Terima Kasih – Grazie mille
ATTENZIONE! CONTIENE AFFERMAZIONI PREGIUDIZIOSE E GENERALISTE. Trovo i travelblog incredibilmente noiosi, perché sono poco più di cronodiari conditi da descrizioni paesaggistiche. Non provo alcun piacere a leggere le avventure degli altri: preferisco viverle, diciamo. Poi, statisticamente, molti travel blogger sono ottimi organizzatori ma pessimi storyteller. Resto in attesa che mi facciate ricredere indicandomene uno che sappia scrivere. Ma siccome diverse persone mi hanno chiesto un resoconto delle vacanze, ho comunque fatto del mio meglio. Inizialmente volevo fare un diario il cui leit motiv fossero i bagni pubblici, ma poi ho pensato che un mix fosse meglio -oltre che meno blasfemo-. Al fondo del post trovate anche una piccola playlist Spotify, fatta apposta appostino.
INDONESIA IN PILLOLE 21 giorni di viaggio, 7 voli, 2 imbarcazioni, 3 isole, 2 parchi naturali, svariati scooter, 100 ore di autobus, 4 kg di riso ingeriti, 13 letti cambiati, 3 pianti, 5 libri, 0 feriti.
INDONESIA SPECIAL THANKS
La sorte. Non sono proprio Puffo Fortunato, ma tutto sommato mi è andata bene.
La commessa di Dunkin Donuts di Dubai. Che mi ha bloccato prima che stessi per addentare la ciambella, nonostante avessi l’espressione trasfigurata di un cinghiale bulimico. Che mi ha detto di andare a mangiarla chiusa nel bagno. Che, quando le ho velatamente suggerito di farsi i cazzi suoi, mi ha indicato sorridendo un poliziotto del corpo “Buoncostume durante il Ramadan”. Potevo finire la mia vacanza i miei giorni in un carcere degli Emirati. Ok, con le sbarre d’oro zecchino, ma pur sempre carcere. Dopo questa scena, ho sentito fortemente il bisogno di casa e quindi sono andata nell’unico luogo che ho riconosciuto come tale.
Gli Indonesiani. Non si lamentano mai: caldo, assenza di spazio, fame&sete (anche in pieno Ramadan), cacca&pipì, volume della musica. Neanche le gestanti. Neanche i bambini. Neanche gli anziani. Neanche dopo 8 ore di viaggio. Per reazione, ho smesso di lamentarmi anche io. Questo, se si esclude un solo pianto nervoso che mi sono concessa su un autobus; ma che volete, ero insofferente, stanca e stavo furiosamente ovulando.
Gli Scrittori. 100 ore di autobus, dicevamo. Se non fosse stato per Zadie Smith, Nick Hornby, Geoffrey Eugenides, John Williams, Murakami Haruki, avrei commesso una strage. Columbine, in confronto, sarebbe stato un tafferuglio.
Le salviette. Si erano dimenticati di dirci che sull’imbarcazione dove saremmo state 3 giorni non c’era acqua. Grazie a Dio, ne avevo portate abbastanza. Le ho anche prestate agli altri passeggeri, guadagnandomene la stima imperitura.
Le dita. Ma cosa pensate, porci. Vorrei ringraziare le 3 persone, le 6 mani, le 30 dita che mi hanno impastato da cima a fondo a Bali, Batukaras e Cianjur. Ho in particolar modo apprezzato che tutti questi massaggiatori conoscessero solo 3 parole: “up”, “down” e “finish”. Quanto meno non mi hanno apostrofata all’italiana: “questo collo cosa le ha fatto di male che lo tratta così?”, “che scoliosi incipiente, dovrebbe andare a farsi vedere“, “la mala occlusione della mandibola le darà sempre problemi posturali“, “dovrebbe rassodare i glutei“.
Il geco. Non parliamo dei gechi comuni (quelli del sud Italia), ma del Tokay. Io ho visitato diversi Paesi tropicali, ma ignoravo che il geco fa un verso (alzi la mano chi sapeva). Insomma, si riempie i polmoni ed emette un numero variabile di pseudoragli asinini. Un ragazzo balinese mi ha detto che 6 ragli significano buona sorte: sospetto lo facesse solo per portarmi a letto (povero diavolo, che pena mi fai), ma sta di fatto che io ne ho sempre sentiti 6. Fortunatissima me.
L’uomo dell’Oman. Povero ragazzo che sul volo Emirates ti sei fidato di me e anziché un film di Bollywood hai visto “Django unchained”, io lo so che quando ti sei appallottolato il cuscino sulla spalla per farmici accomodare eri animato dalle migliori intenzioni. Probabilmente avevo l’espressione della piccola fiammiferaia assetata d’affetto e hai voluto essere carino. Sei stato un gentleman portandomi in un ristorante chic dell’aeroporto di Dubai, offrendomi da bere e financo le sigarette. Ho apprezzato che tu mi abbia scritto per accertarti che fossi arrivata a casa sana e salva. Questa Fatwa, solo perché non te l’ho data, la trovo però un po’ eccessiva.
La compagna di viaggio. Infine, un grazie speciale alla mia tripmate, che si è fatta carico dell’organizzazione nei numerosi giorni in cui ero attiva come Pannella al quarto giorno di sciopero della fame. Che mi ha più volte ceduto il posto finestrino sull’autobus, impedendomi di uccidere immotivatamente altri passeggeri. Che per farmi compagnia ha bevuto l’acqua di cocco e il giorno dopo ha vomitato come la bambina dell’Esorcista. Che si è sorbita sorridente una serie di deliranti analisi di scenario sul mio ritorno in Patria. Che non ha mai detto “che ci faccio qui?”, anche se lei -a differenza mia- un ottimo motivo per voler rientrare ce l’aveva.
Amica, ti è andata male che sono etero fino al midollo: se mi piacessero le donne, passerei le giornate a intrecciare per te collane di frangipani. Anzi, ci ripenso, ti è andata bene, che il sesso rovina l’amicizia, lo dice anche Cioè.
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Maria
Agosto 7, 2015 at 3:53 pm
Pour moi Hauteville (la rue d’) c’est un peu comme Capri. c7a me touche qu’elle ait aussi un sens pour toi.Et puis il y a Hauteville’s house of9 hatbia l’exile9 Hugo.