le paure, la più grande è avere una malattia mentale. Come molte altre splendide ventenni mie coetanee, dedico circa un’ora della mia giornata a bistrattare il mio povero corpo perchè brutto/ grasso/ pallido/ flaccido/ malfunzionante/ peloso, mentre considero la mente come un cane da guardia, un vigile urbano, una bidella, una portinaia. Una che sta lì, fa il suo dovere, senza infamia e senza lode, spesso sottopagata. In pratica, do per scontato il privilegio di essere me stessa. Quello che ti viene meno quando arriva una malattia mentale, che ti infligge giorno dopo giorno delle piccole umiliazioni, dei microtraumi -non ricordarsi una parola, non riuscire a legarsi le scarpe, non trovare il bagno-. E i traumi non sono constatazioni amichevoli, sono dolori. Credo che il malato mentale, nei suoi momenti di lucidità, provi nostalgia per il vecchio sé.
Sarà che, pur essendo bella come un angelo di Victoria’s Secret, ho erroneamente (altro…)
Banana, ovvero rivalutare i bambini ciccioni
Chi mi conosce sa che derido tantissimo i bambini ciccioni. Sì: migliaia di euro anni di psicoterapia e sedute dal parrucchiere sfogliando “Riza” di Raffaele Morelli buttati alle ortiche. Grasso = viziato = pesaculo = goffo = zimbello —> bullismo pienamente giustificato. Potrebbe essere il bambino più adorabile e brillante del mondo. Potrebbe semplicemente avere dei problemi di salute e/o una madre iperprotettiva. Nulla da fare, mi viene istantaneamente voglia di dargli gli schiaffetti in fronte al grido di “Ciccio bomba cannoniere”.
Subito dietro ai bambini ciccioni, troviamo quelli che pisciano fuori dal vaso. Questo eccesso di realismo mi è arrivato presto, purtroppo: la mia ambizione è stata ridimensionata il giorno in cui, moralmente pronta a diventare la nuova Nadia Comaneci, mi sono fratturata un braccio durante un esercizio di ginnastica artistica. Non capita a tutti di vedere un sogno infrangersi a soli 9 anni, ma forse è stato meglio così: avevo così poco talento che non mi avrebbero ammessa nemmeno a “Ginnaste: vite parallele”, figuremose alle Olimpiadi.
A completare la triade, troviamo quelli che ci credono tanto. Gli ostinati, i caparbi, gli irriducibili, cioè quelli che, oltre ad avere un grande sogno, si adoperano attivamente per raggiungerlo incuranti del giudizio altrui. Quegli ottimisti sognatori pieni di energia, spirito guerriero, volontà. A loro riservo un sapiente mix di invidia, sprezzo e compatimento, di solito accompagnato da esortazioni tipo “Stai calmo”.
Incredibile quindi che sia riuscita a non detestare visceralmente Banana, (altro…)
maleducato, insensibile, insicuro
Si pensa alla buona creanza come un corredo di gesti, parole, prassi che si imparano da piccoli per pura reiterazione, come parlare o camminare. A forza di ricordare ad un bambino di dire perfavoregrazie, alla lunga lo interiorizzerà e lo farà in automatico, come una coreografia o la serie primaria dell’Ashtanga Yoga. Di conseguenza, la maleducazione denoterebbe una carenza da parte di chi è deputato ad instillare nei figli questo meccanismo. Insomma, se un bambino è cafone, la colpa è sostanzialmente dei genitori, barbari a loro volta oppure pessimi pedagoghi.
La buona educazione è un patrimonio più individuale che secondo me si sviluppa con la crescita e che non si limita alla “ritualità” ma che si fonda su cortesia, discrezione, referenza. Prevenirne i bisogni del prossimo, prendersene cura e farlo sentire a proprio agio. Dire e fare la cosa giusta al momento giusto, che è poi il bon-ton. Queste finezze implicano una capacità di “modulare” il comportamento che si apprende fuori dalle mura di casa e che si costruisce attraverso l’esperienza e l’osservazione.
Ho spesso pensato che la scelta volontaria da parte di un adulto di essere maleducato denota assenza di empatia. Il maleducato non riesce ad immedesimarsi nel prossimo, (altro…)
Uomini che sono vessati dalle donne
Continuano gli arditi parallelismi basati su assolutamente casuali scoperte cinematografiche del Gynepraio. Voi direte: scegli i film ad hoc, a chi vuoi darla a bere? Prima ti vedi due film consecutivi con ricche donne che non c’han voglia manco di darsi lo smalto; due settimane dopo, doppietta di sorelle isteriche con un irrisolto grande quanto una Panda.
Questa volta, tocca a uomini con una certa propensione a farsi insultare e trattare di merda dalle donne. Badate bene, non voglio parlare delle donne che vessano gli uomini! Quello è un fenomeno assolutamente normale: le donne devono tiranneggiare il loro compagno, schiavizzarlo, comunque indurlo a fare cose contro la sua volontà. Questa abilità assume forme eterogenee: la più classica contrapposizione è tra misure coattive e misure proibitive.
Nel primo caso, ci sono le imposizioni: portami a fare shopping, accompagnami a incontri con i parenti, siedimi a fianco e conversa amabilmente durante cene noiose, esegui incombenze domestiche, mangia controvoglia cibi sani o presunti tali, lavati. Nel secondo gruppo, ci sono i divieti: non guardare il culo alle altre, non ruttare, non brandire il coltello a tavola (questa l’ho sentita fresca fresca domenica sera), quando tagli il coltello deve stare sopra la forchetta e non sotto (anche questa è di domenica sera), non toccarmi quando ho il ciclo, non usare quello shampoo che per te è troppo caro, non toccare le ante d’acciaio della mia cucina Dada autentica che lasci le ditate e a toglierle ci vuole il maggiordomo secondo te le maniglie cosa le hanno inventate a fare poi dico ti costasse tanto fare un minimo di attenzione oltretutto dico fossi una cazzo di maniaca della pulizia ma visto che non ti rompo mai i coglioni potresti pure darti una regolata (nelle ultime righe, vi è stato offerto un saggio del metodo Stanislavskij).
In “A proposito di Davis”, ultimo lavoro dei fratelli Coen, assistiamo (altro…)
sorelle
Venerdì ho visto al cinema “I segreti di Osage County”; sabato, a casa, ho visto “Rachel sta per sposarsi”, un film del 2008.
Che stanchezza, gente, che stanchezza. Le due pellicole sono diverse ma molto corali e prendono il via da una riunione di famiglia: il funerale del padre, il matrimonio della primogenita. Tantissimi dialoghi, diverbi, recriminazioni. Si alza la voce, ci si interrompe, si rivanga, si piange e ci si manda a cagare in continuazione. Meno di 2 ore caduno, e alla fine ero esausta, a riprova che la mia concentrazione è andata a ramengo da quando ho finito gli studi, ho cominciato a lavorare da dipendente e a ragionare per compartimenti stagni (=spento il pc, spenta la testa). Ma soprattutto da quando mi avvalgo di (altro…)
donne milionarie svogliate
Ho recentemente visto due film che si reggono su figure di donne svogliate. “Blue Jasmine”, dove una Cate Blanchett bellissima si dispera per la fine del suo miliardario matrimonio e cerca senza successo di rifarsi una vita sulla West Coast. “Il Capitale Umano”, in cui una Valeria Bruni Tedeschi bravissima cerca di distrarsi da una pigra e ricca vita di provincia acquistando e ristrutturando un teatro -anche qui con esito negativo-.
Vorrei compatirle, vorrei pensare che le loro vite sono prive di senso, che sono improduttive e questo senso di inutilità ha irrimediabilmente avvelenato le loro vite. Che la forzata inattività ha inficiato la loro intelligenza e sono pertanto incapaci di apprendere, darsi da fare, aggredire i problemi alla radice. C’è uno stereotipo secondo il quale se non lavori e non fai nulla di economicamente remunerato, allora sei tendenzialmente condannato ad essere infelice.
Un altro per cui, se all’interno di una famiglia la donna non contribuisce economicamente al ménage pur avendo le capacità e le possibilità materiali per farlo, allora è una (altro…)
la vita di Adele
Sabato sera ho visto “La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche, film vincitore della Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes. L’educazione sentimentale di una liceale di Lille che, scopertasi omosessuale, vive un’intensa relazione con Emma, artista di alcuni anni più grande. Non mi ero informata su nulla, perché ho passato il pomeriggio a cazzeggiare per non avere pregiudizi; in compenso, mi sono portata dietro la mia unica certezza- quella che non mi abbandona da anni- ovvero di non aver mai capito nulla dell’amore.
Per fortuna, in sala non ero la sola. Anche Adele non sa niente dell’amore. Inizia una relazione con una donna, più grande e smaliziata, diversa per background familiare e aspirazioni. Si abbandona, anche e soprattutto fisicamente, senza risparmiare niente di sé e per sé, nonostante un certo senso di inferiorità culturale. Segue e supporta la sua compagna nel suo percorso professionale, scegliendo una più dimessa carriera di maestra elementare e divenendo l’elemento femminile-materno della coppia. Si sente messa da parte, è anche infedele, ma vuole tornare nello stesso posto, a fianco ad Emma. (altro…)
su come si possa non vedere Bling Ring e vivere ugualmente
Domenica piena di grandi soddisfazioni. Mi sveglio, mi sovviene che nel pomeriggio andrò a un babyshower, per l’occasione preparo una torta al cioccolato di Modica; mentre il suddetto dolce sta in forno, imparo a usare discutibili App fotografiche. Infine faccio una sintesi delle tre scoperte che vedete sotto riepilogata.
Dopo tutto questo lavorio, il cinema potevo anche risparmiarmelo. Soprattutto se si tratta di Bling Ring, ultima fatica di Sofia Coppola. Per quei quattro che non sanno la storia: (altro…)