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By gynepraio31 Maggio 2018In BabyPersonale

La piaga del senso di colpa materno

Il senso di colpa è stato una costante di buona parte della mia vita, e considero una delle mie più grandi conquiste l’essermene liberata. Mi è costato soldi e tempo, ma le svolte sono state ben due:

  • Ho smesso di usarlo per impormi o ottenere ciò che desideravo. Mi vergogno di dire che in numerose occasioni ho utilizzato l’arma del senso di colpa, del pianto, della recriminazione passivo-aggressiva per denunciare il fatto che non stavo ricevendo sufficiente attenzione e fare presente ai miei fidanzati che mi stavano provocando atroci dolori. Ripensandoci, sarebbe stato molto più fruttuoso essere assertiva e dire ciò che desideravo, o più propositiva e creare occasioni di condivisione (oppure ancora, chiedermi perché questa persona non mi dava abbastanza attenzione). Tra l’altro questo mio comportamento trovava un terreno molto infertile, non soltanto perché odioso e fuori luogo, ma anche perché i miei interlocutori erano incapaci di sentirsi in colpa: ipotizzo, senza chiamare in causa chissà quali luminari di psicologia dello sviluppo e di critica femminista contemporanea, che essendo maschi fossero meno avvezzi a sentirsi manchevoli e rimettere continuamente in discussione le proprie scelte? Chiedo, eh.
  • Ho iniziato a domandarmi, ogni volta che lo sentivo, da dove proveniva il mio senso di colpa: ero io a sentirmi manchevole rispetto a uno standard che mi ero data, oppure stavo male perché qualcun altro mi imponeva un metro di giudizio che non era il mio? Ci sono alcuni casi in cui il senso di colpa funziona come campanello di allarme e serve a ristabilire le priorità: ma per quanto mi riguarda deve sempre partire da un moto spontaneo personale e da una puntualizzazione altrui. In altre parole, mi devo sentire una merda io e non voglio che qualcun altro mi induca forzosamente questa presa di coscienza.

 

senso di colpa materno

IL SENSO DI COLPA MATERNO: MIO FIGLIO È FELICE?

Il senso di colpa materno è ancora più complesso rispetto al senso di colpa comune, perché ha a che vedere con l’istinto, con gli stereotipi e con una istituzione, la famiglia, a proposito della quale tutti sembrano avere qualcosa da dire. Con l’arrivo di Elia abbiamo scelto una ménage domestico schematico ipersemplificato: nido privato full time 9-18, logistica in uscita ed entrata a mio carico all’80%, weekend casa&famiglia con due finestre a testa (2 per me, 2 per il papà) per respirare, scrivere, guardare il campionato. Niente fughe d’amore, poche cene fuori, pochissimo parrucchiere.

In tutto questo, il lavoro: io sto in ufficio 40 ore settimanali. Ovviamente mi piacerebbe lavorarne solo 20 per gestire le minuzie in settimana e non avere i weekend infarciti di orride commissioni, andare a comprare lo shampoo al supermercato invece di ordinarlo su Amazon, preparare deliziose cenette a base di pomodorini confit infornati 2 ore, portare il mio bambino al parco a sfogliare margherite e nutrire scoiattoli anziché recuperarlo col favore delle tenebre relegando le nostre interazioni alla fascia oraria 19-21, recuperare il mio fidanzato al lavoro e concederci uno spritz mentre mia mamma o mia suocera -che nei miei sogni sono giovani, fisicamente prestanti ed entrambe residenti a 100 metri da casa mia- si prendono cura del piccolo. In conclusione: mi piacerebbe lavorare di meno non soltanto per assistere direttamente al miracolo della crescita di mio figlio ma anche per dedicare al lavoro (cioè al maledetto capitale) meno ore della mia preziosa giornata e meno giorni della mia preziosa vita.

Non sono mancate le persone che mi hanno apertamente criticato perché ho smesso di allattare/ho ricominciato a lavorare/ho iscritto Elia al nido/l’ho abituato a dormire da solo troppo presto. Quando mi chiedono a che ora esce Elia dal nido, io rispondo “Alle 6, appena finisco in ufficio” e vedo che in molti alzano le sopracciglia o dicono “così tante ore da solo, poverino?”: chissà cosa commenterebbero se sapessero che certe sere, quando il ponte di Corso Regina Margherita è intasato, arrivo al nido che manca un quarto alle 7.

Avrei potuto argomentare con una lunga serie di ragionamenti sensati. Ad esempio, che un nido risulta per un bambino un luogo più divertente rispetto una casa perché attrezzato per scorrazzare senza rischio e senza che un genitore cagacazzo ti dica di non rompere questo e non toccare quell’altro. Oppure che il nido è un’ottima alternativa alla TV, dinanzi alla quale molti bambini vengono parcheggiati anche 2 ore al giorno. Avrei anche potuto citare gli articoli di pedagogia sull’importanza della socializzazione precoce, sul lavoro insostituibile svolto dagli educatori professionisti, su quanto sia preziosa la collaborazione che si può sviluppare tra istituzioni e famiglie. Avrei anche potuto vendicarmi -vi ricordo che sono stata cintura nera di senso di colpa- e farli vergognare della loro indiscrezione: spiegando che la mia situazione finanziaria non è tale da poter rinunciare a un secondo stipendio, o che la mia composizione familiare al momento non comprendeva nonni sani e ipercollaborativi, e che quindi non avevo sostanzialmente scelta.

Però sono stata zitta, perché il mio obiettivo non è difendermi, sostenere la mia posizione né convincere nessuno. Il mio obiettivo è accertarmi, giorno dopo giorno, che i componenti della mia famiglia siano ragionevolmente felici. Felici alla maniera occidentale che tutti conosciamo, cioè piuttosto felici: sani, sazi, sereni, dormienti, sicuri, protetti, contenti di essere dove siamo. Con questa logica ho compiuto la maggior parte delle scelte che ci riguardavano: dove partorire Elia, come intrattenerlo, nutrirlo, vestirlo, addormentarlo, il modo in cui sono stati allestiti gli spazi domestici, il tipo di asilo nido cui l’abbiamo iscritto, quanta privacy garantirgli. Sempre in questa logica cerco di ridere e farlo ridere il più possibile, proteggendo il nostro microcosmo domestico dall’insoddisfazione, dalla freddezza, dai silenzi, dal malumore.

senso di colpa materno

IL SENSO DI COLPA MATERNO: MIO FIGLIO PUÒ ESSERE ANCORA PIÙ FELICE?

Posto che siamo, a occhio e croce, abbastanza felici, mi chiedo: se lavorassi meno, Elia sarebbe più felice? Che so, tipo, scoppierebbe di felicità? Onestamente, non lo so. Quello che so è che il mio bambino è un tipo allegro, abbastanza ragionevole e sereno, molto affettuoso. Sicuramente come genitore ho margini di miglioramento sul fronte creativo: quando vedo su Instagram le mamme Manidoro che cucinano i biscotti a forma di minipony, scolpiscono sculture di creta e crescono fragole selvatiche sul balcone, mi sento un’incapace. Per contro mi chiedo: se stessi a casa tutti i pomeriggi, mi metterei a intagliare per lui strumenti musicali in legno? Mi iscriverei a un corso mamma-figlio di ponte tibetano? Diventerei campionessa olimpica in pic-nic al parco? Credo di no, ecco. Anche con 3 ore in più al giorno, probabilmente resterei sempre la solita mamma, e i miei assi nella manica sarebbero più o meno gli stessi: storie e canzoni da me inventate, versi degli animali, salami e polpette di pongo, solletico. Elia sarebbe più felice se costruissi per lui una macchinina in FIMO? Non lo so, non ne sono sicura. Quello di cui sono sicura, però, è che io al momento non mi sento in colpa.

senso di colpa materno

IL SENSO DI COLPA MATERNO: io posso essere ANCORA PIÙ FELICE?

Se io avvertissi che mio figlio ha bisogno di stare con me e mi sentissi incapace di soddisfare il suo bisogno -cioè se mi sentissi manchevole- oppure se desiderassi trascorrere più tempo con lui, io correrei ai ripari. Non voglio che mio figlio respiri il mio senso di colpa, che è un’emozione troppo grande, troppo adulta e troppo triste: non voglio metterlo precocemente a contatto con un sentimento così difficile da maneggiare e gestire. Perché lo percepirebbe e dovrebbe decidere cosa farne, del mio senso di colpa materno, e tendenzialmente non ne farebbe un buon uso. Il punto, però, è che non mi sentirei solo in colpa: io mi sentirei infelice, il che è ben peggio.

Correre ai ripari significherebbe cercare un altro lavoro, o un’altra organizzazione del lavoro attuale. Io so che ottenere una riduzione di orario è difficile: il part-time in italia è un problema connaturato alla struttura del nostro tessuto imprenditoriale. Prevalgono le piccole e medie imprese in cui la defezione di un dipendente (durante la gravidanza, la maternità, ma anche per via di una riduzione di orario) ha un reale impatto sulla produttività. In più, anziché un agevolatore di benessere viene considerato un privilegio che può addirittura creare delle differenze e dei precedenti all’interno dell’organizzazione. Viene quindi centellinato, concesso come dono divino, e fatto pesare come una pietra al collo. Si leggono pochissime offerte di lavoro con orario part-time, e spesso non sono interessanti, o sono palesemente delle bufale.

L’ideale è davvero reinventarsi una carriera e cambiare ruolo: ci sono sicuramente alcune professionalità che si prestano più di altre a trasformarsi, a fluire agevolmente dallo status di dipendente a quello di free lance. Ci sono anche persone con una buona attitudine al rischio e famiglie con maggiore capacità di sopperire a una riduzione di introiti. Io conosco due madri che hanno compiuto questa scelta -volontariamente, con attenta ponderazione- e so per certo che non se ne sono pentite, proprio perché erano entrambe animate dall’obiettivo di essere più felici, e non meno colpevoli. Cioè l’unico motivo per cui valga veramente la pena rimettere in discussione le proprie scelte.

 

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35 Comments

  • Sara

    Maggio 31, 2018 at 9:21 am

    Valeria, grazie. Spesso quando si parla della maternità e del difficile equilibrio casa/lavoro o famiglia/realizzazione personale lo si fa da posizioni ideologiche che pongono obiettivi irrealistici, creano ancor più senso di colpa e dividono le donne. Tu sai parlare di questi temi con buonsenso senza essere banale, e non è poco. Per il momento, grazie. Tornerò a rileggere il post con un po’ più di calma.

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  • Cristina

    Maggio 31, 2018 at 10:12 am

    Ciao Valeria. Sulla base di questi ragionamenti sono rientrata dalla seconda maternità con un part time (fortunatamente lavoro in una multinazionale abbastanza evoluta da questo punto di vista). L’idea di rientrare tardi e dovermi dividere tra due bambini desiderosi delle mie attenzioni mi toglieva il fiato e, come dici tu, sono corsa ai ripari. Mi sento meglio come mamma semplicemente perchè non corro sempre come una pazza (o almeno non troppo) e non mi porto dietro un senso di colpa mentre sono al lavoro. E grazie a questa scelta mi ritaglio anche più spazi per me e le mie passioni, con il solo scopo di sentirmi più felice e insegnare ai miei figli che conto anche come persona al di là del ruolo di madre. Ma è un continuo riesame e suppongo che non finirà mai

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    • gynepraio

      Giugno 1, 2018 at 9:51 am

      Sei stata sincera: non è scontato che il tempo recuperato dal lavoro serva necessariamente a prendersi cura dei figli. È semplicemente tempo sottratto al lavoro e impiegato più proficuamente, ad esempio a respirare e recuperare energie. Brava.

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  • Giulia

    Maggio 31, 2018 at 1:51 pm

    Grazie Valeria . Post che arriva in un momento per me importante. Ho trovato finalmente il lavoro che mi interessa , che mi garantisce basi solide e stipendio adeguato . Non è vicino casa e mi costringerà ad un ora di viaggio (per due volte al giorno ) dovrei tornare per le 18. Mio figlio ha 8 mesi , in cui sono stata a casa prendendomi una pausa dalla libera professione che svolgo da due anni e mezzo (sono medico prima ero dipendente a tempo determinato in una clinica privata ). Ho scoperto negli anni che la vita da libero professionista non fa per me . Io ho bisogno delle sicurezze del dipendente . Mi sono goduta mio figlio 8 mesi è una parte di me si sente moltissimo in colpa , ma so che è la scelta giusta , per noi come famiglia , per me come persona . Ho bisogno di tornare a lavorare e non essere solo mamma. So che sarò più stanca di prima, che lavorare 6 ore al giorno mi basterebbe . Spero che mio figlio non sia meno felice per questo .

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    • gynepraio

      Giugno 1, 2018 at 9:54 am

      Non lo sarà, se tu non sarai infelice e non ti sentirai colpevole. Quello che senti adesso non è senso di colpa: è ansia da abbandono, è paura del distacco, e sarebbe insensato non provarla. Dopo un po’ passerà, vedrai.

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  • Antonia

    Maggio 31, 2018 at 4:30 pm

    Ricordati non si tratta mai di quantità ma di qualita! Il fatto stesso che tu ti ponga dei dubbi depone a tuo favore nel senso che sono certa che ti ingegnerai ad utilizzare il tuo tempo con Elia nel modo più sereno possibile. Basterà! Ci sono madri che stanno 24 ore con i figli ma a causa di comportamenti sbagliati creano loro un sacco di problemi. Vai avanti così. Elia è felice e tu sei una buona mamma.

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    • gynepraio

      Giugno 1, 2018 at 9:55 am

      Spero tu abbia ragione sulla questione qualità-quantità, perché in molti mi hanno contraddetto quando ho fatto la stessa affermazione e spero davvero che il tempo mi dia ragione (avere ragione = una delle sensazioni più belle al mondo)

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  • Marta

    Maggio 31, 2018 at 5:02 pm

    Che bello questo post, mi hai rincuorata tanto. Io ambisco ad un part-time perchè oltre a stare col mio bimbo con meno stanchezza addosso, vorrei fare anche qualcosa per me, ma come dici tu in Italia è pressochè impossibile. Inoltre il mio capo si maledice per aver assunto una donna in età fertile…
    Ciao, un bacione!

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    • gynepraio

      Giugno 1, 2018 at 9:57 am

      Io credo che molto stia anche a noi, nel guadagnare potere contrattuale (che già abbiamo, solo che non ce ne rendiamo conto!) e studiare soluzioni ad personam insieme al management aziendale. Provaci, con i mezzi a tua disposizione, ma provaci.

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  • Roberta

    Maggio 31, 2018 at 8:22 pm

    Anche io lavoro 40 ore e tra gli spostamenti e pause vari sto fuori dalle 8 alle 18,30.
    Ho iscritto mio figlio all’asilo a 10 mesi, ma cazzo, è sempre malato!
    Praticamente passa molto tempo con la nonna e io mi sento in colpa verso di lui perché lo lascio, e incazzata col mondo perché sembra ai ammali solo mio figlio…

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    • gynepraio

      Giugno 1, 2018 at 9:59 am

      Ahahahaha ma no, quei piccoli untori sono sempre mocciosi e semi febbricitanti, cosa dici? Pensa che io non posso nemmeno contare sui nonni quindi sto sempre ad accendere ceri affinché non si ammali, e se si ammala facciamo certe acrobazie che non ti racconto, con la signora delle pulizie che si trasforma magicamente in tata, io che sto a casa e mentre lo accudisco lavoro, insomma, storie inenarrabili.

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  • Daphne

    Maggio 31, 2018 at 9:41 pm

    Cara Valeria,
    Mi chiamo Daphne. Il tuo è il primo blog che seguo non essendo io una gran frequentatrice di social ecc.. però mi piace quello che scrivi e quindi eccomi. Ho un bimbo un pelo più piccolo del tuo, Diego, che ha 18 mesi. Sono una cosiddetta expat, vivo a Basilea dove faccio la ricercatrice. Qui la maternità è breve: con il piccolo Diego di 4 mesi sono rientrata al lavoro (ovviamente al 100%) e lui è andato al nido. Mi è dispiaciuto lasciarlo così piccolo e non è stato facile, ma non mi sono sentita in colpa. Ho la tendenza all’ipercontrollo e ad agittarmi, per cui un po’ di distacco ha in realtà fatto bene a tutti, o almeno a me.. a essere onesti mi ha fatto un gran bene non pensare tutto il giorno a cacca latte e affini. Diventare mamma per me non è stata una cosa banale, anzi la definirei complessa.. a volte si devono tenere a bada fantasmi e paure enormi! Per cui io mi dico, abbasso i sensi di colpa! Siamo quello che siamo e lo facciamo al meglio delle nostre possibilità e con le risorse che si hanno in quel momento! Anch’io non faró mai sculture di legno con Diego, ma disegnamo in strada coi gessetti colorati finita la giornata di lavoro/ asilo, e va bene cosi.. spero! 😉
    Daphne

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    • gynepraio

      Giugno 1, 2018 at 10:03 am

      Io sono contenta di questa testimonianza: in un Paese straniero, con un livello di vita e un reddito pro capite migliore del nostro, la maternità e breve, le agevolazioni di orario sono in linea o minori rispetto a quelle italiane, è considerato “normale” un rientro precoce al lavoro. Insomma, si può vivere bene ugualmente e non sentirsi in colpa, anche in condizioni ancora più rigide.

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      • Valentina

        Giugno 2, 2018 at 1:15 pm

        Io vivo a Zurigo, e sono rientrata quando lui aveva 5 mesi ahime con sensi di colpa. La Svizzera sotto questo punto di vista è ancora indietro. Dipende anche dall’azienda in sè, quanto tempo ti concede per tornare (la chiamano aspettativa non pagata) e se quando torni puoi fare un part-time (molto spesso verticale di 2-3-4 giornj). Ci è voluto del tempo e ci siamo organizzati, sia io che mio marito cerchiamo di fare orari fissi e non troppe ore in piu se non necessarie. Come dici tu, ogni famiglia si organizza, e poi passano e devoni passare i sensi di colpa. non solo, anche io mi domando: ma sarei brava a farlo giocare sempre come fanno al nido? Non mi sento molto quel tipo di mamma. Ho anche capito una cosa: molto spesso è meglio avere una mamma soddisfatta che vedi un po meno, invece di una meno soddisfatta ma che è casa con te; credo che questo si rifletta molto sui bambini. A me basta fare un lavoro che mi piaccia: sono le ore che dedico a me, in questo modo quando sono a casa per quelle ore serali con lui, sono davvero con lui.

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        • gynepraio

          Giugno 4, 2018 at 10:12 pm

          La vedo come te. Ogni tanto mi scappa uno sbadiglio o uno sbuffo quando sono con Elia da molte ore, tipo la domenica pomeriggio, e mi chiedo cosa farei se dovessi stare 10 ore al giorno con lui? Impazzire, punto.

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          • Rosy

            Maggio 31, 2020 at 3:38 pm

            Se posso permettermi…
            Leggo articoli e commenti e non riesco a trovarmi in accordo con voi. Sono una che di sensi di colpa ne ha tanti, e sono capitata qui perché cercavo qualche bella frase da giocarmi sullo stato di WhatsApp, per far capire alla mia manipolatrice che ha smesso di giocare con i miei sentimenti. Tra l’altro sono ben consapevole del fatto che tanto chi deve capire spesso non capisce. Quindi giusto come modo di esprimermi nella speranza che… (giacché il dialogo diretto educato ed esplicito non ha funzionato).
            Detto ciò, sono una mamma costantemente presa dal fatto che non gioca abbastanza con i figli, nonostante abbia rinunciato spesso a qualcosa che volevo fare pur di stare con loro. Ecco, in questo sono d’accordo con voi. Rinunciare alla propria felicità significa quasi sistematicamente non poterne offrire troppa agli altri. Tuttavia mi domando se i vostri dubbi non siano illegittimi… nel senso: nessuna mamma sana di mente gioca dieci ore al giorno con i propri figli piccoli, medi o grandi che siano. Eppure personalmente ritengo che la semplice presenza della mamma in casa per diverse ore al giorno sia per i bambini una grossa risorsa nel bagaglio della sicurezza personale nel corso della crescita. Mi domando, in questo senso, se la contentezza di essere libere dai sensi di colpa non sia almeno in parte incoscienza di essere libere da un ruolo decisamente difficile, che però toccherebbe proprio a noi e non alle educatrici del nido, almeno non per dieci ore al giorno. Perdonatemi, non voglio trasformarmi in carnefice e giocare con i vostri sentimenti… ma soltanto farvi notare qualcosa su cui forse vale la pena di riflettere. So bene, dico sul serio, che tante e tante di noi non hanno scelta, ma in altri casi il lavoro mi sembra tanto una ottima scusa per sfuggire a una cosa tanto grande e difficile quanto meravigliosa che è essere madre. Vale lo stesso per i padri, e qui aprirei una parentesi molto più lunga, ma mi astengo tanto quelli non capiscono mai, punto e basta. Eccezioni fatte, chiaro, per quei 3 uomini sulla faccia della terra che con i sensi di colpa hanno fatto un lavoro esattamente opposto al vostro 😀
            Un saluto.
            P.S. se trovo un modo soddisfacente di liberarmi dei sensi di colpa e un equilibrio para-perfetto tra gioie e soddisfazioni personali e l’essere una brava madre vi faccio sapere.

          • gynepraio

            Giugno 10, 2020 at 5:24 pm

            Ciao Rosy, questo articolo è stato scritto ormai anni fa e da allora io ho lasciato un lavoro da dipendente per diventare freelance e lavorare da casa. Non l’ho fatto solo per stare più tempo con mio figlio e in generale dedicare più tempo alla famiglia, anzi, in tutta sincerità l’ho fatto perché volevo lavorare su altri fronti, con altri metodi e, possibilmente, anche meno ore: quello di avere più tempo per mio figlio è stato un bellissimo beneficio collaterale che ho considerato nella lista dei pro. Di nuovo, aver agito per egoismo ha comunque generato delle conseguenze positive su tutto il mio entourage famigliare (anche per il padre di mio figlio, che mi trova spero meno stanca, snervata e capace di fare fronte meglio a emergenze o necessità famigliari). Quindi continuo a insistere sul fatto che un egoismo ragionato e onesto, diciamo “cosciente e coscienzioso” è quasi sempre la chiave per prendere le decisioni o rischi migliori (in questo caso il rischio che mi sono presa è quello di diventare free lance e rinunciare alla stabilità economica, non solo mia ma di tutta la famiglia)
            I mesi di lockdown mi hanno portato a pensarla, in parte, come te: il fatto che noi genitori fossimo a casa e, semplicemente, stessimo “a contatto fisico” con nostro figlio ha avuto per lui un valore positivo anche se ovviamente abbiamo lavorato e non siamo stati concentrati sul piccolo al 100%. Tuttavia, evidenzio che me la sono passata relativamente bene perché a) non ho un ruolo aziendale tradizionale b) ho lavorato molto di notte e c) mio figlio ha 4 anni quindi un’età in cui avverte e apprezza la presenza dei genitori, ma non ne ha propriamente un bisogno fisico. Al contrario, se avesse avuto 1 o 2 anni non si sarebbe accontentato di averci attorno (quella che tu chiami “semplice presenza”) ma avrebbe giustamente preteso un tipo di attenzione completamente incompatibile con il concetto di lavoro. Se lavori, lo sai: non si producono risultati validi con bambini attorno, se non a prezzo di enormi sacrifici (=lavori il doppio delle ore) oppure di enormi errori (=figli della deconcentrazione, delle interruzioni e via dicendo). Quindi, torno alla mia conclusione: lavorare da casa non è un modo per stare con i propri figli specialmente se piccoli, perché no, quello non è tempo di qualità. L’unico modo per stare di più con i propri figli è lavorare meno ore. Se si può farlo senza grosse conseguenze, ben venga.
            Se non si può o se farlo provoca dolore, meglio fare un percorso con e su se stessi per contenere il senso di colpa e sviluppare il rapporto d’amore con i propri figli anche lungo altri binari che, per fortuna, esistono! A presto
            PS sei già un brava madre, stai tranquilla

          • Rosy

            Giugno 12, 2020 at 5:19 pm

            Sono COMPLETAMENTE d’accordo con te: con i figli attorno si lavora il doppio, si lavora male, si diventa stanchi e nervosi e tutta un’altra lunga serie di cose bruttarelle da dire e soprattutto realizzare. Sono anche d’accordo con te sulla sana dose di egoismo, che a questo punto non chiamerei nemmeno con questo nome. Ma devo riflettere su quale sia l’eventuale nome da dare.
            La mia riflessione era piuttosto sul fatto che la nostra società ha un po’ snaturato il senso di maternità, attribuendogli un valore negativo e limitante, e che tutte noi ci sentiamo necessariamente un po’ in colpa, se per esempio decidiamo di dedicare ai figli un po’ di tempo della nostra vita, per lo meno quello dei mesi in cui è necessario un legame fisico senza il quale vi sono delle ripercussioni già evidenziate “scientificamente” dagli esperti in materia. Sei certamente una brava madre anche tu, ma non perché lo certifico io <3 Sono felice per le tue scelte lavorative e per tutto ciò che di buono ti stai guadagnando.

      • Daphne

        Giugno 3, 2018 at 1:07 pm

        Si è vero che qui è più rigido il sistema, ma almeno ci sono le strutture che prendono i piccoli dai 3 mesi, non ci si aspetta che siano i nonni a fare il lavoro, cosa che invece spesso in Italia sembra essere la soluzione che tutti devono adottare (e non sono d’accordo!)! E poi rileggendo la tua descrizione sul traffico mi sento fortunatissima: ci spostiamo in bici, tutto è abbastanza vicino, x questo ho tempo per i gessetti colorati, se no ciao!

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  • Elena

    Giugno 1, 2018 at 2:01 pm

    Ciao Valeria! Dirò anche la mia opinione scomoda: il mio lavoro ha salvato il rapporto con mia figlia! Sono un insegnante di scuola superiore precaria, dunque ogni settembre ansia da chiamata dalle scuole che, nel bene o nel male, mi hanno sempre assunto per periodi più o meno brevi. Dopo aver partorito e dopo cinque mesi di maternita, proprio quell anno, nessuna chiamata. E posso dirlo? Non ero serena, stare tutto il giorno con Costanza non era il massimo delle mie ambizioni, ero praticamente sempre sola, marito al lavoro e amiche anche…. Quando finalmente mi hanno chiamata sono stata felicissima e anche il rapporto con mia figlia è cambiato. Ho un orario molto buono, sto spesso a casa con lei ma altrettanto frequentemente devo lavorare da casa e non è sempre facile. Ma posso dirlo? Sono più soddisfatta ed emotivamente vicina a lei di prima. Certo, sono stanca e magari nervosa in alcuni giorni ma mai quanto lo ero a casa insoddisfatta. È altrettanto vero che anche io mi pongo tante domande su come abbia vissuto lei questa cosa ma vedendola serena mi tranquillizzo. E come ha già detto qualcuno, non sono il tipo di mamma che farebbe mille attività con lei anche se stesse a casa, quindi siamo tutti felici così con la nostra vita ” incasinata” o almeno io lo sono!

    A presto!

    Elena

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    • gynepraio

      Giugno 4, 2018 at 10:16 pm

      ALla fine è questo che conta. Comunque le mie eroine sono quelle che lavorano DA CASA con i bambini IN CASA perché io ho provato a farlo per un paio di mesi e pochissime ore e volevo spararmi, concentrazione zero e ansia a mille

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  • Silvia

    Giugno 1, 2018 at 3:38 pm

    Mi ha fatto “bene” leggere il tuo post…sono anch’io mamma di Greta (2 anni a giugno come il tuo bimbo) ma non ho ancora imparato a convivere con i sensi di colpa. Greta sta con la nonna, mia mamma è giovane e in pensione, ma la mattina è sempre difficile lasciarla. Poi arrivo in ufficio, il mio lavoro mi piace e mi dico che è giusto così… La sera a casa però quando mi trovo con mille cose da fare, marito quasi sempre stanco (!) e bambina che mi reclama cado nello sconforto di non essere sulla giusta via. Sono stanca e spesso non così disposta al gioco come Greta meriterebbe…
    OK più che un commento è uno sfogo!

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    • gynepraio

      Giugno 4, 2018 at 10:14 pm

      Silvia, posso chiederti se al mattino la saluti con aria triste oppure allegra? Perché se tu in primis sei triste e dispaciuta per doverla salutare, lei se ne rende conto e adegua il suo comportamento.
      Io ho provato a salutarlo gioiosa e mi sono resa conto che nella maggioranza dei casi funziona!

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  • Marzia

    Giugno 2, 2018 at 6:36 pm

    te l’ho detto in altre occasioni… ma ti stimo Valeria!

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  • Elisa

    Giugno 4, 2018 at 6:01 pm

    Come sempre brava!
    Io convivo ancora, a fasi altalenanti, con i sensi di colpa materni. La schifosa sensazione di non fare mai abbastanza.
    Lavoro 5 giorni su 7, tutto il giorno, torno tardi ma ho la fortuna di riuscire, almeno il venerdì, ad andare io al nido a prendere mio figlio. Un appuntamento che ci rende felici!
    Durante la settimana il papà arriva dopo le 21 e il we sono sempre sola perchè lui, suo malgrado, è libero solo due giorni al mese. La bellezza di avere un’attività commerciale! 🙁 Forse una volta si riusciva almeno ad avere qualche soddisfazione economica che ripagava, anche solo in minima parte, del sacrificio. Ora neppure più quello!
    Quindi, durante il fine settimana cerco, il più possibile, di fare cose carine con mio figlio e difficilmente ho spazi solo per me. Mia madre è molto disponibile, tuttavia, essendo già impegnata durante la settimana e non essendo più giovincella, il sabato e la domenica la lascio libera e solo molto raramente faccio affidamento su di lei.
    Insomma, per dire, che ogni famiglia è diversa e che spesso si vive una sorta di frustrazione osservando le possibilità di tempo degli altri. Non è invidia, è solo frustrazione.
    La maggiore preoccupazione è che il nostro bimbo cresca sereno, non risenta di questa situazione e che, nonostante il poco tempo del padre, possa comunque viverlo intensamente (al tempo di qualità ci voglio credere!). Tutto ciò, ovviamente, a discapito della nostra vita a due, come potrai immaginare. Come dice la mia psicologa, ci sarà il tempo per tutto, di nuovo. Voglio sperarlo perché bisogna essere davvero forti per resistere come coppia in alcuni casi. Sarò pazza ma, nonostante la tristezza di certi giorni, quando mi manca da morire il non poter condividere momenti belli in tre, vorrei che il tempo non corresse troppo veloce. Vorrei godere dell’oggi senza troppi patimenti. Vorrei essere più leggera.
    Mi piace molto questa frase: “Ho imparato che tutti vogliono vivere in cima alla montagna ma tutta la felicità e la crescita avvengono mentre la scali.”. Ecco voglio impegnarmi per essere una scalatrice “piuttosto felice”!
    Un abbraccio, Elisa

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    • gynepraio

      Giugno 4, 2018 at 10:02 pm

      Elisa, hai un bambino che ride sempre e da quello che vedo su IG te ne inventi ogni volta una diversa per intrattenerlo e arricchirlo. Arriverà un momento in cui torneremo ad avere tempo libero e lì, a quel punto, avremo voglia di andare al parchetto a spingere altalene altrui!

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      • Elisa

        Giugno 5, 2018 at 3:44 pm

        Mi fai sempre sorridere (moltissime volte ridere di gusto). È un vero piacere leggerti. Grazie per questa risposta, mi sono immaginata ad elemosinare spinte in altalena ai giardinetti.

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  • Susanna

    Giugno 6, 2018 at 6:04 pm

    Non ho letto tutti i commenti, ma ho letto e riletto con attenzione il post: caspita, è come se fossi entrata nella mia testa e riscritto il flusso disordinato dei miei pensieri. Sono una freelance e nel quotidiano sono continuamente combattuta tra due vocine che mi spingono a stare più con mio figlio/a lavorare di più! all’inizio era pesantissimo, ora col tempo sono riuscita a trovare un equilibrio tra me/asilo/nonna e le cose sembrano andare meglio…ma quella vocina è sempre lì, pronta, dietro l’angolo, a venir fuori quando comincio a crollare! ma sono certa che andrà sempre meglio col tempo e sono anche certa che, come sottolinei te, se anche avessi più tempo per poter stare con lui, non sarebbe per stare con lui…ma semplicemente più tempo per riordinare la casa, fare la spesa, stirare. Forse preferisco chiudere bene la giornata lavorativa e avere quel poco tempo da poter dedicargli totalmente e intensamente. Forse è proprio vero che conta più la qualità che la quantità!

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  • Giulia

    Giugno 19, 2018 at 11:52 pm

    Ho letto tutte e tutto. Incredibile come ci rispecchiamo le une nelle altre. Incredibile la lucidità della tua scrittura e gli stimoli che crei. Io non vedo l’ora di tornare a lavorare, sto per fare un altro trasloco, sarò sola almeno per metà del tempo a Milano con la piccola rompiciazetazetao del mio cuore, no nonni, si nido full time, si part time con 1 h in meno in ufficio e no straordinarinonpagatichepeccato, tempo da dedicarmi previsto meno di esiguo. Un po’ di ansia per forza, ma come sempre ce la faremo anche questa volta.

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  • Agnese Foresti

    Luglio 18, 2018 at 6:00 pm

    Valeria… andiamo con ordine: Elia
    Ho zero tempo di leggere il tuo blog … boo hoo! Io sono una mamma un po’ diversa dalle varie risposte che ho letto sopra. Ho 3 figli (penso di non averti mai comunicato l’arrivo della gallinella nel 2015) faccio l’homeschooling ai grandi e tutti e 3 sono con me quasi sempre. Lavoro da casa quando c’è lavoro, non navighiamo nell’oro e – malgrado gli occasionali sprazzi di creatività – sclero. Si dice ancora “sclerare”? I lose it. Sono un semplice caso di “essere umana”. Vorremmo sempre la qualità e la quantità… ma abbiamo limiti. Non ho fragoline selvatiche ma ho una giungla di lamponi nel back yard, va bene lo stesso?
    Amo i miei figli. Ogni tanto mi fermo a pensare e analizzare, come hai fatto tu in questo post. Chiedo che Dio mi guidi. Ho giorni in cui vorrei scappare e altri in cui mio figlio impara a leggere e gliel ‘ho insegnato io. E tutto quello che cade tra i due estremi. Sono felice e mi fa piacere lo sia anche tu cara.

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    • gynepraio

      Luglio 26, 2018 at 9:36 am

      Agnese, credo che la cosa più bella che mi è capitata da settimane sia ricevere questi tuoi commenti, sono così felice di risentirti che non immagini. Negli anni ho persino scritto a tua sorella via FB chiedendole se il tuo indirizzo di posta era ancora attivo, perché in un paio di occasioni mi sono tornate indietro delle email, ma non mi ha mai risposto perché si vede che finivo nella cartella “spam”.
      Sono felice di sentirti felice, ti prego scrivimi e fatti sentire ogni tanto perché il mio indirizzo è sempre lo stesso

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  • Antonella

    Ottobre 3, 2018 at 5:49 pm

    Ciao Valeria mi sono ritrovata nelle tue parole, anche ironiche, sia come madre che come professionista. A breve terrò un incontro rivolto ai genitori a titolo”tutta colpa delle madri” e parlerò proprio dei sensi di colpa materni. Cito come esempio l’allattamento al seno a richiesta. Si fa un gran parlare di allattamento, come ci suggerisce l’ O.M.S, e dell’importanza che ha anche in termini di relazione, dimenticandosi che dietro a quei seni c’è una donna che si misura spesso con l’indicibile e che se pensa di fare un passo falso nel suo mandato…si sente una donna sbagliata. E via così anche riguardo tutto il resto. C’è molto lavoro da fare per venir a capo dei falsi miti del materno. E c’è molta strada da fare per costruire una società in grado di favorire la genitorialità.

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    • gynepraio

      Ottobre 4, 2018 at 12:14 pm

      Sono sicura che il tuo incontro sarà illuminante! A presto

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