Giovanna D’arco
Carina, eh, ma con quei capelli
Non ho mai pensato di avere un animo nobile, e infatti ho riso spesso di qualche altrui disavventura, non sapendo che, in tempi neppure così lontani, mi sarebbe capitato di viverne una simile. Tamponamenti automobilistici (ma cosa piangi in mezzo alla strada, sposta quella macchina dall’incrocio, sciocca), gli scivoloni e capitomboli (buahahahaha, svampa, se non sai camminare coi tacchi metti le Birkenstock) e con l’alcol (stomachino da cincillà, 5 shot e già sente le voci come Giovanna d’Arco). Salvo poi, nel giro di poco tempo, distruggere l’auto, farmi una intera rampa di scale col culo e finire vomitando per strada con perfetti sconosciuti a reggermi la fronte.
Al mio buggeramento non sfuggono anche i protagonisti di film (Llewyn, cosa ti fai maltrattare da Jean che si vede lontano un miglio che è una zoccola), libri (Hans, dimmi per favore cosa ci vedi in Maria, è una cattolica integralista, a te ne serve una più bohémien) e soprattutto spot televisivi.
Dopo una vita passata a deridere quelle con le perdite urinarie in ascensore, la camicia che si strappa dopo il candeggio, la dentiera che si stacca alla festa di Capodanno, la macchia di mestruo sulle braghe bianche, avrei dovuto aspettarmi la vendetta della sorte. (altro…)
non amarmi perché vivo a Londra
Nel 1992 facevo la quarta elementare e avevo delle orecchie enormi: non a sventola, badate bene, ma solo molto grosse. Le stesse che ho adesso, ma montate su un cranio da bambina. Quella primavera la parrucchiera di mia madre prese male le misure e mi fece un taglio a scodella che espose i miei padiglioni giganti a 6 mesi di pubblico ludibrio. Se solo la parrucchiera avesse saputo che nel 1998 Milla Jovovich avrebbe sfoggiato uno styling identico in Giovanna d’Arco, avrebbe lanciato il trend e sarebbe diventata la nuova Jean Louis David. Io sarei stata una baby fashionista come Suri Cruise, invece di sentirmi la sorella bionda di Marcellino Pane&Vino e vergognarmi come un cane.
Tutte quelle orecchie in bella vista non servirono a molto (altro…)
ti lascio perché ho finito l’ossitocina
Quando ieri sera la mia amica (sì, lei, quella delle unghie) mi ha portato alla Cavallerizza Reale a vedere Ti lascio perché ho finito l’ossitocina, mi aveva solo detto di averne visto un estratto durante il festival del Teatro di Strada e di averlo trovato piacevole.
La mia amica non sbagliava: è uno spettacolo molto divertente, ben scritto, scorrevole, piacevolmente breve. E’ un monologo la cui protagonista, lasciata dal fidanzato, risponde alle domande del pubblico -momentaneamente nelle vesti di psicoterapeuta- e racconta lo svolgersi della sua nuova e grottesca vita da single. I pareri ottusi e rigorosamente non sollecitati di parenti/amici, la sovrabbonzanza di tempo libero. L’invidia nei confronti di lui, più bello e attivo di prima. I j’accuse che s’infligge per risalire al motivo scatenante dell’abbandono. La voglia di vendetta rivalsa.
Lo spettacolo è, prima di tutto, una prova di immedesimazione: (altro…)