Organizzazione&lavoro 23
gestire i progettoni col subtasking
Siccome i post utili sono tra quelli più richiesti e apprezzati, ne avevo promesso uno a tema organizzazione per il 2018: il fatto che non sia riuscita a scriverlo in tempo, la dice lunghissima su quanto io sia organizzata ultimamente e quanto sarebbe meglio che andaste a leggere i post delle americane maniache del rigore.
La maggior parte di queste guru vi spiegano come gestire i cosiddetti compiti fastidiosi (pagare bollette in posta, andare in banca a richiedere un nuovo libretto degli assegni, girare tipo trottola impazzita a ritirare tintoria e rifare le suole, pulire le tapparelle). Lungi da me dirvi come si gestiscono i compiti fastidiosi perché ancora non l’ho capito, procrastino che è un piacere, faccio tutto col culo e tendo ad autosabotarmi. Le dee della produttività americane tipo Melissa Cassera dicono che i compiti fastidiosi si gestiscono utilizzando una tecnica definita “batching”: metti insieme i compiti simili tra loro e falli in serie, sfruttando l’economia di scala che si crea quando ormai ti sei impratichito in qualcosa. In altre parole, meglio un enorme boccone amaro che mille bocconcini amari anch’essi.
Io, per appuntarmi questo tipo di incombenze, uso un’agenda. Quest’anno, come l’anno scorso, ho ricevuto in dono una Smemoranda Letteraria 2018. Me ne hanno data una nera, una viola e una verde: ho deciso di tenere per me la verde perché c’è bisogno di speranza, in questo anno che purtroppo sta iniziando sotto una brutta luce, mentre le altre due le ho omaggiate a due persone a me care dove con care intendiamo che mi hanno fatto molti favori e quindi se lo meritano. Io la amo non solo perché mi riporta a quando al ginnasio ci scrivevo sopra “larga la foglia, stretta la via, io ti lascio la firma mia” ma anche perché, non essendo fan di bullet journaling, scrapbooking e altre simili amenità, vorrei uno strumento sobrio che (altro…)
Ridurre il consumo di carne senza fare la svolta veggie
Premetto che non ho voglia di infilarmi in un discorso periglioso ma soltanto di tirare le fila su un argomento di natura etico-salutistica sul quale mi sono interrogata molto negli ultimi anni: quello del vegetarianesimo.
Il mio approccio al mondo dell’alimentazione meat-free è iniziato una decina di anni fa perché ho avuto la fortuna, per oltre 5 anni, di lavorare nel marketing di un’importante azienda italiana del biologico dove ho curato il lancio di moltissimi prodotti destinati a un target di vegetariani e vegani. Non per menarmela, ma io conoscevo bene quel mondo before it was cool. Ho lanciato -a volte con successo- piatti pronti a base di tofu e seitan, pasta proteica, linee di cereali e zuppe, biscotti senza latte né uova. Com’è possibile che in quell’ambiente, sovraesposta a un gran numero di informazioni tecnico-scientifiche e posta nelle condizioni di scegliere il meglio, io non sia diventata vegetariana? Penso che sia sostanzialmente una questione di gusti: a me la carne piace sconsideratamente. Sono cresciuta in Piemonte: qui la carne si mangia preferibilmente cruda. Mi vuoi vedere felice come un maialino nel fango? Semplice, m’inviti a una grigliata e mi fai un tagliata di Fassona. É il mio compleanno e vuoi prendermi un gioiello? Vai sul sicuro con una collana di salsicce di Bra.

Una testimonianza del mio amore
RIDURRE IL CONSUMO DI CARNE: LE MIE RAGIONI
Dal punto di vista etico, la questione che ha maggiore appeal su di me non è (altro…)
Fare la spesa e cucinare col menu settimanale
Io su certe cose sono molto tirchia, lo riconosco. Ad esempio sul cibo: non butto mai via niente. Non faccio scadere nulla, e qualora ciò accada trovo il modo di recuperare il recuperabile. Tolgo l’ammaccatura alle pere e mangio il resto, gratto via la muffa al parmigiano. Se mi sembra che un cibo sia ancora commestibile, lo mangio oppure lo infilo a tradimento in qualche ricetta (tipo, il fondo di pesto vecchiotto va tipicamente a morire nel minestrone). Prendo molto alla lettera la dicitura “preferibilmente entro”: altrimenti avrebbero scritto “tassativamente entro e non oltre”, no? Per dire, uno yogurt scaduto da 3 giorni non ha nulla di male e non fa nessun danno, se non che i fermenti lattici non sono più vivi.
Ho ormai da tempo consolidato una routine per cui faccio la spesa una sola volta alla settimana, procurando ingredienti per fare 10-12 pasti settimanali, tutti piuttosto sani, cucinando relativamente poco e non gettando mai via niente. Mi ero offerta tempo fa di condividere il metodo innovativissimo con cui sono arrivata a questo straordinario risultato, e insomma, quel momento è arrivato. Ve lo descriverò immaginando la dieta di un single, ma funziona benissimo anche per le coppie disposte a mangiare la stessa cosa. Se avete un partner che vuole mangiare cibo speciale, potete invitarlo amabilmente di arrangiarsi (questo ve lo suggerisce mia madre, forte dei suoi oltre 40 anni di matrimonio e sopportazione). Il metodo per fare la spesa e cucinare col menu settimanale che vi suggerisco non premia certo i golosi e gli appassionati di cucina: ma presumo che se siete grandi chef sappiate muovervi sia al supermercato che in cucina, che facciate piccole spese giornaliere, che decidiate cosa mangiare in base all’umore, che abbiate in dispensa bottarga, pepe rosa in grani, farina Senatore Cappelli, agar-agar in polvere e amenità di questo tipo. Andate pure a lardellare il vostro arrosto, qui c’è gente che vorrebbe mangiare decentemente e togliersi il problema in 15 minuti, grazie. (altro…)
Organizzazione 2017: come intendo non perdermi i pezzi
Se voi mi aveste conosciuta da studente, avreste pensato che mi avessero educata in una cellula distaccata della gioventù nazista, oppure nell’esercito israeliano, per poi trasferirmi in un piccolo comune della provincia di Torino con l’obiettivo di scatenare la terza guerra mondiale. Perché dal punto di vista organizzativo, amici, ero un soldatino. Tutto calcolato ed eseguito nei tempi, non mi dimenticavo mai scadenze e incombenze (incluse quelle che mi facevano cagare, mentre ora son tutta una dimenticanza freudiana), mai un ritardo, mai perso un treno, mai lasciato sull’autobus il dizionario la mattina della versione.
Quando sono diventata lavoratrice, ho iniziato a scordarmi le cose, a perderle, a non sentire la sveglia. Andando a vivere da sola, ho dovuto adottare stupidi espedienti: ad esempio, domiciliare le utenze per essere certa di pagarle, radunare le incombenze periodiche nello stesso giorno per trasformarle in un automatismo (es. il 1 del mese cambio la cartuccia alla caraffa filtrante e faccio benzina, il 28 faccio la ceretta e controllo lo stipendio sul conto corrente). Ciononostante, mi dimentico tantissime cose: comprensibilmente, mi rifiuto di fare le telefonate di natura burocratica, ma mi passano di mente anche cose tutto sommato piacevoli come ritirare i vestiti dalla sarta. Questo rincoglionimento precoce si accompagna alla mia proverbiale Fear of Missing Out, quindi mi ostino a voler fare cose e vedere gente senza essere minimamente capace di tenere le fila della mia vita.
Alle incombenze personali, si sommano quelle professionali. Per sua natura, il mio lavoro è soggetto a (altro…)
Livin’ my life senza zucchero
Se siete solite leggere tutti gli articoli che parlano di peso ideale, sicuramente conoscete questo consiglio: prima di iniziare il regime, tieni un diario alimentare dettagliato dei tuoi pasti. Rileggendolo, scoprirai i tuoi errori alimentari ricorrenti e potrai iniziare a eliminare quelli.*
Ora, io compilo il gratitudine journal, gestisco un blog e svariati account social, tengo famiglia e non dormo da 4 mesi quindi capirete che non ho proprio una voglia matta di sobbarcarmi anche il diario alimentare. Ma siccome non desidero che si dica in giro che non sono una ragazza temeraria o che non mi metto in discussione, ho fatto un tentativo segnando sull’agenda i piatti che ho mangiato per tutta la scorsa settimana. Ma dopo 5 giorni, indovinate cos’ho fatto? Ho desistito.

Con tutta quell’avena dovrei già essermi trasformata in una modella svedese
Insomma, a leggere il menù sembrerei la figlia segreta di Rosanna Lambertucci, mentre in realtà sono la sorella bionda di Nadia Rinaldi. (altro…)
ritorno al lavoro, ovvero che ne sarà di me?
Sono a casa dal 1 marzo 2016, il che fa quasi 7 mesi. La settimana scorsa ho inoltrato all’INPS la pratica per la maternità facoltativa che si concluderà lunedì 9 gennaio, data in cui -confidando in un agevole inserimento di Elia al nido- ci sarà il mio trionfale ritorno al lavoro. Non mi aspetto di trovare la situazione uguale a come l’ho lasciata, non solo perché saranno passati 10 mesi da allora ma anche perché il mio ufficio ha subito una riorganizzazione gerarchica nonché un vero e proprio trasloco. La mia scrivania guarderà in un’altra direzione, dovrò interagire con un nuovo capo e le mie mansioni saranno rimesse in discussione.
E anche se in linea di massima non temo i cambiamenti (e non vedo motivo di farlo se non ci sono evidenze del fatto che si tratti di un peggioramento), dinanzi a una situazione nuova di solito mi sale una sorta di ansietta premonitrice. Non è sempre un male, perché per quelle come me l’ansia è il motore che genera idee brillanti, che sprona all’autodisciplina, che trasforma i pensieri in progetti. C’è chi agisce sull’onda della rabbia, o del sogno. Io, invece, funziono ad ansia.
Che però, in questo caso, manca del tutto. Voi direte, ci credo -scema che non sei altro- il tuo ritorno al lavoro avverrà fra 3 mesi. Vi risponderò che per quelle come me l’ansia arriva con grande preavviso e che a quest’ora si sarebbe ampiamente manifestata. (altro…)
Pinterest per studenti, guida breve
Questo post-guida pomposamente intitolato Pinterest per Studenti nasce da una riflessione sugli strumenti che questi ultimi hanno a loro disposizione per elaborare dei progetti e dei lavori di gruppo interessanti, specialmente se si dedicano a business, architettura e design. In un certo senso li invidio: ricordo di aver presentato alcuni progetti su layout powerpoint graziosi quanto il Grande Raccordo Anulare corredati da immagini sgranate che parlavano di Russia Sovietista. Non escludo di aver usato il Comic Sans, una volta o due. Credo quindi che la qualità dei miei progetti sarebbe stata esteticamente migliore se nel 2004 ci fosse stato Pinterest. Vi comunico però che la piaga della bruttezza non si è ancora estinta, né tra gli studenti né tra i professionisti: ancora mi capitano tra le mani delle presentazioni di potenziali fornitori o agenzie di servizi che fanno accapponare la pelle. Quindi, finché siete in tempo, asservite questo strumento ai vostri scopi, a maggior ragione visto che è gratuito.
PINTEREST PER STUDENTI: COS’É
É un social network i cui utenti possono creare, conservare e organizzare in bacheche dei contenuti di natura visual. Proprio perché l’utilità e la bellezza insita nello strumento deriva dall’atto di “vedere”, io ho installato l’app di Pinterest ma continuo a preferirne l’uso da desktop. Non sono una heavy user di Pinterest ma quando lo uso ci voglio vedere bene. A ogni immagine sono associati: (altro…)
caro ragazzo che ti domandi se lavorare gratis
Ho seguito la polemica innescata da una frase di Jovanotti, pronunciata davanti ad pubblico di studenti universitari fiorentini, nella quale alcuni hanno letto una giustificazione del lavoro non retribuito. Io ho riascoltato ll suo intervento e non vi ho colto questo significato: il povero Lorenzo non è una cima di ironia e articolazione mentale, quindi direi che l’ascia di guerra poteva essere seppellita ancor prima di essere estratta. Purtuttavia, ho riflettuto e ho concluso che…
Ma sei scema? Sei almeno 30 giorni in ritardo rispetto a quando è scoppiata la polemica! Ma non lo sai che il ferro si batte finchè è caldo?
Lo so, ma il motivo per cui non ho potuto esprimermi con un minimo di tempismo è che sto lavorando tantissimo -fortunatamente non gratis-, sono stanca morta e radunare le idee mi costa grande fatica. Nelle ultme sere sono riuscita a scrivere intimamente solo un post dal titolo: I motivi per cui è eticamente giusto che stasera sia Michele a caricare la lavastoviglie e non Valeria.
Dicevo. Io penso si possa lavorare gratis se l’organizzazione cui si presta opera non ha fini di lucro. Ad esempio, chi milita nelle sezioni giovanili di un partito, negli scout o altre associazioni religiose, è motivato dal desiderio di fare parte di una collettività orientata a un risultato. Esistono poi altri fini, solo apparentemente secondari. Non è raro che i giovani politicanti più assidui diventino consiglieri comunali o siedano nel CDA di qualche municipalizzata. Per non parlare delle giovani scout, che spesso ai campi estivi trovano marito (fateci caso, i capi scout si sposano sempre tra di loro).
Se invece si lavora in una organizzazione nata con l’obiettivo di produrre della ricchezza, cioè un’azienda, è giusto che (altro…)
Il volemosebene in versione corporate
Giorni fa lessi questo post, con il quale sono in gran parte d’accordo. Sono felice di aver avuto una adolescenza Internet free: la prima connessione in casa mia arrivò nel 1999 ed io usavo soprattutto l’email, visto che all’epoca avevo una sorta di storia a distanza con un ragazzo che stava trascorrendo un anno di liceo negli USA. Del resto non erano ancora arrivati i servizi salvadenaro (e-commerce, e-booking), né quelli ludico-intrattenitivi (downloading, blog e social network). Con l’email potevo essere grafomane, e scrivere cose old-fashioned come le lettere: del resto, ero una studentessa secchiona di Liceo Classico. Ancora mi mangio le mani e maledìco il mio snobismo, se penso a che presentazione memorabile avrei messo insieme durante l’orale di maturità, se avessi saputo usare Powerpoint o Keynote e fossi stata meno retrò. Insomma, il web per me è arrivato proprio nel momento giusto: sono anche riuscita per un paio d’anni a fare gli squilli e mandare sms con le k al posto delle ch. Non mi sono persa niente, insomma.
Penso però che se fossi nata 10 anni prima alcune cose sarebbero andate meglio: il mio conto corrente, ad esempio. Parlo da privilegiata, che non è stata disoccupata un solo giorno, mai stata vittima degli stage non pagati, dei contratti a progetto, dei finti rinnovi e di tutti quegli abusi con cui altri miei coetanei hanno fatto già i conti. Premetto che non voglio lamentarmi della gamba sana, ma semplicemente riferire quanto ho osservato in 10 (Cristo, dieci, veramente?) anni di lavoro dipendente.
Non è raro che alcune persone, certamente animate da sincero altruismo, mi chiedano com’è possibile che io (con le mie doti! Con il mio percorso formativo! Con la mia esperienza pregressa!) non sia diventata una top manager, e continui ad avere un ruolo e una retribuzione modesti (NDR con modesti intendiamo sufficienti a vivere dignitosamente ed entro la soglia della povertà, ma non a elaborare piani di lungo periodo o fare fronte a gravi imprevisti). Che domanda candidamente fuori luogo, no? E’ come andare da una che corre 10 km al giorno, si nutre di insalata scondita e chiederle come mai resta grassa come un ippopotamo. (altro…)
Io non sono una minimalista
Dopo l’exploit relativo alla pulizia del mio armadio, la mia fame di sapere non si è affatto placata: la questione del minimalismo continua ad affascinarmi moltissimo. Laddove affascinare, nel Gynepraio, significa “suscitare un torbido incanto, tipico delle cose che sono solo apparentemente alla tua portata”. Ad esempio mi affascinano i trekking in Nepal, le mezze maratone, Infinite Jest di Foster Wallace, le conserve homemade, i tutorial di qualsiasi genere. Non c’è nessun motivoper cui io non possa camminare sull’Himalaya, finire un capolavoro di 1300 pagine o farmi gli smokey eyes, però poi alla fine, anche agevolmente posta nelle condizioni di scegliere, faccio altro. Ci siamo capiti, direi.
Ad allontanare da me il concetto di minimalismo, c’era un tunnel cognitivo nel quale credo siano cadute anche altre femmine bellissime e boccalone come la sottoscritta. Un stile di vita minimalista non ha niente a che vedere con lo stile minimalista, che identifica una corrente estetico-architettonica degli anni ’60 che oggi viene impropriamente riciclata citata ad ogni più sospinto. Basta insomma che ci siano righe bianche e nere, stoviglie candide, mensole con 3 libri e una candela, cabine armadio semivuote —-> there we have minimalismo.

Niente comodino per appoggiarci un libro, in compenso uno specchio per contemplarsi appena svegli. Tutto torna
Un’ambiente minimalista stimola il riposo, la riflessione, la pulizia mentale, il riconoscimento delle priorità. A giudicare dall’inglese meravigliosamente no-frills di Anuschka di Into-Mind, aiuta anche la chiarezza espositiva e linguistica.
Il fatto che (altro…)