Abbandono 2
Quando ho aperto un blog
Il 4 giugno del 2013, durante la pausa pranzo, in ufficio, comprai per 18 USD questo dominio. Quando ho aperto un blog, era uno dei momenti più brutti della mia vita perché la storia che stavo vivendo si avviava inesorabilmente alla fine. Nell’aria c’era tensione. Non era una tensione che si poteva palpare: diciamo pure che si poteva tagliare con una mannaia. Eravamo due foglie aggrappate su un ramo in attesa che uno dei due prendesse la decisione di chiudere. Spoiler: non fui io.
Non racconto nulla di nuovo dicendo che, quando (quella che credevi) la storia a più alto potenziale amoroso dell’universo mondo ti si sgretola tra le mani, si sta malissimo. Specialmente se non l’hai voluto tu, specialmente se ci avevi investito l’anima, specialmente se sei insicura non hai la spina dorsale drittissima ed è facile instillarti dubbi. Il risultato è che si guarnisce la torta dell’abbandono (che di per sé è già tanta roba da mandare giù) di alcune glasse decorative: il sentirsi una buona a nulla, ad esempio. C’era una voce subdola, dentro di me, che mi diceva che se fossi stata più carina, intelligente, simpatica, brillante, indipendente, magra, ___________ (aggiungere aggettivi a vs scelta), sarei stata capace di trattenere a me una cosa così bella, no? Quantomeno, non sarei stata scartata come un sacco di abiti sgualciti destinato alla Caritas, ecco.
Ma le disgrazie non vengono mai da sole: non c’erano solo l’abbandono e l’inutilità. C’era anche una rabbia antica, violenta, barbarica: “Come osi tu fare questo a me, a questi 60 kg di fortuna magicamente capitati nella tua vita? Possa tu morire contorcendoti in preda al senso di colpa e all’istinto impellente di mangiarti le tue stesse, colpevoli, stupide mani”. L’alternanza tra crisi d’autostima e delirio di onnipotenza (che Dio ve ne scampi) non solo mi attirava gli sguardi costernati di amici&famigliari convinti che fossi una povera squilibrata, ma (altro…)
ci vediamo domani all’una
Alcuni giorni fa mi sono detta “Non ho mai pianto così tanto in vita mia”. Da 2 mesi piango più o meno silenziosamente dinanzi a pubblici variegati: i genitori, gli amici, l’edicolante, il vigile urbano, l’erborista, l’osteopata, la psicologa, la sarta.
Subito dopo la tazza del cesso, amena sede delle mie più importanti riflessioni, il luogo in cui ho frignato di più è l’ufficio (collega, meno male che ti sei licenziato per andare a cercare te stesso in Africa lasciandomi 500 progetti inconclusi, sennò toccava pure a te), o meglio l’armadio dei dossier dove ho appositamente allestito una toilette per rifarmi la faccia dopo ogni lacrimata.
Mi sono subito corretta ricordando che c’è stato un periodo di pianto ancor più furibondo nell’autunno del 2000, quando avevo 18 anni e ho ricevuto la più grossa scaricata della mia vita. La storia era così volgare e così speciale che ci possiamo rileggere tutti gli amori del mondo. (altro…)