
Il mio percorso di orientamento professionale
Questo è un post personale ma anche di servizio: avevo promesso che avrei fatto un recap del percorso di orientamento professionale che ho intrapreso e concluso la scorsa primavera con l’aiuto di una professionista.
Sentivo di essere giunta a un punto della carriera (ehi, paroloni che volano) in cui mi sentivo scontenta nonostante stessi godendo di una situazione apparentemente perfetta: un ruolo interessante, ampia libertà d’azione, opportunità di crescita, business attraente, società in attivo, ottimi colleghi e comodità logistica. Nessuno straordinario obbligato né comportamento inaccettabile, ma un fortissimo impegno intellettuale dovuto al fatto che, semplicemente, c’era tantissimo lavoro da fare, molto variegato da un punto di vista “logico”, con scadenze stringenti e ravvicinate, decine di interlocutori molto diversi, cose da apprendere velocemente e anche autonomamente. Un impegno anche emotivo, perché, pur non essendo capo di nessuno, dal mio agire e dalle mie decisioni dipendeva appunto l’operato di altre persone: questa è una situazione comune nelle start-up e nelle aziende giovani. Pur avendo una struttura molto piatta e agile, i reparti sono iperconnessi e reciprocamente dipendenti, e nessuno può veramente permettersi di fare “solo” la sua parte. Probabilmente un ambiente del genere mi avrebbe stimolata se solo fosse arrivato in una fase diversa della mia vita: ad esempio, quando avevo 25 anni e tantissima voglia di emergere e guadagnare, desiderio di fare trasferte, creare gruppi di lavoro, imparare mille cose nuove e fare la differenza. Quello del timing sbagliato, vedrete, è un concetto che ritornerà spesso nel mio percorso di orientamento.
Ho iniziato a pensare, sempre con cautela e distacco, che oltre alle mie abilità sfruttate in azienda ne possedevo altre, sviluppate o in via di sviluppo, che mi davano maggiore soddisfazione. Però, nonostante io sia piuttosto decisionista su alcuni fronti, su altri sono lenta: il lavoro è uno delle mie aree di perenne indecisione, dove non mi concedo colpi di testa e dove tendo a rischiare poco. Il rischio è un’attitudine ma è anche un comportamento appreso ed io arrivo da una cultura dove non si osa molto. Questo approccio conservatore vale a maggior ragione da quando ho una famiglia e delle responsabilità nei confronti di un bambino piccolo.
Il campanello di allarme che mi ha indotto a correre ai ripari è stata una domanda che mi si presentava con grande frequenza e che mi lasciava sempre disarmata: sarà sempre così? Cioè, la mia vita sarà sempre lavorare un sacco -a volte con buoni risultati, altre volte meno, ma comunque tanto-? Ma soprattutto, dovrò sempre convivere con quella parte di me che desidera essere altrove?
Questo esserci ma non esserci, dal punto di vista cerebrale ed emotivo è molto spossante: non a caso ero sempre stanca e desiderosa di spegnere il cervello alle 9 e mezza. La parte di me che voleva essere altrove non compariva ogni tanto, ma era sempre lì, a martellarmi. Quando questa scissione è diventata insostenibile, ho pensato che mi serviva un aiuto strettamente professionale per fare luce sulla questione.
LA SCELTA DELLA PROFESSIONISTA
Ho chiesto alla mia psicoterapeuta di indicarmi qualche collega, pensando di aver bisogno di uno psicologo del lavoro. Lei mi ha gentilmente segnalato dei nomi, che però non ho contattato perché, istintivamente, non mi sono sentita a mio agio. In un caso si trattava di un uomo, super referenziato e ottimamente recensito, ma come credo di aver già scritto in passato mi sento maggiormente supportata e compresa da specialisti donne (vale anche per i medici, ad esempio). In altri casi si trattava di società di consulenza, anche molto rinomate, ma dove non disponevo di un nome di riferimento.
La professionista cui mi sono rivolta si chiama Cristina Polga, è una consulente dell’orientamento professionale e mi è stata consigliata da Maddalena, una persona di cui mi fido, che aveva a sua volta concluso con soddisfazione e comprovato successo un percorso simile a quello che avrei intrapreso io. Ho quindi telefonato a Cristina che mi ha spiegato com’era strutturato il percorso di orientamento annunciandomi che, a partire da metà febbraio 2019, aveva spazio anche per me.
IL PERCORSO
Consiste in un minimo di 5-6 incontri della durata di 2 ore circa. Nel mio caso avvenivano via Skype, perché Cristina non risiede nella mia città: quindi ci siamo trovate nell’unico momento libero che avevo, cioè il sabato mattina (mentre gli altri membri della famiglia erano in piscina). Ero scettica sul mezzo, poi mi sono ricordata di persone che fanno addirittura psicoterapia via Skype e mi sono imposta di stare serena.
Gli step del percorso di orientamento professionale, per sintetizzare, consistono in:
- il bilancio delle proprie competenze attraverso un’analisi di ciò che si è appreso studiando e soprattutto lavorando, ma anche delle caratteristiche e attitudini personali che consideriamo più utili e tipiche di noi stessi. Questa sintesi delle proprie competenze viene “estratta” mediante questionari e strumenti appositamente sviluppati per favorire la competenza. Questo step è importante non solo per enumerare ciò che sa ma anche ciò che si è.
- le definizione di un obiettivo professionale, che viene, incontro dopo incontro, “cesellato”, definito, contestualizzato. Ma eventualmente, anche ridiscusso. Una persona potrebbe presentarsi affermando di voler cambiare lavoro, salvo rendersi conto che vorrebbe semplicemente rinegoziare delle condizioni, oppure partire convinta di divenire una libera professionista per poi scoprire che il suo bisogno di sicurezza è tale da rendere comunque preferibile un posto da dipendente.
- la scelta e revisione degli strumenti di comunicazione, ad esempio il CV, Linkedin, la lettera di accompagnamento. In particolare per chi deve cercare un lavoro da dipendente, è fondamentale risultare interessanti e attraenti per recruiter e headhunter: penso a chi è fuori dai giochi da molti anni perché ha sempre lavorato nella stessa società e magari ha ancora il curriculum europeo di quando aveva 23 anni.
- La creazione di un piano di lavoro. Può trattarsi ad esempio di fare degli interventi formativi, oppure scegliere di collaborare con alcune associazioni di categoria, fare networking: tutte attività che vanno collocate nel tempo. Nel mio caso, ad esempio, c’era in ballo un progetto imprenditoriale quindi ci siamo concentrate su un piano di fattibilità economica, un budget ma anche una “exit strategy” dalla mia situazione lavorativa attuale. Sulle prime fasi di questo piano, il consulente può anche operare un monitoraggio in incontri da concordare successivamente.
INCONTRI E FREQUENZA
Nel mio caso, ci siamo incontrate una volta ogni 2 settimane. Credo che questa cadenza sia ottimale per portare a termine gli esercizi impartiti o per eseguire/organizzare tutti i task che vengono inseriti in to-do list (ad esempio, trovare una commercialista o richiedere un preventivo a diversi enti formativi sono compiti che non si possono concludere in mezz’ora!). Nel mio caso, lavorando, tutto ciò veniva fatto nelle pause pranzo dei giorni seguenti. Non ho la controprova, ma penso che 2 settimane siano utili per lasciar sedimentare i pensieri e proseguire in quello che è un percorso di analisi, ma anche un processo decisionale.
COSTO
Il percorso di orientamento professionale, nella sua forma “base” da 6 incontri costa intorno tra 700 e 800 euro. Riconosco che non è una cifra irrilevante ma vi ricordo che pagare di tasca propria è uno dei presupposti, forse il più importante, per richiamare l’attenzione verso un determinato tema, per allertarsi, per disporci in maniera seria verso un obiettivo. È il caso della psicoterapia e di alcuni sport, tutti percorsi costosi ma percepiti come fortemente benefici.
L’ORIENTATORE
L’orientatore pratica un ascolto estremamente attivo e il suo obiettivo è rendere migliore la vostra vita, ma non è un terapeuta e non è tenuto agli obblighi dello psicologo: può non essere imparziale ed esprimere opinioni, può esporsi personalmente e raccontare qualcosa di sé. Può anche, con il garbo e l’intelligenza che si spera abbia, spronarvi e farvi piccole pressioni. A me è capitato tutto questo (perché ne avevo bisogno e le circostanze lo chiedevano) e devo dire che, abituata alla distanza e ai toni della psicoterapia classica, è stato una bella iniezione di informalità.
benefici collaterali
Ci tengo a dirlo: non sono stati meno importanti di quelli principali. Nel mio caso, ripercorrere la mia carriera alla ricerca di casi di successo, momenti di gloria, problemi risolti e autopacche sulle spalle è stato davvero benefico per la mia autostima e per riappacificarmi con la me-dipendente scontenta.
C’è sempre stata una frangia di miei supporters, costituita da mamma&papà in prima fila, insieme a una dozzina di insegnanti di medie e liceo, nonché da numerosi colleghi del passato, che era fermamente convinta che, grazie alla mia intelligenza e formazione, avrei fatto una carriera sfolgorante e guadagnato un pacco di soldi. Bene, queste stesse persone, quando a trent’anni non solo non ero diventata un top-manager ma continuavo a guadagnare nella media o poco più, si sono spesso chieste dove, esattamente, si fosse inceppata questa loro previsione così rosea. Non so se queste persone fossero propriamente deluse, ma perplesse, questo sì. In verità ero perplessa anche io: per carità, non sono più gli anni ’80 o ’90, non ci sono più le curve di carriera di una volta, ma anche io dopo quasi 15 anni di lavoro indefessi credevo che avrei combinato qualcosina di meglio.
Un esercizio, importantissimo e fondante del percorso di orientamento professionale, consiste proprio nel descrivere alcuni nodi o scogli lavorativi che siamo riusciti a risolvere o aggirare mettendo in atto un piano interamente frutto del nostro ingegno e abilità. Mentre tiravo fuori il 1° caso, a ruota ho richiamato alla memoria il 2°, poi il 3°, insomma, è finita che ne ho tirati fuori 8 e mi sono fermata solo perché non avrei avuto comunque tempo di discuterne così tanti durante l’incontro successivo. In comune a tutti questi casi, c’era un forte scollamento tra il livello di soddisfazione che ne avevo ricavato io, il beneficio che ne aveva tratto l’azienda e il riconoscimento -anche solo verbale!- del risultato ottenuto dai miei superiori.
Cioè traducendo e semplificando: ho messo l’anima in progetti aziendali -non personali!- che hanno migliorato la vita lavorativa mia e altrui, che hanno marcato una netta differenza tra “come si faceva prima” e “come si fa d’ora in poi”. Ho condiviso con altre persone quello che sapevo fare, senza lesinare sul mio tempo e capacità, mettendo tutti -inclusi fornitori e consulenti- nelle condizioni di fare meglio il proprio lavoro. Sapevo oppure ho imparato in poco tempo quello che i miei manager non avevano mai saputo fare. Eppure questo raramente è stato apprezzato e remunerato. Molto spesso c’è stata indifferenza, distrazione, incuria. In altri casi, forse più numerosi, c’è stato il dolo: la volontà di mettermi un tappo in testa e privarmi di un riconoscimento.
Il percorso di orientamento professionale mi è servito anche a capire che le mie doti non erano un fuoco di paglia: erano loro che non capivano niente, o erano proprio stronzi.
E poi, sì, il lavoro l’ho lasciato e adesso sto lavorando da free lance, ma questo è un’altro post.
NOTA
Il sito personale di Cristina è www.cristinapolga.it. Potete contattarla all’email o numero di telefono che trovate alla pagina “Contatti” oppure visitare il suo profilo Linkedin
Vincenza Longo
Ottobre 14, 2019 at 7:51 am
Grazie, articolo molto interessante.
gynepraio
Novembre 4, 2019 at 1:12 pm
Grazie mille!
Alessandra
Ottobre 25, 2019 at 9:15 am
Trovo sia un servizio molto utile, grazie per aver condiviso la tua esperienza.
Secondo te può essere indicato anche per chi ha fatto diversi lavori, ma non ha ancora idea del settore in cui vorrebbe inserirsi? O per quello è meglio fare prima un po’ di analisi? 😀
gynepraio
Novembre 4, 2019 at 1:11 pm
Io penso che l’analisi valga la pena di farla comunque, e di sottoporre i risultati all’orientatore.
Fausto Fantini (CMF)
Ottobre 29, 2019 at 6:58 pm
Com’è Cristina? “Dai voce al tuo valore”. E’ così semplice… Complimenti, come al solito!
gynepraio
Novembre 4, 2019 at 1:04 pm
Mi unisco ai complimenti a Cristina!
storiedentrostorie
Ottobre 31, 2019 at 12:25 pm
cara Valeria, è una boccata d’ossigeno leggere queste cose. Tutta la prima parte è stata come guardarsi allo specchio… mi sa che presto anche io mi butto su qualcosa del genere, perciò grazie!
gynepraio
Novembre 4, 2019 at 1:03 pm
In bocca al wolf allora!