Mamma 7
Mia madre e il foglio bianco
Mia mamma è una donna incredibilmente saggia e capace di fare i conti con la realtà. Pensate che quando non le vengono le parole crociate, travisa vocaboli, produce neologismi e riesce creativamente a incastrarli. Ad esempio, una volta la definizione era “7 lettere, ne soffrono le puerpere” e decise che la parola era ORCHITE. Non mi chiedete come, ma completò comunque lo schema.
Non so se sia il suo realismo, o la sua proattività, sta di fatto che solo lei è capace di vendermi la verità, e farmela digerire in un modo che la fa apparire quasi interessante. Una volta, consolandomi alla fine di chissà quale racconto strappalacrime, mi aveva avvisata che le prossime relazioni sarebbero state molto più difficili. Hai trent’anni e non sei più di primo pelo, figliola, scordati di trovare un altro foglio bianco. Il foglio bianco, nel dizionario sentimentale della mia genitrice, è un uomo che
Nutella, assenza di
Mia madre è una buona cuoca e, avendo studiato e vissuto all’estero, cucinava cose che adesso sono normali ma che nei primi anni ‘80 erano davvero speciali, tipo i toast alla francese e il pollo al curry. I miei sono golosi e poco severi, e acquistavano anche cibi non propriamente sani come il Nesquik, il gelato, il tè solubile, i biscotti industriali.
Ma mai, mai, mai, è stato comprato un vasetto di Nutella. Non ho mai avuto i bicchieri di Titti, dei Looney Tunes, dei Puffi. I miei compagni di classe, anche quelli poveri con tanti fratelli, sì. I miei cugini sì. I bambini della pubblicità, sì.
Persino mia nonna, grande fan del passato di verdura 4 sere su 7, quando andavo a casa sua mi dava un paio di fette biscottate con la Nutella per merenda. Ovviamente ne avrei volute di più, ma temevo mia nonna come i soldati temevano Rommel, e non osavo chiederne ancora; prenderla di nascosto era escluso, perché la metteva in un ripiano in alto e comunque stava sempre in cucina a vedere le telenovelas con Grecia Colmenares e Andrea del Boca.
In segno di protesta, dichiarai che preferivo i biscotti.
Quando avevo 5 o 6 anni andavo con mio padre al Balôn (altro…)
Sulle curvy: io difendo solo la lingua italiana
Se qualcuno avesse dubbi sulla mia appartenenza politica, vi dico che, qualora il mondo dovesse improvvisamente dividersi in due fazioni, le Secche e le Tonde, io militerei nel secondo partito. Per conformazione fisica e spirito di squadra.
Sono cittadina italiana e mi faccio promotrice della cultura gastronomica più bella del mondo. Non sono figlia di magri, non sono mai stata un’acciughina né la più stretta della scuola. La frase che mi è stata pronunciata più spesso, dopo “stai zitta”, è “basta mangiare”. Sono golosa -di dolce e salato in egual misura- e mi piace cucinare. Penso che un piatto di minestra non si neghi a nessuno.
Ma, in quanto cittadina italiana, conosco la mia lingua. Ho anche intrapreso delle piccole crociate contro chi la maltratta: “piuttosto che” non ha funzione disgiuntiva, “qual è” senza apostrofo, “xkè” solo se hai meno di 13 anni.
Volevo quindi ribadire che: (altro…)
Still Alice, still Valeria
Pensare ai possibili scenari della mia morte, nuova frontiera dell’autolesionismo. Grande classico, Charlie di Lost che, mentre il livello dell’acqua si alza progressivamente in un ambiente sigillato, apprende che i suoi amici cadranno vittime di un grave complotto, ma non può dirglielo perché, appunto, sta annegando.
Segue a ruota l’incubo di svegliarmi nel cuore della notte mentre dei malviventi stanno girando per casa. Oltretutto, mica muoio battendomi contro i ladri che vogliono sottrarre le mie candele Ikea da 1,99€ e i miei stracci di Zara presi in saldo, bensì di crepacuore, attanagliata dall’idea della mia proprietà privata calpestata da sconosciuti (ciao Verga! ciao Mazzarò!).
Ma di tutte le paure, la più grande è avere una malattia mentale. Come molte altre splendide ventenni mie coetanee, dedico circa un’ora della mia giornata a bistrattare il mio povero corpo perchè brutto/ grasso/ pallido/ flaccido/ malfunzionante/ peloso, mentre considero la mente come un cane da guardia, un vigile urbano, una bidella, una portinaia. Una che sta lì, fa il suo dovere, senza infamia e senza lode, spesso sottopagata. In pratica, do per scontato il privilegio di essere me stessa. Quello che ti viene meno quando arriva una malattia mentale, che ti infligge giorno dopo giorno delle piccole umiliazioni, dei microtraumi -non ricordarsi una parola, non riuscire a legarsi le scarpe, non trovare il bagno-. E i traumi non sono constatazioni amichevoli, sono dolori. Credo che il malato mentale, nei suoi momenti di lucidità, provi nostalgia per il vecchio sé.
Sarà che, pur essendo bella come un angelo di Victoria’s Secret, ho erroneamente (altro…)
perché le madri parlano al plurale
E’ di qualche giorno fa la notizia secondo la quale il nostro Paese, nell’anno 2013, ha segnato il suo record negativo di nascite: solo 514.000, pari a 1,39 bambini per donna. Non so se l’Istat si prende gioco di me o se, più probabimente, la mia prospettiva è totalmente sbagliata: ma io sono letteralmente circondata di gestanti, puerpere, lattanti e gattonanti.
Vivo questo fenomeno da outsider (esperienza indiretta ma non meno impattante) e osservo ammirata le stesse ragazze con cui un anno fa brindavo e ballavo sui tavoli, prendersi cura di un neonato. Io nel pianto dei bambini, che tendenzialmente scatta non appena me lo piazzano in grembo, non sento l’umana disperazione di chi si sente mancare la terra sotto i piedi la mamma. Io odo le voci: (altro…)
il compleanno di mia madre
Vivere con mia madre è come stare in un salotto insieme a tutte le donne più divertenti della TV. Ha l’appetito di Roseanne Barr, la tenerezza di Cindy Walsh, l’autorevolezza di Claire Robinson, la memoria di Supervicky, l’intuito di Jessica Fletcher, la passione della dottoressa Quinn, l’irriverenza di Zia Assunta, l’energia di Lorelei Gilmore. Ha l’abilità diplomatica di Maria de Filippi, il repertorio musicale di Loretta Goggi e le doti culinarie di Wilma de Angelis. Il biondo di Caterina Caselli e le tette di Sofia Loren.
io voglio fare il bambino
Mercoledì sono uscita con la triade della genitorialità, la sacra corona unita del ventre rigonfio, la mommy mafia: una mamma consolidata, una neomamma, una gestante avanzata. A completare la climax discendente, ovviamente io, senza bambini né velleità procreative.
La mia posizione sulla maternità è un po’ la stessa che assumo dinanzi al cinema neorealista, alle canzoni di Bugo, alle performance di Marina Abramovic, alla lista Tsipras. Intuisco che c’è un fondo positivo, ma non è alla mia portata. Sento storie paurose che mi portano a sospendere il giudizio sul mestiere di genitore.
Ma non su quello del figlio. Signori, essere bambini nel 2014 è una figata.
Tanto per cominciare, a che età siete andati in gita voi? Io, forse, sono stata portata al Museo della Montagna in prima elementare. È giusto che sappiate che adesso prendono i bambini del nido, cioè sotto i 12 mesi, li mettono su un minivan, li imbragano come la paracadutista di Nuvenia Pocket e li portano a fare quelle cose tipo psicoelettrofisiosteomotricità.
Immaginatevi poi che vostra madre, (altro…)