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By gynepraio14 Gennaio 2019In BooksPersonale

Libri in 3 parole: “Quello che non ti ho mai detto”

Ho comprato questo romanzo perché avevo da poco finito “Tanti piccoli fuochi” di Celeste Ng e sono stata letteralmente subissata di messaggi e commenti da parte di altre persone che caldeggiavano la lettura di “Quello che non ti ho mai detto“, il romanzo d’esordio della stessa autrice. Ora, io e la Celeste non siamo amiche e non ci scambiamo gli smalti, ma mi azzardo a dire che questa storia contiene un quid di profondamente autobiografico. Come tutti i romanzi di esordio -e parlo da autrice esordiente che ne ha appena pubblicato uno- parla di ciò che è più facile mettere per iscritto: se stessi.

È americana, di origine cinese, figlia di scienziati. cresciuta tra Ohio e Pennsylvania, ha frequentato Harvard. Alcune di queste caratteristiche, sicuramente le più ingombranti, sono presenti anche nella protagonista di “Quello che non ti ho mai detto”. Che, ça va sans dire, è un romanzo d’esordio bellissimo.

Se, una volta che l’avrete finito, vi dovesse salire una voglia irrefrenabile di leggere un romanzo la cui protagonista condivide alcune caratteristiche con l’autrice, beh, che dirvi? Non buttatevi su Proust, non fate il passo più lungo della gamba! Provate prima il mio, che potete agevolmente procurarvi qui.

la storia

Lydia Lee, figlia secondogenita e amatissima di una famiglia mista (padre cinese+madre americana) scompare e pochi giorni dopo il suo cadavere viene ritrovato nel lago davanti casa. Il romanzo è una ricostruzione, che mixa voci differenti (quelle dei suoi famigliari, in sostanza), della serie di eventi che ne hanno provocato la scomparsa. Ogni membro della famiglia conosce un pezzo di lei ma -complice la difficoltà del momento postlutto e la incomunicabilità che caratterizza tutto il nucleo famigliare- non è disposto a “condividerlo” con gli altri: tocca quindi alla voce onnisciente del narratore e all’intuito del lettore mettere insieme questi tasselli, in uno svelarsi di dettagli che io ho trovato angosciante anche se assolutamente non macabro. Parte come un noir ma diventa un romanzo di formazione al contrario: è un romanzo di deformazione, se si può dire.

quello che non ti ho mai detto

Quello che non ti ho mai detto: EDUCAZIONE

L’educazione e l’ambiente scolastico-universitario sono onnipresenti. I genitori di Lydia sono un professore universitario e una aspirante scienziata la cui promettente carriera accademica è stata bloccata da una prima inaspettata gravidanza. Il fratello di Lydia è un ottimo studente e verrà ammesso ad Harvard. Lydia stessa è studiosa anche se, purtroppo, non altrettanto talentuosa e intelligente.

Lo studio costituisce per tutti i membri della famiglia Lee uno strumento per ottenere qualcosa: James, il padre, si è laureato per uscire dalla sua umile condizione economica di immigrato di seconda generazione, Marylin, la madre, studiava per prendere le distanze dalla sua mamma che sognava per lei solo un buon matrimonio, Lydia, la figlia, si applica solo per ottenere l’approvazione di Marylin che a sua volta ripone in lei le speranze di un riscatto e di un’autorealizzazione che non ha potuto ottenere a suo tempo per fare la madre full time (anche se apprendiamo di una sua fuga, durata qualche settimana, quando i bambini erano piccoli, che segnerà un insanabile punto di rottura nel rapporti famigliari).

Nessuno di loro nutre un amore sano e autentico per quello che fa, nessuno vede nell’educazione una chiave di felicità. James non è sinceramente interessato alla storia dei cowboys -l’argomento storico in cui è specializzato- né si è mai liberato dell’etichetta di cinese figlio del giardiniere, Marylin non è mai divenuta una donna di scienza, Lydia non capisce quello che studia e a scuola non ha amiche. L’unico sinceramente motivato è Nath, aspirante astronomo, la cui intelligenza e motivazione passano praticamente inosservate agli occhi dei genitori. Al contrario di quello che accade in L’educazione, sapere non è potere.

quello che non ti ho mai detto: famiglia

È la storia più vecchia del mondo: i genitori di Lydia proiettano su di lei le loro aspettative insoddisfatte. La madre vorrebbe farne un medico e il padre vorrebbe farne un party animal. Lei le disattende entrambe, ma non ha coraggio di ammettere i propri limiti e dichiarare i propri desideri.

Forse perché sono un colabrodo e non so tenermi niente, forse perché ho avuto una madre sensibile che capiva come stavo dal suono del citofono quando arrivavo a casa, ma quando leggo di genitori totalmente ignari di ciò che accade ai loro figli, non riesco a capacitarmene. Ne avevo anche scritto in una vecchia recensione di Thirteen Reasons Why: non comprendo come in assenza di cause impedienti (droga, alcol, degrado, disagio) dei genitori scolarizzati e intelligenti non si rendano conto che i figli non hanno amici, non partecipano alle feste, non fanno niente di normale. Trovo sorprendente anche la diabolicità degli escamotage messi in atto dai figli per nascondere il loro malessere: Lydia è campionessa mondiale, non vi anticipo altro.

Dopo queste affermazioni ardite intrise di ubris, sento che gli dei si vendicheranno: mi aspettano al varco per darmi una bella lezione quando mio figlio sarà adolescente.

quello che non ti ho mai detto: musigialli

Molto è stato detto e scritto sul razzismo subito dalla comunità afroamericana negli Stati Uniti, ma non abbastanza di quello subito dagli asiatici. La tradizione vuole gli immigrati orientali miti, risparmiatori, lavoratori indefessi, umili e affidabili. Al massimo, bravi in matematica. Sono meno problematici, meno aggressivi, meno diversi, meno “evidenti”: ma dal racconto di Celeste NG si intuisce che anche a loro sono riservate forme di razzismo e discriminazione più o meno serpeggianti. Il caso della famiglia Lee è davvero “in between”: famiglia mista e oltretutto pioniera (siamo nei tardi anni ’70!), di persone socialmente “adeguate” ma solo in apparenza: il padre ha studiato, è un professionista stimato, non ha mantenuto nessuna delle abitudini apprese nel paese natale (“il cibo cinese non mi piace”) eppure non ha amici. Analogamente i suoi figli, pur essendo nati in America, non possiedono una rete sociale, come se la diversità fisica fosse un handicap, un freno alla loro libertà espressiva. L’assenza totale di connazionali, oltre a privarli di quel senso di comunità che potrebbe aiutarli a crearsi una rete di amicizie, rende la loro diversità ancora più evidente. La madre Marylin, che è un’americana bionda con gli occhi azzurri, non diventa per la famiglia una chiave di integrazione perché i connazionali la compatiscono per aver sposato un cinese, o quanto meno non riescono a spiegarsi una scelta così assurda.

Io non so niente sul tema, ma credo che anche nella società più evoluta e tollerante -quindi sicuramente non quella americana di quarant’anni fa!- siano necessarie più generazioni per lavarsi di dosso lo stigma della differenza congenita, per acquisire quella disinvoltura che ti permette di sentirti davvero a casa tua.

E’ difficile sentirsi accolti anche quando un Paese ti dà il passaporto, figurati quando non ti permette neanche di attraccare.

svgQuando finisce un amore
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svgPosta del Cuore Gennaio 2019

8 Comments

  • Tantilibriecaffe

    Gennaio 16, 2019 at 12:25 pm

    Meno male che erano 3 parole… altrimenti scrivevi un altro romanzo per la recensione!!! Grande Valeria come sempre ♾

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    • gynepraio

      Gennaio 31, 2019 at 10:17 am

      I concetti sono 3! io poi mi allargo, diciamo.

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  • eleonora g.

    Gennaio 16, 2019 at 1:10 pm

    Bella recensione, potrebbe essere il libro perfetto per una mia amica…Grazie.. Mentre il tuo libro vorrò leggerlo io 🙂

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    • gynepraio

      Gennaio 31, 2019 at 10:16 am

      Grazie, poi dimmi che cosa ne pensi! A presto

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  • Stefania

    Gennaio 16, 2019 at 1:14 pm

    Mi piacerebbe leggerlo. Credo che molto genitori non vedano la mancanza di amici dei figli come un problema, forse vogliono che restino bambini.

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    • gynepraio

      Gennaio 31, 2019 at 10:16 am

      O forse non si ricordano di essere stati ragazzi a loro volta, o forse vedono quello che vogliono vedere.

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  • Valentina

    Gennaio 17, 2019 at 9:06 am

    Bellissima recensione. E chiusura emblematica della nostra situazione.

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