Partiamo con una affermazione scomoda: scaricare o fruire illegalmente di contenuti culturali è un gesto brutto per chi lo subisce e disonorevole per chi lo compie. Download e streaming sono atti superficiali, eppur diffusi tra individui intelligenti, sensibili, corretti. Orrore degli orrori, se ne macchiano financo persone che lavorano nell’industria dello spettacolo -che della proprietà intellettuale dovrebbero essere paladini- e da persone agiate -che non avrebbero alcun problema a pagare per ciò che vedono o leggono-. Tra i grandi fan di download e streaming vi sono infine persone dall’etica rigorosa, che non ammazzano le zanzare per rispetto nei confronti degli animali o si indignano per i poveri stagisti non retribuiti.
Tra di essi ci sono anche le tweetstar -che si incazzano perché qualcuno copia le loro battute e le ricicla su altri social network-, le influencer e le blogger -che si incazzano perché qualcuno copia i loro concept-. È capitato persino a me: in un (orribile) meme hanno riciclato la foto della mia cabina armadio e ho pure sgamato una che su Facebook spiegava a una sua amica come attuare la Settimana della Vergogna per liberare l’armadio, spacciando il metodo come farina del suo sacco quando ormai è noto pure a quell’oca giuliva di Marie Kondo che l’ho inventato io. Violare la proprietà intellettuale non vuol dire solo riciclarla o plagiarla: vuol dire anche fruirne a sbafo. Ridere, riflettere e commuoversi con l’opera di un’altra persona -opera nata per essere venduta, non un tweet!- vuol dire compiere uno sfruttamento. Perché, sebbene ormai scrivano libri pure le scimmie urlatrici del Borneo, creare bei contenuti per far ridere, riflettere e commuovere è un lavoro che costa ancora fatica, sapete?
Con tutti i soldi che guadagnano, tranquilla che vivono bene ugualmente anche se il loro film me lo guardo in streaming. Il mondo della cultura e dell’intrattenimento non è costituito da scrittori e attori. Nelle retrovie di un romanzo o di una produzione c’è un’industria, e per ogni figura celebre e lautamente retribuita, ci sono decine di editor, correttori di bozze, montatori, trovarobe, traduttori, stampatori, stuntman, compositori, costumisti, segretari e via dicendo. Se ogni tanto andaste al cinema, e se rimaneste in sala fino alla fine dello spettacolo, ve ne rendereste conto. Insomma, fruite del loro lavoro senza pagare, un po’ come chi sfrutta gli stagisti.
Ma la cosa che mi dispiace di più è che ci si approccia ai contenuti culturali senza alcuno spirito critico, o informazione preliminare. Forse sono noiosa, ma non sono mai andata al cinema senza informarmi prima sul film: chiedendo a delle persone del cui gusto mi fido, leggendo delle recensioni. Moltissimi fanno il contrario: “scarico la prima stagione, guardo due puntate e se non mi piace la mollo”. Questa specie di bulimia culturale a me preoccupa: sembra che tutto sia lì, pronto a essere colto e poi gettato a terra se fa schifo. In questa infinità possibilità di scelta senza impegno, i contenuti costano e valgono tutti ugualmente nulla. Valgono uguale una fanfiction sgrammaticata scritta da un’adolescente e l’ultimo premio Strega, una webserie girata con l’Iphone e Game of Thrones. Valgono uguale una chiacchierata con un’amica e una seduta dalla psicologa? Un selfie fatto con l’iphone e un ritratto di Mario Testino?
Una volta, quando il pubblico pagante si alzava a metà di uno spettacolo e se ne andava sdegnato* ne scrivevano i giornali, mentre ora l’abbandono sistematico dei contenuti non è un gesto critico, è solo figlio della noia e della superficialità. A me è accaduto di pensare che quel Supercorallo Einaudi l’ho pagato 18 euro**, e che forse valeva la pena di andare avanti di altre 10 pagine: quasi sempre si è rivelata una scelta giusta. Scegliere una forma di intrattenimento o di cultura è un gesto morale, significa regalare la propria attenzione, intelligenza, senso critico a un contenuto e non a un altro. Su quest’aspetto ho riflettuto molto ultimamente: le mie ore libere e la mia concentrazione, da quando c’è Elia, si sono notevolmente ridotte. Di conseguenza, sto ben attenta a come le uso. Desidero davvero i libri che compro, i documentari che vedo. Mi interrogo su quello che ho visto, ne parlo con gli altri, li consiglio a chi potrebbe amarli, cerco di trarne il massimo. Se mi sento stanca e deconcentrata, non mi metto davanti allo schermo o al libro perché so che mi addormenterei.
Ma è sul fronte dei costi che ho sentito le peggiori ipocrisie. È un vizio trasversale: sono fan di download e streaming tutti, ricchi e poveri. Mi fa ridere chi si autodefinisce “drogato di serie TV” e poi non è disposto a sganciare due soldi per vederle legalmente, in alta definizione, sulla TV di casa, in lingua originale o accuratamente sottotitolati nell’idioma che più gli aggrada, o chi è “appassionato di cinema” e contribuisce al degrado dell’intero sistema scaricando nottetempo i film che sono in sala negli stessi giorni. Io penso che il costo della cultura e dell’intrattenimento non siano lussi superflui: non costano quanto un cavallo al maneggio o un posto barca a Santa Margherita. Mi sembrano un investimento abbastanza sostenibile per qualsiasi persona o famiglia, eventualmente a fronte di piccole rinunce: c’è un’offerta amplissima di servizi che consentono di vedere serie, film, cartoni animati. Veramente non riuscite a mettervi d’accordo con un amico e condividere un abbonamento Netflix, Sky o Now Tv? Non ce la fate ad andare al cinema una sera a settimana scegliendo il giorno in cui costa meno? È umiliante fare la tessera della biblioteca comunale?
Le passioni -per il cinema, i libri o le serie TV- hanno un costo: insomma, scegliere, essere se stessi e avere dei gusti ha un costo a prescindere dai gusti stessi. C’è una maggiore coerenza in chi fa la coda l’8 dicembre nei multisala per vedere Natale sul Nilo, rispetto a chi vede nel buio della propria stanzetta un film indipendente sui matrimoni in Mongolia*** reperito su Cineblog. Non pagare per ciò che si ama è anche una presa di posizione politica che va a detrimento di un business, quello della cultura e dell’intrattenimento, del quale va di moda lagnarsi.****
Una industria che invece ha fatto e potrebbe ancora fare la differenza in termini di educazione e qualità della vita di questo avvilito Occidente.
*a chi interessa, l’unico film al cinema che ho mollato a metà al grido di “qui ci stanno trollando” è The tree of life di Malick
**cioè che ho lavorato 2 ore in ufficio per pagarlo.
***c’è, e si chiama Il matrimonio di Tuya
**** ah, signora mia, film belli non ne fanno più, escono solo i libri delle blogger etc etc etc
21 Comments
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Giulia
Settembre 25, 2017 at 9:37 am
il tuo discorso e tutto giusto , io ragiono per me stessa (e questo forse attutisci i sensi di colpa). pago netflix e sky con tutti i pacchetti . preferisco vedere i film al cinema (adesso sto per partorire e quindi credo dovrò abbandonare questa abitudine ). compro circa 5 almeno libri al mese . molto ebook in offerta amazon.
contribuisco ampiamente . però ogni tanto scarico. oerche ? perché ho voluto vedere subito la serie handmaids’tale in contemporanea e non volevo aspettare un anno. oerche mi sono persa quel film al cinema e non voglio aspettare mesi che arrivi in dvd. perché spendo quasi 100 euro al mese in libri e se trovo un ebook gratis di un libro di cui non sono convintissima lo prendo . forse solo scuse che mi racconto, forse anche la mia è una forma di bulimia culturale (e un po’ e sono consapevole ). , forse perché spendo cmq tantissimo in cultura , fatto sta che non mi sono mai sentita in colpa. hai toccato un tema molto interessante comunque
gynepraio
Settembre 25, 2017 at 12:22 pm
Il tuo è un caso paradossale, povera! Sei appassionata, spendi in cultura ma è il sistema culturale che non sta dietro ai tuoi ritmi. Se conoscessi delle soluzioni te le suggerirei, mi dispiace.
Laura
Settembre 25, 2017 at 9:57 am
Sono d’accordo, anche io pago gli 8 € di netflix e non ho mai scaricato ebook, tutto il lavoro che c’è dietro va riconosciuto (e poi in biblioteca si trova tutto, o quasi, e si possono fare richieste di libri che mancano). Aggiungo solo però che spesso quando si vorrebbe vedere un film appena uscito in lingua originale, nei cinema non si trova manco a pagarlo. Questo mi porta a volte a cercare in streaming
gynepraio
Settembre 25, 2017 at 12:18 pm
Questo è un problema e ti do ragione, soprattutto nel caso di chi non vive in grandi città e quindi non ha molto accesso a cinema in lingua (tipo Torino, pur essendo una città abbastanza grande, quasi non ha offerta in questo senso).
aphs
Settembre 25, 2017 at 12:35 pm
Premettendo che il download e lo streaming illegale è totalmente sbagliato, ma c’è un grande ma!
Io vivo in un paesino rimasto fermo agli anni della seconda guerra mondiale in pratica. Il cinema tiene film come Cattivissimo me ed il nuovo di Ficarra e Picone, per TRE SETTIMANE – ha solo due sale.
La Feltrinelli più vicina è ad un’ora e mezza di autostrada. Le librerie presenti qui sono sfornite ed ordinare un libro include spendere extra. Non sempre posso fare un ordine online, perché per non pagare le spese di spedizione devo raggiungere una tot di cifra.
La biblioteca comunale per dire ha comprato gli ultimi libri delle serie, non i primi – immaginate la frustrazione.
Ora scaricare è illegale, ma in queste situazioni cosa fai? Come ti aiuti? Nel momento in cui vivrò in una città del 21esimo secolo sarò ben lieta di contribuire alla cultura. Ma fino a quel momento, si fa quel che si può.
Complimenti per l’articolo ed il blog comunque! Ti leggo sempre!
gynepraio
Settembre 25, 2017 at 3:09 pm
Anche io sono cresciuta in provincia e capisco la tua frustrazione. Per quanto riguarda i libri, posso dirti che con un abbonamento Amazon prime hai un costo annuale di 19,99 euro che ti consente di ordinare libri a volontà senza costi né minimi di spedizione, oltre a darti l’accesso a un servizio di video-streaming incluso nel prezzo. Io ho un Kindle quindi compro quasi solo libri in formato digitale e in questo senso ho risolto i problemi relativi alle consegne.
Quanto ai film in sala hai ragione: probabilmente l’unica soluzione è organizzarsi settimanalmente e andare in un cinema ben fornito. Per le serie, c’è la pay TV. Se ti va, ti segnalo Mubi, che è un netflix tutto dedicato ai film Indie. Il primo mese è gratis, magari recuperi un po’ di arretrati mai usciti nelle sale mainstream!
aphs
Settembre 27, 2017 at 10:03 am
Ho anche io un Kindle – che è la mia salvezza per molti libri che desidero leggere, ma non l’abbonamento Prime per il momento – e l’abbonamento Netflix per le serie televisive – quelle che hanno, alcune purtroppo sono distribuite da altre piattaforme. Più che altro mi riferivo ai film (sempre in riferimento ai film fuori catalogo Netflix) ed a quando magari vorrei un libro in formato cartaceo che vale la pena tenere in libreria. Non conosco Mubi, adesso mi informo e vedo che catalogo offre!
Grazie comunque per il consiglio!
Cristina
Settembre 27, 2017 at 10:09 am
Argomento interessante. Mentre per i libri non mi viene in mente di scaricare copie pirata (abitudine da anni di frequentazione di biblioteche), pecco per quanto riguarda film e musica. Con Netflix ho ridotto moltissimo il download, ma per i desideri hic et nunc mi capita di scaricare contenuti. Me ne pento? Un po’ sì ma fatico a fare diversamente, pur avendo comunque una bella collezione di dvd. Sarà come diceva Giulia che alla fine tra libri, dvd e mostre/ecc comunque spendo e quindi mi sento parzialmente in colpa. Su una cosa però non sono d’accordo: il sacrosanto dirittto di mollare un libro/film anche avendolo pagato tanto. Il mio tempo è troppo prezioso per insistere su contenuti che non mi danno soddisfazione (sì, dico a te “Pastorale Americana”)
gynepraio
Settembre 30, 2017 at 4:11 pm
Ahahhaha anche a me è accaduto di mollare film e serie, anche di addormentarmi al cinema più di una volta. Sui libri sono più cauta perché il loro costo è proporzionalmente maggiore, ci penso bene prima di comprarli e poi, sì, mi spiace anche per l’autore (questo è il mio lato wannabe scrittrice e un po’ tenerone)
Silvia
Settembre 27, 2017 at 4:24 pm
Sono d’accordo con il tuo post, ma nel leggerlo mi è sorto un pensiero polemico.
Ultimamente la quantità di piattaforme per fruire di film e serie tv è cresciuta parecchio e anche il numero dei film e delle serie ivi contenuti, secondo me a discapito della loro qualità (ovvero: una volta c’era poco ma buono, ora c’è tantissimo ma trovare delle perle è molto difficile).
Ritengo che questa sia una manovra fatta per illuderci di avere un’amplissima scelta a fronte dei soldi che investiamo per quella piattaforma, salvo poi scoprire, una volta che oramai stiamo pagando, che non c’è davvero tutto sto granchè che meriti di essere guardato.
Saremo anche dei bulimici culturali, ma ultimamente mi pare che abbondi il junk food rispetto alla sana cucina tradizionale.
Ovviamente siamo sempre liberi di smettere di pagare e di cercare invano qualcosa di buono.
Insomma, sono quella dei 4 asterischi al fondo del post -__-”” .
gynepraio
Settembre 30, 2017 at 4:08 pm
Anche io la vedo come te, per molti versi. Possiamo dire semplicemente che i prodotti audiovisivi low-budget vanno per la maggiore rispetto alle produzioni importanti.
Forse perché le stesse case di produzione sanno che gli utenti scaricano illegalmente (quindi una quota importante del pubblico non paga) oppure assaggiano e mollano facilmente l’osso non appena scende l’hype delle prime 2 puntate. Anche io, se fossi un produttore, ci penserei un attimo prima di investire. Chiaramente questo non significa che tutte le produzioni low budget facciano schifo -anzi, io vedo molti più film indie girati con l’iphone che colossal da milioni di dollari- ma è innegabile che un capitale iniziale consente di avere location migliori, attori migliori, autori migliori e via dicendo.
Antonia
Settembre 28, 2017 at 2:41 pm
Applaudo al tuo post, non ho mai scaricato musica pirata, né film in streaming, né duplicato CD o DVD. Ho sempre pagato ciò che ho guardato o letto per coerenza e rigore personale oltre al fatto che oggi si spende davvero pochissimo per guardare film o serie TV o scaricare libri sul Kindle. Concordo con ogni tua parola soprattutto sulla parte che descrive chi predica bene e razzola male. Grazie
gynepraio
Settembre 30, 2017 at 4:03 pm
Grazie Antonia, immaginavo che tu fossi una fruitrice di servizi di streaming legale!
(Non dirò il nome di chi mi ha scandalizzato più di tutti, ma è una persona che entrambi seguivamo su Snapchat e lavora in una emittente radio. Ho detto tutto)
Lia
Ottobre 2, 2017 at 2:43 pm
Articolo molto molto interessante, mi ha colpita molto (e pure fatto sentire un po’ in colpa). Io cerco di introdurre un equilibrio, che non è facile, e probabilmente a volte è pure un po’ paraculo: gli ebook li compro o li prendo dalla biglioteca digitale, a volte però li scarico (tipo libri introvabili fuori catalogo che usati costerebbero 30 euro + spedizioni… sinceramente se trovo un pdf non mi faccio scrupoli), libri praticamente non ne compro, fumetti tanti, musica c’è youtube e spotify, a volte la scarico, ma faccio fioretto di andare a tantissimi concerti, su cinema&serie tv è la categoria su cui mi vengon più dubbi: a parte che ho netflix e amazon prime video, per il resto che si fa? i film vecchi sono di fatto introvabili, che io sappia, anche volendo comprare i dvd – cosa che sinceramente non voglio fare perchè mi sembra folle pagare 10-20 euro per vedere un film una volta e avere un dvd che sta lì a prendere polvere. Poi sarò cattiva, ma per guardare GOT lo scarico, preferisco fare l’abbonamento del teatro, dell’opera e della sinfonica visto che il mio teatro sta per chiudere un anno sì e l’altro pure. Da consumatore mi sembrano più meritevoli loro che non la HBO, ma probabilmente sbaglio – o dovrei per coerenza rinunciare a GOT :/
gynepraio
Ottobre 3, 2017 at 2:37 pm
Io credo che tu sia meno “colpevole” di altri, perché il tuo santo contributo alla causa della cultura lo dai.Io credo che si possa evitare di scaricare serie TV ad esempio andando a vederle a casa di un’amica o amico che abbia Sky, magari trasformando la visione in una sorta di maratona con cena annessa (con il mio gruppo di amici lo facevamo ai tempi di Lost, nel 2008 o giù di lì).
Scaricare la musica non trovo abbia molto senso, quando c’è Spotify -questo a meno che tu non ami un particolare gruppo che su Spotify non c’è, ma credo siano casi isolati-.
Quanto ai film d’epoca, volevo solo dirti una risorsa che è Openculture.com dove c’è una directory di 1000 film/documentari visibili gratuitamente online dagli anni ’20 fino ad oggi; idem Amazon Prime Video (per il quale devi avere un abbonamento Amazon Prime che costa 20 euro l’anno e serve un sacco per lo shopping online, credi a me!) che non propone niente di recentissimo ma soprattutto film e serie cult. A presto!
Sabrina g.
Ottobre 10, 2017 at 1:43 pm
Ciao. Sono in parte d’accordo con te, nel senso che comunque in Italia la cultura si paga cara. Io amo andare per mostre e musei, ma in altri paesi spesso ne trovo di gratuiti in maggior misura. Mi sembra che a volte si spinga la gente a scegliere di rimbecillirsi in un centro commerciale comprandosi un gelato, piuttosto che spendere 12 euro per un museo.
gynepraio
Ottobre 13, 2017 at 12:49 pm
È come dici tu, ma se chi è seriamente motivato a fruire di cultura pensa di farlo scrocco, allora il circolo vizioso è inarrestabile.
Giupy
Ottobre 12, 2017 at 9:13 pm
Io sono favorevole in certi casi al download illegale. Lo sono come persona che non solo usufruisce di cultura, ma la produce. E no, non produco pop culture (niente romanzi o film nel mio sacco, sorry), ma articoli, libri e saggi accademici. Io non prendo soldi per questo tipo di produzione culturale, nel senso che ho uno stipendio mensile dall’universita’ indipendentemente da quello che pubblico. I libri accademici costano tantissimo, e cosi’ come l’iscriversi alle riviste. Di conseguenza, quello che scrivo io non lo legge quasi nessuno. Certo, voi potrete dire, ma a chi frega dei tuoi articoli? Magari a nessuno, pero’ mi e’ capitato di amici non universitari che hanno voluto leggere miei articoli sull’Islam in Europa o sui fondamentalismi religiosi, perche’ alla fine sono temi correnti.
Quindi, quando ho scoperto delle piattaforme per scaricare libri e articoli accademici, sono stata davvero contenta. Io non ne ho bisogno perche’ queste cose me le finanzia l’universita’, ma penso alla gente che vuole usufruirne e non e’ parte della piccola cricca di accademici, e credo sia giustissimo che lo facciano.
Ovvio, tu mi dirai che non e’ la stessa cosa, perche’ io non ci perdo soldi nell’avere i miei contenuti illegalmente. E parzialmente e’ vero, pero’ indirettamente il piratare libri accademici danneggia le case editrici che poi fanno pubblicare me, e se loro fanno pubblicare meno e’ un problema per me pure (un po’ contorto ma ci siamo capiti, no?).
Detto cio’, io continuo a pensare che la cultura debba essere pubblica e libera. Io sono contenta, se i miei articoli sono la’ fuori gratis per tutti. E’ un discorso complesso, perche’ ovviamente noi non abitiamo in un sistema in cui chi produce cultura (a parte me e la mia cricca) e’ sovvenzionato dallo stato. Pero’, in termini assoluti, mi piacerebbe l’idea in cui non e’ il consumatore che paga cultura ma la cultura che e’ accessibile.
Certo, poi io in Germania ho preso duemila euro di multa per DODICI secondi di film scaricati, quindi piu’ che ovvio che io streaming illegale piuttosto che farlo mi condanno a non guardare piu’ nulla per l’eternita’.
gynepraio
Ottobre 13, 2017 at 1:00 pm
Quella degli articoli accademici è una categoria ancora a parte, sia per il bacino di utenza -ristretto e nobile negli intenti- sia per il fine dell’articolo -educare e non intrattenere-. Io penso all’autore di un romanzo che riceve 1000 euro d’anticipo (queste sono le cifre) e delle percentuali ridicole che non coprono minimamente i costi di stesura di un romanzo: è per questo che gli scrittori professionisti non ci sono più, ed è secondo me anche per questo che ci sono meno romanzi “straordinari” (in Italia, quanto meno).
Alle case editrici fanno comodo gli scrittori non-professionisti, perché hanno un altro lavoro da cui traggono sostentamento e quindi possono dargli anticipi e diritti ridicoli. Se non altro, un ricercatore ha uno stipendio fisso, è un dipendente pubblico -almeno in Italia- e parte del suo lavoro è pubblicare articoli. Che ci arrivi dopo anni di ristrettezze e patimenti, è un’altra storia ma direi che tu la conosci benissimo…
PS Sto ancora sillabando “duemila euro di multa” e niente, balbetto timorosa
!!Stefi
Novembre 18, 2019 at 11:06 pm
Il matrimonio di Tuya mi e’ piaciuto molto (l’ho visto in quinta serata su Rai 3 una vita fa), ma se avessi sentito anche un solo belato di più, avrei ingollato un bicchiere di varechina.
gynepraio
Novembre 20, 2019 at 12:11 pm
Madonna che gatto appeso ai coglioni quel film